martedì 31 luglio 2012

Trinità nel Tempo Profondo...

Partiamo da una ovvietà indiscutibile (perlomeno se siete organismi pluricellulari a riproduzione sessuata):

Ognuno di noi deriva da due genitori.

Ognuno dei nostri genitori deriva da due genitori.

Ognuno dei genitori dei nostri genitori deriva da due genitori.
...e così via, almeno per mezzo miliardo di anni nel passato...

In termini genetici, ognuno di noi deriva per metà del proprio genoma da un genitore e per metà dall'altro.

Lo stesso discorso vale per ognuno dei nostri genitori. E per i loro genitori. E per i genitori dei genitori.

Se volessimo sommare tutti i contributi genetici da cui deriviamo, sia dalla linea materna che paterna, che valore otterremmo?

Si tratta del doppio della nota serie convergente:

2 (1/2 + 1/4 + 1/8 + 1/16 + · · ·)
Il cui valore complessivo, dimostrato matematicamente, è = 2.

Ovvero, il valore del contributo ricevuto dalla somma di tutti i miei antenati è il doppio di 1: la somma di tutti i contributi ricevuti dai miei antenati è pari a due vole "me", due persone intese come "linea genealogica".

Concludendo, "Io" inteso come linea genealogica culminante nel "io" presente, è uguale alla somma di 1 (io presente) + 2 (contributo del mio passato) = 3.
Ognuno di noi è una trinità nel Tempo Profondo! 
Prima di cadere in facilone mistificazioni pseudo-cristiane, dico subito che c'è un errore matematico nel ragionamento qui sopra, vediamo chi lo scova...

sabato 28 luglio 2012

Realismo Relativista

L'esistenza è un attributo vincolato alla scala del sistema percettivo che la definisce.

martedì 24 luglio 2012

Paradosso Paradiso

Il Paradiso è il luogo con la più alta percentuale di tentati suicidi nell'Universo.

sabato 21 luglio 2012

Legge di Tarzan

Chi Cita gli altri è una scimmia.

martedì 10 luglio 2012

Volare, no, no..

Scrivo questo post come cura psicanalitica, come sollievo dall'ansia provocata dagli eventi che lo hanno indotto. 
Oggi ho ricevuto un'offerta, seppur potenziale, per partecipare ad un'attività paleontologica (probabilmente della durata di alcuni giorni o settimane): l'offerta, sebbene potenziale, si sarebbe verificata solo se fossero stati trovati i fondi per pagarmi il viaggio. Questo è molto positivo, dato che di solito mi devo pagare da me le mie attività paleontologiche.
Nonostante la proposta fosse interessante e fornita da una persona che stimo e conosco, ho rifiutato. Il motivo? Non me la sento di far sprecare del denaro a quelle persona. Il motivo della motivazione? L'attività sarebbe stata svolta in un luogo che è raggiungibile solamente in aereo. Ed io non volo. Io soffro di aerofobia. Ciò significa che o dico subito che non volo, e quei soldi si spendono per persone più affidabili, oppure dico che volerò, ma poi al 99.9% di probabilità le mie budella mi tradiranno prima dell'imbarco, se non addirittura di fronte alla scaletta dell'aereo, e darò forfait, quindi, di fatto, non volerò, sprecando quel denaro (che dovrò comunque risarcire, rovinando comunque lo svolgimento regolare dell'attività paleontologica propostami). Io sono aerofobico, ho la fobia del volo in aereo. Una forma estremamente forte di aerofobia, al punto che la sola menzione nella proposta che mi è stata fatta di dover "volare" mi ha fatto entrare in uno stato ansioso, che spero di sfogare con questo post.
Se non siete aerofobici e non siete psicoterapeuti, evitate di commentare in modo futile o volgare. La faccenda è dannatamente seria.
Per me volare (viaggiare in aereo) è qualcosa di paragonabile a chiedermi se vorrei essere fucilato.
Il viaggio in aereo è un'esperienza che non voglio e probabilmente non vorrò mai sperimentare.
So benissimo che questa fobia limita fortemente la mia vita privata e professionale, ma ciò è secondario: io non potrei mai salire su quei cosi, sedermi in quelle trappole, farmi rinchiudere in quelle bare di lamiera a 11 km di quota, lanciate nel vuoto a mille km orari, senza avere nessuna possibilità di scendere fino a che non lo decide il pilota. 
Ho fatto una breve ricerca per capire la natura della mia fobia del volo, ed ho scoperto che ho il mix perfetto per essere un super-aerofobico.
1- Sono un soggetto con una grossa autostima, mi fido poco degli altri e voglio avere il più possibile il controllo della situazione: pertanto, non sopporto l'idea che debba stare chiuso in un veicolo gestito da altri e non avere nemmeno la possibilità di tirare il freno d'emergenza e saltare giù qualora lo volessi.
Ridicolo? Sì, se non sei aerofobico.
2- Non sopporto gli spazi troppo chiusi.
3- Odio la velocità.
4- Soffro di vertigine.
Ma il vero motivo, splendidamente ultrazionale (cioè oltre la mera razionalità) è che io SO che il primo aereo che dovessi mai sciaguratamente prendere, quel maledetto fottutissimo primo aereo, esso si schianterà al suolo, ovviamente con me dentro. Questo lo so, è certo, sicuro, lapalissiano, fatalmente deciso e profeticamente evidente, e siccome io ho un sesto senso, e quando sento che una cosa deve avvenire, quella fottuta cosa avviene, perché è successo sempre che il mio sesto senso aveva visto giusto, io so chiarissimamente che quello stramaledettissimo fottuto pezzo di latta alato con me dentro si spappolerà al suolo.

Pertanto, vi consiglio, anzi, vi esorto: sa mai mi vedeste salire su un aereo: NON PRENDETE QUELL'AEREO! Salvatevi, almeno voi!

PS: la persona che mi ha proposto l'attività paleontologica mi dice che ci sono ottimi traghetti per raggiungere il luogo oggetto della stessa. Vi ho mai parlato della mia fobia del mare?


venerdì 6 luglio 2012

Fine

Perché facciamo quello che facciamo, se il fine ultimo sarà un nulla definitivo?
Perché dannarsi a mangiare, bere, lavorare, accoppiarci, litigare, figliare, lottare, rubare, arricchirsi, studiare, imparare, creare, distruggere, se presto o tardi tutto si spegnerà? 
Persino nell'ipotesi che conquistassimo una forma di eterna giovinezza, l'inevitabile morte termica dell'universo, il suo spegnimento in un vacuum infinito di totale entropia o una possibile contrazione cosmica in un punto, in entrambi i casi significherebbero una fine anche per la razza di eterni giovani a cui ambiremmo diventare. Ed ancor prima di tale evento, l'eterna giovinezza non sarebbe, di fatto, un'eterna noia, dopo che tutto il mangiabile, il bevibile, il lavorabile, l'accoppiabile, il litigabile, il figliabile, il lottabile, il rubabile, l'arricchibile, lo studiabile, l'imparabile, il creabile, il distruggibile, presto o tardi fosse stato fatto? In fondo (in tutti i sensi) quello sarebbe il destino degli eterni: la noia eterna. 
A che pro lasciare qualcosa di sé, se coloro che potranno ricordarlo e comprenderlo, prima o poi, saranno anche loro svaniti nel nulla? A che pro, se comunque il pianeta nel quale le nostre gesta ed amori si sono da sempre svolti e sicuramente per moltissimo tempo ancora sarà la sola arena delle nostre imprese, in qualche miliardo di anni sarà dissolto dall'espansione termodinamica del sole?

Pare inevitabile cadere e decadere in un passivo nichilismo.

L'alternativa, paradossale, potrebbe essere di non porsi queste domande, di dedicarsi ad un edonistico appagamento di ciò che abbiamo, fintanto che lo avremo.
La porta che conduce fuori dal recinto consolatorio di un dio eterno, contraddittorio ma perlomeno in grado di fornire una seppur vaga forma di senso, di fine, di motivazione, è una porta difficile da aprire per chi tenta la fuga, impossibile da riaprire per chi è uscito. Troppo stretta e troppo angusta, fredda, umida e asfittica è la casa del padre inesistente per chi, finalmente, si è liberato dalla sua oppressione.

Ogni persona nasce per caso, combinazione casuale e caotica di fattori contingenti pre-esistenti, non prescritta né deducibile a priori. Ogni persona inizia ad essere molto dopo che l'informe creatura, la piccola scimmietta nuda, indifesa, prima come vagiti, poi come versi ripetuti, si affaccia ad un mondo che la precede e la seguirà di miliardi di anni. Ogni persona smette di essere quasi sempre ben prima che la combinazione ordinata delle sue particelle inizi a decadere, dissolversi e tornare parte del flusso termodinamico. Nessuno di noi, quindi, ha un vero momento di inizio né di fine, ma solo una blanda finestra di persistenza, di parvenza di consapevole esistenza, intervallata da molti, spesso troppi, momenti di inconsapevolezza, di assenza, di vuoto, di sonno, di coma, di oblio. Nessuno, quindi, è un continuum, né un segmento di storia, bensì un'onda perturbata, riccamente interferente ed interferita, un tracciato indistinto di cui è possibile riconoscere solo la parte più opaca, centrale, spesso in modo arbitrario.
Scoprirsi così blandi, diffusi, incoerenti, indefinibili nei limiti, nell'estensione, nel contorno, forse è la sola spiegazione dell'ansiogena ed irrisolvibile consapevolezza di essere effimeri.