giovedì 24 gennaio 2008

La velocità dei dinosauri, tra ossa sostanziali e falcate formali

Nella scena più famosa dell’ormai datato film di Spielberg, l’attempato proprietario del Parco Giurassico risponde con tanto di misurazione cronometrica alla prima domanda che il paleontologo, in piena crisi di Stendhal, aveva posto alla vista delle attrazioni dell’isola: “Tyrannosaurus rex va a cinquanta chilometri l’ora”. Misurare la velocità di un animale (uomo compreso) è più complesso di quanto sembri dalle cronache alle olimpiadi e nei circuiti automobilistici: le irregolarità della traiettoria e del terreno su cui si muove un animale selvatico rendono le stime molto incerte se non dubbie. Nell’attesa che John Hammond costruisca il primo Tyrannosaurodromo regolamentare, è tuttavia possibile stimare l’andatura e la velocità dei dinosauri basandosi sui dati paleontologici disponibili.

I metodi per la stima della velocità di un animale estinto si possono dividere in due categorie: metodi diretti e metodi indiretti.

Generalmente non ci si fa caso, ma le impronte fossili e le serie di piste litificate lasciate dai dinosauri sono l’unica testimonianza diretta della loro vita passata: le ossa e gli scheletri rappresentano i resti di un animale morto, mentre le orme sono il segno lasciato da un animale vivente in attività. La paleoicnologia si occupa della catalogazione e dell’interpretazione delle impronte fossili e costituisce il metodo diretto per la stima della velocità di un dinosauro.

Un’orma singola non è di particolare aiuto nella ricostruzione dinamica di un animale, mentre una serie di orme lasciate in successione è ricchissima d’informazioni: è possibile determinare postura degli arti (ovvero se gli arti sono posti verticalmente sotto il corpo o se si divaricano lateralmente), risalire al tipo di andatura (sia bipede che quadrupede) e stimare la velocità.

La velocità alla quale viene lasciata una serie di impronte dipende da numerosi fattori biomeccanici, tuttavia è possibile semplificare il calcolo e considerare solo due parametri: la falcata (distanza tra un passo ed il successivo effettuato con lo stesso arto) e la lunghezza dell’arto stesso (che equivale all’altezza dell’animale a livello del bacino). La falcata è misurabile direttamente dalla pista, mentre la lunghezza dell’arto deve essere stimata dalla lunghezza dell’orma e da comparazioni con scheletri dei possibili autori della pista (raramente si trovano resti ossei dell’autore materiale della pista, ma si può risalire indirettamente a lui confrontando la forma delle impronte con gli scheletri di dinosauri risalenti all’età della pista)*.

In base a questo metodo è stato possibile stimare la velocità degli autori delle piste fossili meglio conservate; in particolare disponiamo delle stime delle velocità di sauropodi e di teropodi di medie e grandi dimensioni.

Le piste dei sauropodi indicano velocità molto basse, dell’ordine dei 4 Km/h, paragonabili alla velocità tipica per una passeggiata. Per un animale con arti lunghi più di 3 metri è un valore estremamente basso e sicuramente in linea con l’immagine tradizionale che fa dei sauropodi animali lenti e poco dinamici. Nel caso dei bipedi, vediamo che le velocità aumentano ma non significativamente: le piste dei grandi bipedi raramente superano gli 8 Km/h, la stessa che raggiungiamo camminando speditamente.

Parrebbe che i dati paleoicnologici avvalorino lo stereotipo dei dinosauri lenti e impacciati nei movimenti; tuttavia sarebbe erroneo ritenere che le piste fossili rappresentino l’intera gamma di velocità effettivamente raggiunte dai dinosauri: tutte le piste che si sono conservate fino ad oggi provengono da piane fangose prossime a specchi d’acqua (gli unici ambienti nei quali un’orma lasciata sul terreno ha la possibilità di conservarsi ed essere in seguito ricoperta dai sedimenti) e in genere gli animali non raggiungono le massime velocità in simili ambienti dove il rischio di impantanare e scivolare è molto alto.

La pista che documenta la massima velocità per un dinosauro proviene dal Texas: l’autore, un teropode di media taglia, riconoscibile dalle orme tridattile, avrebbe raggiunto i 45 Km/h, un valore notevole per gli standard umani e probabilmente nemmeno la velocità massima possibile, se si considera che stava correndo su una distesa fangosa.

Le possibilità di rinvenire testimonianze dirette di velocità maggiori sono poche, questo principalmente per i limiti imposti dallo stesso substrato fangoso che permette la conservazione dell’orma: è chiaro che le velocità maggiori erano raggiunte in spazi aperti nei quali il terreno è compatto e capace di esercitare la resistenza necessaria ad imprimere la spinta al corridore.

Per determinare se simili velocità fossero effettivamente raggiunte dai dinosauri, è necessario rivolgersi a metodi indiretti di stima della velocità: questi permettono di determinare “le prestazioni” meccaniche degli animali sulla base della loro anatomia scheletrica.

Uno dei metodi indiretti di stima delle velocità si rifà a modelli biomeccanici che considerano il peso dell’animale e le sezioni delle ossa degli arti: per ogni osso è possibile determinare un indice di resistenza e confrontandolo con le ossa di animali attuali si verifica se il dinosauro era capace di resistere alle sollecitazioni meccaniche impresse dalla corsa.

In base a questi calcoli emerge che i grandi dinosauri quadrupedi erano in grado di sopportare le stesse sollecitazioni meccaniche imposte ai grandi mammiferi attuali come elefanti, rinoceronti ed ippopotami, mentre le più alte “prestazioni” vanno cercate tra i teropodi di media taglia, come Ornithomimidi e i giovani Tyrannosauridi.

Un ultimo metodo per determinare le capacità locomotorie dei dinosauri è l’anatomia comparata: in base ad essa appare chiaro che le proporzioni ed il tipo di arti dei dinosauri ricordano molto più i grandi mammiferi attuali che i rettili “tradizionali” e che, come nei mammiferi, ci sia una gamma di adattamenti che va dal camminatore al corridore, riconoscibili dalle differenze nelle proporzioni dei segmenti ossei e nei tipi di inserzioni muscolari.

Lo studio delle proporzioni delle varie parti dell’arto posteriore mostra che i dinosauri più veloci erano probabilmente i teropodi celurosauri, il gruppo da cui traggono origine gli uccelli: in particolare molti gruppi del Cretacico (tra cui Ornitomimidi, Troodontidi e Tyrannosauridi) sono accomunati da una particolare specializzazione delle ossa del piede denominata “arctometatarso” (dal Latino arctus, serrato, incuneato).

Nell’arctometatarso, l’osso centrale che forma il piede (il terzo metatarsale) è incuneato tra le ossa adiacenti, così che il piede risulta una struttura compatta e allungata; inoltre lo stesso osso si assottiglia verso l’alto facilitando la trasmissione delle spinte meccaniche dal terzo dito del piede (che nei dinosauri è il principale punto di appoggio) all’articolazione della caviglia (che scarica principalmente sul secondo e sul quarto dito): si tratta di un probabile adattamento dell’arto posteriore per migliorare l’efficienza della corsa.

Se non ci sono dubbi delle capacità cursorie dei Tyrannosauridi di media taglia, la questione sulle capacità locomotorie di Tyrannosaurus adulto è lungamente dibattuta. Secondo alcuni è poco plausibile per un animale pesante come un elefante superare la velocità di un corridore umano, tuttavia è notevole la differenza morfologica tra lo scheletro della gamba di un tyrannosauro e quella di un elefante. Il primo è digitigrado, presenta profonde articolazioni a livello del ginocchio e l’arctometatarso tipico dei dinosauri corridori, il secondo è plantigrado, con ridotte articolazioni del ginocchio e del piede, caratteristiche di un camminatore: se effettivamente Tyrannosaurus fosse stato veloce (o meglio, lento) come un elefante avrebbe presentato una serie di adattamenti superflui per il suo stile di vita. (Si può rilevare che gli adattamenti potrebbero essere retaggio ereditato dei suoi antenati più piccoli e corridori, ma ciò non risolve la questione del perché Tyrannosaurus dovrebbe conservarli se non più funzionali al suo modo di vivere).

È probabile che Tyrannosaurus non raggiungesse le velocità tipiche di altri teropodi di taglia minore, tuttavia era più veloce delle sue prede abituali come hadrosauridi e ceratopsi, ed è plausibile che pur non potendo (per via della taglia corporea) correre alla maniera di uno struzzo (ovvero mantenendo in corsa una fase sospesa con entrambi gli arti staccati da terra) poteva scattare ad una velocità superiore a quella di un atleta olimpionico grazie alla grande falcata che i 3 metri e mezzo di lunghezza della sua gamba permettevano.

Il modo migliore per abbattere una preda potente e bene armata come un grande ceratopso non era l’inseguimento prolungato tipico dei canidi né lo scontro frontale che si osserva nei leoni, bensì era tramite un attacco fulmineo e devastante alla regione posteriore del corpo (come documentato da una ferita rimarginata scoperta nella coda di un hadrosauro ed attribuita ad un morso di Tyrannosaurus), ma per far ciò era necessario disporre della velocità sufficiente a sorprendere la preda prima che potesse girarsi e reagire all’attacco.

È probabile che i lunghi arti da scattista di Tyrannosaurus fossero parte integrante, assieme alla robusta dentatura ed ai ridotti arti anteriori, di una strategia predatoria evolutasi in un ambiente popolato da erbivori che preferivano la difesa attiva alla fuga.

*Servendomi dell’equazione utilizzata per determinare la velocità dei dinosauri sulla base della falcata impressa nelle piste fossili e dell’altezza dell’arto posteriore, ho provato a determinare quale potrebbe essere la velocità dei diversi dinosauri se fossero vincolati a camminare tutti secondo uno stesso modello, che chiamo “Falcata Formale” (così definito: nella massima estensione dell’arto, la tibia è verticale; nella massima retrazione dell’arto, il femore è verticale). Imponendo la Falcata Formale a tutti i gruppi, è possibile comparare le diverse velocità risultanti, per determinare quali siano meglio adattate a raggiungere alte velocità (sia chiaro, la velocità reale dipende da molti altri fattori, tuttavia, la semplificazione ha il pregio di mostrare quali morfologie siano tendenzialmente più cursorie in un regime omogeneo di andatura). Non è stata una sorpresa osservare che i gruppi più “veloci” sotto questo vincolo siano risultati i teropodi con piede arctometatarsale. Di fatto, i grandi ornithomimidi e i tyrannosauridi di media taglia sono risultati i dinosauri più veloci, con velocità di Falcata Formale superiori a 40 km/h. Un uomo (o meglio, qualunque bipede con femore, tibia e metatarso lunghi come quelli di un uomo) vincolato a muoversi con Falcata Formale si sposta a 25 km/h.

1 commento:

  1. In raltà i dinosauri correvano a una velocità che nessun rilevatore umano potrà mai comprendere (anche il Diplodocus), essendo figli diretti di Chuck Norris e non di Dio.

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