mercoledì 30 dicembre 2009

Mistero dell'animo

Basta leggere il nome di un luogo, anche solo per caso, e si schiude una sensazione che pareva rimossa.
Assurda fisiologia.
se dovessi riassumere il 2009 con un film del 2009
BASTARDO SENZA GLORIA

martedì 29 dicembre 2009

Propositi per il 2010

Nel 2009 sono stato piuttosto cattivo.
Sì, lo ammetto. Meglio cambiare registro.
Per questo, prometto che nel 2010 seguirò molto di più il mio lato oscuro.

La Genesi ed il Big Bang NON sono la stessa cosa

La Scienza commette suicidio quando assume dei dogmi. Al tempo stesso, si uccide la Scienza quando la si assume in modo religioso. Lo scientismo, l'impostazione dogmatica della Scienza, è una religione, e come tale è pericolosa, in quanto limita lo spirito critico, l'indipendenza di pensiero, la flessibilità, l'apertura mentale. Essendo una religione, lo scientismo è in competizione con le altre religioni (quelle "ufficiali", "tradizionali"). Le religioni ufficiali, dal canto loro, abusano della loro giustificata lotta allo scientismo per attaccare la Scienza. Ciò è abbastanza ovvio, da un punto di vista storico, dato che, in 300 anni di pensiero scientifico, le religioni ufficiali sono state progressivamente cacciate da ambiti che, prima, erano di loro competenza: l'origine della Vita, della Terra, dell'Uomo, la natura del pensiero...

domenica 27 dicembre 2009

Le 3 cose che rendono la vita degna di essere vissuta (ultrazionalmente)

1) uccidere un drago (e regalare le sue squame lucenti ad una principessa).

2) una serata con gli amici al pub (ma deve avere birra rossa).

3) ricostruire un drago (e pubblicarlo su una rivista scientifica soggetta a peer-review).

sabato 26 dicembre 2009

Cosa ho imparato quest'anno

Ho imparato tre cose.
Una delle tre cose è il motivo per cui non dico le altre due.

Il sito de Imalatidimente


Quella bestia dalle qualità pari a ZERO del Clastu ha aperto le porte del suo sito fresco fresco di nascita.
Cliccate sul titolo del post per visitarlo.

giovedì 24 dicembre 2009

X-mas Story

  X-mas means never having to discard a gift and say: "I'm sorry"

martedì 22 dicembre 2009

Verso una Nuova Mitologia fondata sulla Conoscenza

Il mito è una rappresentazione del nostro posto nell'Universo. Il linguaggio del mito varia a seconda del livello più alto e raffinato di linguaggio raggiunto dalla Civiltà che lo crea, ma, in generale, esso rimane sempre una narrazione di un viaggio alla ricerca delle origini e dei confini di noi stessi. Può il linguaggio della Scienza, la forma più alta e complessa di rappresentazione del mondo che la nostra specie ha prodotto, sostituirsi ai miti ed alle religioni che l'hanno preceduta? Non come nuovo mito o nuova religione, ma come superamento dei limiti del mito e della religione, travalicando il vincolo di soggettività permeante le mitologie, per acquisire una forma più alta e oggettiva di rappresentazione, ma che al tempo stesso assolva alla funzione primigenia del mito, ovvero, l'affermazione del nostro posto nel mondo, la giustificazione della nostra esistenza, il perché del nostro essere?
Forse sì, ma a patto che l'umanità superi lo stadio mitico prettamente emotivo, terrorizzato dal vuoto e della morte, ed accetti l'implacabile gelo che si svela dietro la realtà oggettiva.  Non più mito che ci giustifica e gratifica, ma mito che ci colloca e spiega. Non più il mito che compensa l'ignoranza, ma il mito che si fonda sulla conoscenza.
Questo video è una rappresentazione di come, probabilmente, dovremo strutturare i nostri miti futuri, quando le religioni e le superstizioni saranno diventate insoddisfacenti per un'umanità teoreticamente più matura.

Kemkemia vi augura buone feste!


lunedì 21 dicembre 2009

Questo è il testo

Questo è il titolo

Due punti simili ma poco fortunati

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domenica 20 dicembre 2009

Bilancio di 6 mesi (flusso di coscienza)

In questi sei mesi, è accaduto tanto di nuovo e non è accaduto nulla di nuovo. Variazione sul tema, potrei dire. Eterno ritorno dell'Uguale, parrebbe suggerire il volto baffuto che sfila dallo scaffale. Non so. Un'asimmetrica simmetria, vorrei dire. Putroppo, sei mesi sono sufficienti ad una simmetria per apparire fugace e poi frantumarsi. Visceralità, ripete la parte più solitaria di me. Quella arroccata sulle cime più gelide, e si compiace della prevedibile incapacità della parte profonda di sradicarsi dal suo substrato viscoso. Molle viscosità. Le vette sono fredde, pungono e stridono, la solitudine assordante. Eterno ritorno dell'uguale, variazione sul tema. Purtroppo, è così. "Purtroppo": termine che denota rammarico, delusione, aspettative disilluse. L'errore e fonte di dolore è proprio l'aspettativa. Ogni volta ricado in conclusioni buddhiste, in ricette di distacco che, in un'ottica matura, puzzano di ennesima illusione. Non è possibile scindere la natura duale, viscero-razionale, che fonda la nostra meravigliosa schizofrenia. Separare le parti equivale a morire. Amputare le membra equivale ad agonizzare in un angolo. Non si esce dal paradosso. Ed è qui che l'essere ultrazionale si riscatta (liberandosi ma anche pagando un riscatto)! Non con la fuga narcotica del rancore, non con la fuga ipocrita dell'ascesi. Ridere e deridersi, lanciarsi alla cieca su per le ripide vette, finché il gelo più feroce non ci impedirà di andare Oltre. Quel punto, non la Vetta, ma il mio Limite, sarà il rifugio, provvisorio, in attesa di una nuova caduta.
Siamo pendoli, oscillanti. 
L'urto violento è solo il preludio di una futura ricaduta.

                          L'allusione immediata è un'illusione mediata. Idem per l'ultima riga, la più (C)autoreferente.

sabato 19 dicembre 2009

La neve

La neve prende il prozac: si lascia cadere, non ha colore, è fredda, si scioglie se la tocchi, riflette troppo...

venerdì 18 dicembre 2009

Sintesi e genesi del post precedente

Il fatto stesso che si discuta o meno della plausibilità del cambiamento climatico come motivazione delle politiche ecologiche e di sostenibilità energetica e ambientale dimostra che, alla fine, rimaniamo degli esseri meschini. Si migliora per il miglioramento in sé, non per paura di un (presunto) peggioramento in atto.

CHI SE NE FREGA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO!

Una delle citazioni permanenti sulla barra laterale di questo blog è la seguente:

“Se davvero le persone sono buone soltanto perché temono una punizione o sperano in un premio, allora c'è davvero poca speranza per l'umanità”.
A. Einstein

Essa è uno dei miei imperativi, una delle frasi che guidano il mio agire. Non miro al bene per un premio, non evito il male per paura di essere scoperto e punito. Faccio il bene perché deve essere fatto, non per la probabile utilità che ne ricaverò (ovviamente, spesso, il bene porta anche utilità, ma ciò è un effetto, non il fine dell'azione). Non sono amico per avere qualcosa indietro, ma perché stimo quella persona e sento che merita una parte del mio tempo e delle mie attenzioni.
In questi giorni si svolge la Conferenza Internazionale di Copenhagen sui cambiamenti climatici e sulle strategie da intraprendere per arginare, contenere, minimizzare le presunte implicazioni "negative" di tale cambiamento climatico sull'economia e sulla politica mondiale.
Come tutti le tematiche controverse, quella del cambiamento climatico ha la sua schiera di sostenitori e detrattori. Esistono numerosi scettici all'ipotesi del cambiamento climatico, e numerosi scettici all'ipotesi che tale cambiamento climatico sia anche solo "arginabile" (ammesso che abbia senso questo concetto applicato alle macrodinamiche geo-climatiche mondiali).
In ogni caso, è un dato di fatto che il concetto di "crisi climatica" abbia intensificato la sensibilità verso concetti quali l'eco-sostenibilità, le energie rinnovabili, l'autosufficienza delle economie emergenti, l'economia "verde". La diffusione di tutti questi concetti è quindi un effetto della paura del cambiamento climatico.
Tutto ciò è molto meschino.
Valori positivi, volti al miglioramento in sé della nostra vita, sono riconosciuti tali solo perché alle loro spalle si erge la minaccia della "punizione climatica": "se non diventerai più eco-buono, sarai punito!".
Abbiamo il dovere di migliorare le nostre vite, di costruire società ecologicamente, economicamente ed energeticamente più "umane" e giuste. Non per paura di annegare, soffocare, bollire o seccare, ma perché è un dovere di ogni essere umano che sente di essere ben più della semplice somma delle sue esigenze contingenti.
Le buone azioni climatiche vanno fatte perché è giusto farle, non per paura. Per questo dico agli scettici ed ai sostenitori del cambiamento climatico: CHI SE NE FREGA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO!

giovedì 17 dicembre 2009

Condanna di un paleontologo

Perché così tanto amore per l'altroieri?
Perché non conosco un amore che arrivi al dopodomani.

Paleontologia e Paleo-teologia



Tavola di Michael Skrepnick che illustra un classico sacramento paleoteologico: una caccia sociale 
La scienza si basa sulle evidenze. Senza prove (dirette o indirette) un'affermazione non ha valore scientifico. Ovviamente, un'affermazione può essere priva di prove oggi, ma avere tutte le potenzialità per averne in futuro. La fede è invece indipendente dalle evidenze. Anzi, spesso essa è dichiaratamente affermata proprio in assenza di evidenza. "Credo nonostante sia assurdo. Credo proprio perché non ho prove". Questo modo di pensare arriva all'estremo con l'affermazione di credere proprio perché l'assenza di prove costituisce La Prova. Alla radice della distinzione tra scienza e fede è un'atteggiamento nei confronti dell'assenza di evidenze. Per il ricercatore scientifico, l'assenza di evidenze non è mai una prova di evidenza di assenza. Chi può negare, in futuro, che nuove evidenze potranno confermare un'ipotesi per ora priva di prove? Ovviamente, fino al giorno in cui tali presunte prove saranno trovate, l'ipotesi resta una speculazione gratuita, una congettura. Possibile, ma non utilizzabile nel dibattito scientifico. Al contrario, l'atteggiamento del fedele è più attivo nei confronti dell'assenza di prove. In particolare, egli dispone di una scappatoia molto potente, che permette di rafforzare la fede con l'ignoranza. Ovvero, dove l'assenza di prove impedisce allo scienziato di affermare alcunché, il fedele vede un'evidenza extra-scientifica, accettabile (solo) con la fede. Il passaggio è sottile, quasi subdolo: esso sfrutta l'onestà intellettuale dello scienziato di fronte alla vastità della Natura, onestà che ammette l'attuale limite della Conoscenza, per scavalcarlo ed imporre la sua bandiera in un territorio di ignoranza. Per molti ciò appare quasi ovvio. "La Scienza non può spiegarlo" è diventato un incipit di "La Fede può spiegarlo". Eppure, tale nesso non è necessario, né ovvio. La fede è un mix di arroganza ed ingenuità. Arroganza di poter travalicare i limiti di ciò che la mente umana può raggiungere con i soli mezzi della ragione e dell'osservazione, ingenuità che tale atto sia lecito, corretto e, sopratutto meritevole di essere considerato allo stesso piano della conoscenza.
Sebbene questa distinzione tra fede e scienza spesso si discuta in ambiti quali la cosmologia (ad esempio, nel capire se e cosa ci sia aldilà dei più remoti confini spazio-temporali dell'Universo conosciuto, i quali coincidono relativisticamente con le origini del Cosmo), essa è applicabile anche in paleontologia.
La paleontologia è lo studio della vita del passato sulla base delle evidenze, prettamente fossili, ma anche geologiche e biologiche attuali. Un paleontologo scientifico ha il dovere di rimarcare sempre quali siano i limiti conoscitivi della sua disciplina. Aldilà di tali confini non siamo più nella paleontologia, perché non disponiamo di evidenza per sostenere o smentire alcuna affermazione o ipotesi. Esso è un dominio lecito per la speculazione, la fantasia, l'immaginazione, ma NON per la paleontologia. Eppure, molti saltano tranquillamente aldilà e aldiqua ti tale confine con noncuranza, forse con ingenua sconsideratezza, dimenticando che di là NON è paleontologia. E cos'è? Propongo di chiamare la zona aldilà della paleontologia che si occupa di argomentare il Tempo Profondo in assenza di evidenze come Paleoteologia.
Classiche ed abusate affermazioni paleoteologiche sono, ad esempio, il colore della pelle degli animali estinti sulla base di argomentazioni attualistiche; la socialità complessa sulla base di argomenti di "plausibilità", mescolati ad una grossolana teoria dell'evoluzione sociale. Interessante aspetto della paleoteologia è una fede sincera che la sola logica, l'analogia e l'argomentazione basata su categorie retoriche come "nicchia ecologica" siano sufficienti a sostenere la validità di un'ipotesi. Il paleoteologo non ha alcun problema ad argomentare ipotesi evolutive, comportamentali ed anatomiche sulla base della totale assenza di prove, dato che, nella sua mente, quelle prove esistono, come emanazioni necessarie di un Paleo-Logos (nessuna allusione a siti web, ma solo al Logos della teologia) che deve costruire la realtà estinta per conformarla alla realtà attuale. Ovvero: gli animali hanno un colore, quindi anche gli animali estinti avevano un colore. Le leggi che dettano il colore attuale sono anche le leggi che dettano il colore estinto. Quindi il colore degli animali estinti è deducibile. Gli animali hanno un comportamento, quindi anche gli animali estinti avevano un comportamento. Le leggi che dettano il comportamento attuale sono anche le leggi che dettano il comportamento estinto. Quindi il comportamento degli animali estinti è deducibile. Badate bene che queste affermazioni sono assolutamente lecite (si tratta di un approccio attualistico, tipico delle scienze storiche come la geologia), ma solo se utilizzate per NEGARE eventuali scenari, non per AFFERMARNE altri. L'attualismo ci porta a negare che i dinosauri fossero fatti di metallo, comunicassero telepaticamente, o sputassero fiamme, NON ci porta però ad affermare che avessero la pelle rossa maculata (o qualsiasi altro manto particolare), cacciassero in branchi organizzati, cantassero durante la stagione degli amori, ecc... Queste ultime affermazioni ed argomentazioni sono speculazioni paleoteologiche. Esattamente come la teologia ha tutto il diritto di argomentare le sue tematiche, ma nondimeno deve essere sempre separata e distinta dalla scienza, così la paleoteologia ha tutto il diritto di argomentare le sue tematiche, ma nondimeno deve sempre essere separata e distinta dalla paleontologia.

Personalmente, non mi interessa la paleoteologia. La paleontologia è sufficientemente ricca e appassionante per colmare tutte le mie esigenze di conoscenza del Tempo Profondo. Inoltre, trovo che la confusione presente in molti, incapaci di separare paleontologia da paleoteologia, sia dannosa alla paleontologia. Ovviamente, io ho un naturale scetticismo e inclinazione empirista e non sono mai stato una persona molto religiosa (nel senso neutro del termine), quindi probabilmente non ho un'inclinazione (paleo)teologica. Tuttavia, a giudicare dall'accanimento con cui molti discutono prima di tutto di paleoteologia e poco di paleontologia, temo di appartenere ad una minoranza.

martedì 15 dicembre 2009

Terapia o pazzia? Aggiornamento di dicembre

Definire il mio "stato" è difficile. 
 Cosa faccio...

                          
                                                       Scrivo ancora lettere.


domenica 13 dicembre 2009

Trieste

Ieri, per la prima volta, ho visitato Trieste. La visita è stata di sfuggita, dato che era finalizzata a partecipare alla presentazione del nuovo dinosauro italiano Tethyshadros insularis Dalla Vecchia (2009), di cui parlerò estesamente a tempo debito su Theropoda.
Qui voglio solo soffermarmi sulla città di Trieste, sulla sua bellezza incastonata tra il mare ed i Balcani, sul vento di una fredda giornata di sole di fine autunno, con la luce radente prossima al solstizio che rende il mare una tavola argentata che ammanta le sagome remote dall'altra parte del golfo.
Spero di tornare in futuro a visitarla.

mercoledì 9 dicembre 2009

Difetto degli Eroi

Chi sa di essere nel giusto, si illude di agire per una buona causa.
L'illusione della buona causa è che abbia un buon effetto.
Un buon effetto non implica un lieto fine.

Morale: essere nel giusto non implica un lieto fine.

Oblio

Cosa fa sì che determinati ricordi siano dimenticati spontaneamente, mentre altri devono essere rimossi solamente con una dolorosa operazione di chirurgia volitiva? Scoprire l'origine di questi meccanismi potrebbe essere con ugual probabilità la strada per il paradiso o l'inferno.
Dove mi situo nei ricordi degli altri? Perché per alcuni sono poco più che un effimero mese passato, mentre per altri sono radicato nelle fondamenta dell'essere? Scoprire l'origine di questi meccanismi potrebbe essere con ugual probabilità la strada per la libertà o la schiavitù.

sabato 5 dicembre 2009

Domenica di Theropodesca Ultrazionalità (o di Ultrazionale Theropodità)


Domani pomeriggio esporrò una presentazione che unisce il tema a me più caro (Theropoda) con il modo a me più congeniale (Ultrazionale). Spero che i presenti si divertiranno e gradiranno l'evento. Appena sarò tornato, posterò l'accaduto.

Per i dettagli logistici del dove e quando, vi rimando qui.

venerdì 4 dicembre 2009

Come un passato recente, oggi la neve

Solo nell'aria.
Appena il suolo la sfiora, si dissolve.

martedì 1 dicembre 2009

La fauna di Jurassic Park è troppo bella per essere credibile


Uno dei fondamenti della letteratura fantastica è l'Asserzione di Plausibilità (AP), ovvero, il patto narrativo (quasi sempre implicito per il narratore ed inconscio per il lettore) in base al quale il lettore accetta provvisoriamente una riduzione del grado di "realtà" ed accoglie in modo acritico la narrazione della storia. Ovviamente, l'AP è variabile da persona a persona e da romanzo a romanzo. Nessuno si pone problemi di AP nelle storie Fantasy, mentre ha un livello più critico di AP nelle storie fantascientifiche, dove è sì ammesso un certo grado di libertà creativa, ma all'interno di determinati vincoli imposti dalle leggi naturali e logiche. Ad esempio, in alcuni romanzi fantascientifici viene liberamente violata la fisica, ammettendo velocità superiori a quelle della luce. Io sono per l'AP più ristretta possibile, ad esempio, preferisco storie che non violano leggi naturali fondamentali, non usano stratagemmi fantastici o soprannaturali, e, sopratutto si mantengono entro un range di plausibilità.
Data questa premessa ed il titolo del post, penserete che voglia discutere della plausibilità o meno di clonare dinosauri partendo da zanzare mesozoiche racchiuse nell'ambra. No. Sarebbe futile e già discusso altrove. Infatti, io accetto l'AP base del romanzo di Crichton ed accetto senza discutere che sia possibile clonare dinosauri in quel modo: lo faccio proprio perché esso è l'unico modo per godere della storia del romanzo. So benissimo che nella realtà ciò è praticamente impossibile (esiste un interessante libro che discute tutta la base scientifica di Jurassic Park, e non voglio ripetere ciò che là è scritto molto bene), ma dò credito al narratore del romanzo, ammetto l'AP della storia, e mi leggo le vicende dando per scontato che, nel mondo virtuale di Jurassic Park, sia possibile clonare dinosauri. Benissimo, accetto questo fatto perché esso è chiaramente al di là della realtà fisica e biologica, ma, una volta ammesso ciò, il romanzo è plausibile? In un punto, bisogna essere onesti, esso è ancora molto molto molto ottimista.
La fauna che viene ricreata in Jurassic Park è al limite dei più ottimistici sogni di un amante dei dinosauri. La fauna di Jurassic Park (parlo del romanzo, per ora tralascio il film, ma la sostanza del discorso è la stessa) ha tutti i dinosauri più famosi ed amati. Tyrannosaurus, Apatosaurus, Triceratops, Stegosaurus, Maisaura, Styracosaurus, Euoplocephalus... Per la precisione, abbiamo 14 generi (più uno pterosauro, che per ora ometto dal discorso), tutti basati su generi noti e "famosi".
"E allora?" direte voi.
Questa associazione faunistica è assolutamente improbabile, un colpo di fortuna pari a quello di aver inventato la tecnica per clonare dinosauri.
Mi spiego.
Seguendo la logica del romanzo, questi dinosauri sono stati ricreati da DNA presente in ambra fossile. Pertanto, questo DNA è scoperto casualmente, e non può essere identificato come genere di dinosauro fino a quando il processo di clonazione è concluso. Perciò, la probabilità di un genere di essere clonato è inifluente dalla sua notorietà o meno. Tutti i generi di dinosauro esistiti nel Mesozoico avrebbero la stessa probabilità di essere clonati. Dato che i generi stimati di dinosauri esistiti sono circa 2000-5000 (a seconda delle stime e dei metodi di estrapolazione della biodiversità fossile), risulta che ciascun genere ha circa 0.02-0.05% di probabilità di essere estratto a sorte da una lista completa dei generi. Dato che Jurassic Park ha 14 generi di dinosauro, ogni genere fossile ha quindi circa 0.28-0.70% di probabilità di essere clonato. Possibile che con una probabilità così bassa per ciascun genere si ottenga di scoprire proprio i generi più amati dal pubblico? La lista completa dei generi che ho citato sopra ha una probabilità del 0.00000000000008% di esistere in un ipotetico Jurassic Park. In particolare, dato che si stima che solo il 30% dei generi di dinosauro esistiti sono stati scoperti, risulta che ben il 70% dei generi rinvenibili a caso dai campioni di ambra dovrebbero appertenere a generi ancora sconosciuti alla paleontologia. Invece, per un'incredibile fortuna (praticamente impossibile), tutti i generi clonati nel Jurassic Park sono generi già noti alla paleontologia.
Ho voluto fare una prova, e ho voluto crearmi il mio Jurassic Park. Per farlo, ho voluto essere più realistico di Crichton, ed estrarre a caso i 14 generi del mio parco traendoli da una lista plausibile di generi di dinosauri. In quella lista, il 70% dei generi sono "ancora sconosciuti", mentre il restante 30% include tutti i generi già noti (non solo quelli più blasonati e accattivanti, ma anche taxa poco noti come Kemkemia o Echinodon). Il risultato, a parte un'incredibile casualità che sembra uno scherzo del destino, è questo:
Genere Sconosciuto
Genere Sconosciuto
Buitreraptor, un piccolo dromaeosauridae dal muso allungato.
Rinchenia, un oviraptoride crestato.
Genere Sconosciuto
Udanoceratops, un piccolo ceratopso primitivo.
Genere Sconosciuto
Genere Sconosciuto
Genere Sconociuto
Genere Sconosciuto
Chrichtonsaurus! Un ankylosauro dedicato all'autore di Jurassic Park...
Dracopelta, un piccolo ankylosauro primitivo.
Tugulusaurus, un coelurosauro primitivo.
Genere Sconosciuto
Genere Sconosciuto

Come vedete, in condizioni leggermente più realistiche di quelle del romanzo, il Jurassic Park sarebbe popolato da una maggioranza di generi ancora sconosciuti alla scienza (forse simili a generi già noti, oppure molto bizzarri ed inattesi) e da una manciata di poco noti (e forse poco accattivanti) generi noti. Per caso, tra i generi noti sono due ankylosauri e una manciata di coelurosauri.
La presenza del Crichtonsaurus, genere dedicato al defunto autore del romanzo che ha ispirato questo post, è a dir poco inquietante...

mercoledì 25 novembre 2009

L'esteriorità degli (altri) ominidi, interiorità di Homo sapiens









Il mio approccio alla paleoarte si discosta da quello della maggioranza degli appassionati di ricostruzioni preistoriche. In quanto ricercatore e appassionato studioso di paleontologia, ho abbastanza chiaro il limite della paleontologia. Moltissimi dettagli del passato sono andati perduti. Perduti per sempre. Pertanto, non è nella paleoarte che li cercherò. Molti invece vivono la paleoarte con questa impostazione, con questo sentimento: essa deve riportare in vita ciò che la paleontologia non può riportare in vita. Io chiamo questo approccio, "Invidia della zoologia". Chi soffre di invidia della zoologia non sopporta che la paleontologia non possa essere vissuta in maniera totale, come un'esperienza fatta di immagini, colori, suoni, persino situazioni. Tale invidia produce frustrazione, che si somatizza adorando la paleoarte.
Io amo la paleoarte per altri motivi. Essa è una fantastica fonte di informazioni sull'anima dell'Homo sapiens attuale. La paleoarte è lo sfogo dei sogni post-moderni, è un luogo mitico dove Scienza e Mito si possono fondere, è il ricettacolo di pregiudizi e aspirazioni incosce. Ciò è tanto vero quanto più l'oggetto della paleoarte è vicino a noi, quanto più può rappresentarci. Un trilobite ha una carica mitologica minore di un tyrannosauro o di un ominide, di conseguenza, tenderà ad essere rappresentato in forma più "oggettiva" rispetto agli altri due.
In particolare, l'iconografia degli ominidi fossili è quanto di più soggettivo, ideologico e viscerale la paleoarte possa darci.
Conosciamo molto degli ominidi fossili: scheletri, denti, utensili, tracce di focolari. Non possiamo però conoscere ciò che vorremmo sapere più profondamente: il loro aspetto esteriore. I muscoli sono ricostruibili dalle tracce osse, ma non possiamo ricostruire la pelle, il suo colore, e, sopratutto, la forma e distribuzione di peli e capelli. Questi tratti esteriori, così importanti in noi, sono quindi in totale balia della soggettività di chi ricostruisce (artisti ma anche scienziati che collaborano con gli artisti). Guardate questa carrellata di ricostruzioni: tutte riguardano Homo neandertalensis, la specie ominide più famosa. Si passa da esseri quasi glabri a forme ricoperte di pelliccia, soggetti scuri o chiari, con capelli irsuti, ricci, lisci, radi, visi barbuti, umani oppure scimmieschi. Sempre la stessa specie, ma raffigurata in modi opposti.
Queste iconografie non hanno alcuna sostenibilità scientifica, nel senso che non disponiamo di alcun dato per stabilire se e quanto ciascuna si avvicini alla realtà perduta. Forse potremo un giorno scoprire un individuo congelato nei ghiacci siberiani, ma fino ad allora, dovremo solo ipotizzare, ovvero, lasciarci guidare dalle emozioni, dalle nostre inclinazioni e pregiudizi.
In particolare, ho notato che, indipendentemente dal tipo di ricostruzione, tutti gli artisti siano guidati da un ingiustificata equazione estetica:
Grado di somiglianza estetica = Grado di intelligenza.
Ovvero, se l'ominide è ritenuto prossimo a noi come capacità intellettive, allora sarò di aspetto "umano" (glabro, con capelli fluenti, sguardo vivo), se è ritenuto privo di intelletto umano, sarà raffigurato come una scimmia (con pelliccia, capelli corti o indistinguibili dal pelo, occhio spento). Questa equazione è totalmente ingiustificata, totalmente ideologica, fatta più per soddisfare i nostri pregiudizi antropocentrici che una reale logica evolutiva.
L'evoluzione intellettiva e quella epidermica non sono, fino a prova contaria, due fenomeni legati in alcun modo. Ad esempio, perché la presenza o assenza di pelo sarebbe legata all'intelligenza? Essa è probabilmente legata alle condizioni climatiche, e forse è vincolata a meccanismi quali il processo di maturazione individuale, ma non pare aver affinità col cervello.
(Opinione personale: Io propendo per immaginare gli ominidi delle fasi glaciali come ricoperti di pelo, dato che, a parte Homo sapiens, non esistono tracce di indumenti, e, sopratutto, di strumenti da cucito, quali aghi in osso, oggetti molto elaborati da produrre, appannaggio finora solo nostro ed assolutamente fondamentali per cucire abiti efficaci nella difesa dal freddo: non crederete alle assurde immagini dell'uomo preistorico che va in giro in mutande di pelle o con ridicoli mantellini di pelliccia legati alla vita, a caccia di mammuth e rinoceronti lanosi! Morirebbe surgelato in un'ora! Non ha senso oggi, figurarsi in piena glaciazione!).
Noi sappiamo che Homo sapiens è quasi privo di pelo, mentre i suoi parenti più prossimi viventi (scimpanzè e gorilla) sono ricoperti da pelliccia: ciò non ci dice nulla sul momento lungo la linea evolutiva, che va dalla separazione dalle altre scimmie fino a noi, in cui la pelliccia scomparve. La posizione di tale momento (più o meno vicina a Homo sapiens) è totalmente frutto di pregiudizi pseudo-evolutivi.
La prova a mio avviso più evidente di ciò è data dall'assurda abitudine di raffigurare gli "australopiteci robusti" come ricoperti da pelliccia, mentre gli Homo habilis, vissuti nello stesso loro momento e luogo geografico, vengono raffigurati con poco/niente pelo: eppure, anche ammesso, ma non dimostrato, che Homo habilis avesse qualche tratto mentale più simile a noi non è un motivo per dargli una pelle "più umana": il motivo, ovviamente, è che il nome "Homo" attribuito arbitrariamente a questo fossile lo caratterizza come più "umano" di un australopiteco, e tale caratterizzazione deve essere sancita da un'icona estetica, nonostante sia priva di prove.

Per capire quanto la presenza o meno di determinati caratteri esteriori influisca sul nostro giudizio di "valore evolutivo", guardate questo scimpanzè, nato con una mutazione che inibisce lo sviluppo del pelo. Sicuramente ha le stesse capacità mentali dei suoi simili, eppure, il suo aspetto pare dargli un'umanità maggiore, e, quindi, un maggiore valore ai nostri occhi razzisti.

martedì 24 novembre 2009

I Miti dell'Anello che non fu (ma che potrebbe essere)


Dopo aver visto questa simulazione, ho avuto una visione.

Prologo necessario:
In un futuro non troppo lontano...
L'umanità, per scongiurare l'impatto della Terra con un asteroide, riuscì a dirottare l'orbita di quest'ultimo, ed a disgregarlo. Conseguenza di ciò, parte dell'asteroide, sotto forma di polveri e pulviscolo, si dispose in orbita permanente attorno alla Terra, formano una serie di anelli.

Qui parte la visione vera e propria:
Migliaia di anni dopo, la civiltà è scomparsa e l'umanità è tornata ad una condizione neolitica. Popolazioni disperse in gruppi isolati vivono in alcune aree della Terra.
Immaginate come ogni gruppo, alle diverse latitudini, potrebbe rapportarsi con l'anello. I corpi celesti più grandi, come il sole e la luna, hanno sempre avuto un posto preminente nelle mitologie e nelle religioni. Pertanto, l'anello sarebbe sicuramente parte significativa nella cosmogonia e mitologia di eventuali popoli pre-scientifici. Ma a differenza degli altri corpi celesti, l'anello varia la sua forma in funzione della latitudine, e, di conseguenza, è percepito in modo differente.
Le popolazioni viventi all'equatore avrebbero una differente concezione dell'anello, il quale apparirebbe loro come una sottile striscia verticale che taglia in due la volta celeste. Al contrario, popoli viventi a latitudini medio-alte vedrebbero costantemente l'anello come un'ampia fascia inclinata. Questi popoli non conoscerebbero mai notti totalmente buie, perché avrebbero sempre l'illuminazione solare derivante dalla parziale riflessione della luce contro l'ampia fascia dell'anello.
Inoltre, eventuali popolazioni dedite alla navigazione trarrebbero vantaggio dalla differente forma che l'anello acquista in cielo durante la navigazione da nord a sud (e viceversa).
Materia per suggestioni fantascientifiche, fantastoriche, antropologiche ed ucroniche...

domenica 22 novembre 2009

La Mitologica Influenza del Perfido Animaletto



L'Italia è un paese ignorante e superstizioso. Questa è la descrizione modale, basata sul campione più rappresentativo di individui. Ovviamente, esistono minoranze illuminate, istruite, scientificamente aggiornate e non superstiziose, ma, rimarco, esse sono minoranze. La maggioranza è ignorante e superstiziosa, ovvero, non conosce la maggioranza dei concetti e delle informazioni alla base della loro esistenza e crede in concetti e informazioni obsoleti e privi di alcuna validità oggettiva. Provate a smentirmi. Quanti tra coloro che utilizzano giornalmente il computer ed il telefonino conoscono anche solo i concetti basilari dell'informatica, dell'elettronica, della fisica delle onde elettromagnetiche? Essi usano oggetti fondati su concetti a loro totalmente ignoti, e, di conseguenza, usano questi strumenti assumendo che siano "magici". Da questo punto di vista, essi sono relativamente più arretrati di un contadino medievale, il quale, perlomeno, conosceva struttura e funzione degli oggetti della sua vita quotidiana. Risultato di questa abissale asimmetria tra tecnologia diffusa e ignoranza profonda è il dilagare del mito, più o meno pilotato per esigenze economiche e politiche, fondamento primo di ogni società liberticida ed antidemocratica.
In questi giorni dilaga la paranoia da pandemia influenzale. Non solo i media fomentano una paura irrazionale verso un fenomeno annuale (o al più decennale nelle forme più intense), ma si affrettano a modificarne la versione non appena i fatti dimostrino la sua falsità.
Il numero dei morti provocati dall'influenza di questo anno rientra nella casistica nota dagli epidemiologi. Nondimeno, i media tengono la popolazione costantemente aggiornata sui nuovi casi mortali, quasi che, per la prima volta nella storia, l'influenza uccida. Inoltre, non appena le previsioni catastrofiche vengono smentite, ecco giungere la notizia che il virus è mutato, divenendo più pericoloso. I ceppi influenzali mutano, per ovvie ragioni note a chiunque abbia una chiara nozione di cosa sia un virus e come avvenga l'evoluzione darwiniana. Pertanto, la diffusione di un ceppo più virulento dell'influenza, conseguenza adattativa, evolutiva, dell'interazione tra prevenzione e vaccinazione umana e casualità delle mutazioni in popolazioni virali, dovrebbe fare notizia come una nevicata in gennaio. Ovviamente, la razionalità e la consapevolezza non sono valori diffusi in una società fondata sulla superstizione e sulla persistenza dell'ignoranza. L'importante, è tenere la popolazione soggiogata (alla politica e all'economia dominanti) tramite i miti.
Non nego l'importanza della vaccinazione e della prevenzione, contesto il modo con cui questi concetti vengono diffusi.
Se l'influenza deve essere percepita più con le viscere che con la ragione, è ovvio che il suo vettore deve essere caricato di valori emotivi profondi e relativamente semplici. Se la popolazione fosse informata che un virus non è altro che una microscopica macchina biochimica, un aggregato di proteine e acidi nucleici, funzionante solo come replicatore di se stesso all'interno di determinate cellule umane, probabilmente reagirebbe in maniera meno emotiva e, quindi, meno soggiogabile dalla strumentalizzazione mediatica (e di chi la gestisce). Una macromolecola dannosa per l'organismo umano suscita emozioni meno intense che "un perfido animaletto". Se si diffonde la concezione che l'influenza è prodotta da un "perfido animaletto", è evidente che si inculca una reazione emotiva molto più forte, più irrazionale e, purtroppo, più dolorosa. La paura di essere attaccati da un "perfido animaletto", capace di insinuarsi dentro di noi, come un demone, uno spirito maligno volto al nostro dolore, è un potente strumento di propaganda e di persuasione. Il "perfido animaletto" è, ovviamente, un essere con un grado di individualità, intenzionalità, e, quindi, di colpa, molto maggiore di una macromolecola nucleoproteica. Esso, da agente patogeno, diventa soggetto colpevole, "nemico", contro cui non è in atto una campagna medica, bensì, una guerra (e, con essa, la chiamata alle armi, l'ottusa mentalità militare dell'obbedire senza pensare, del sottostare ad una causa suprema!). Inoltre, la sua perfidia, quindi, la sua natura maligna, implicitamente rimanda a entità soprannaturali, mantenendo viva l'obsoleta mitologia delle superstizioni dominanti.
Credete che stia esagerando? Forse... tuttavia, il termine "perfido animaletto" non è una mia invenzione: esso è stato usato in un servizio giornalistico di un notiziario nazionale (e statale), ieri, all'ora di pranzo!
Le parole non sono mai dette a caso.

domenica 15 novembre 2009

PUNTO PUNTO TRATTINO IN MEZZO PARENTESI APERTA

sabato 14 novembre 2009

L'infelicità di un albero che vorrebbe volare


Ogni autunno, l'albero si deprime e rattrista. Ripensa all'ennesima estate perduta, si illude di una prossima primavera che potrebbe non giungere.
La sua scorza tradisce il suo animo.
La stupidità è la recidività di fronte ad errori sempre identici, reiterati a causa dell'ottusità, ottusità alimentata a sua volta da un duplice difetto congenito chiamato arroganza ed orgoglio: se accettasse i suoi limiti, con tutto ciò che comporta, l'albero non si illuderebbe di poterli superare, e non ripeterebbe sempre la stessa sequenza di errori.
Se non è nato con le ali, ma anzi, ha delle vistose radici infisse nel terreno, rugose nodosità che l'inchiodano al suolo, non ha senso soffrire se il vento non ha alcun interesse a sollevarlo in aria. 
Vano è soffrire per ciò che si è. 
Il fatto che ad altri esseri, privi di fusto, incapaci di produrre fiori e frutti, ma nati, per caso, con le ali, il vento conceda senza problemi, dubbi o titubanze di librarsi senza tutto l'immane sforzo che invece l'albero deve esercitare anche solo per godere della brezza, non fa che confermare questa realtà.
Triste condanna di un albero innamorato del vento.

giovedì 12 novembre 2009

Certe sere, come questa, esiste solo una cura dalla propria voce: il sonno.
Buonanotte a chi, come me, non ha voglia di sentire la propria voce saturare il vuoto, almeno per questa sera.

Dialogo (demenziale) sopra i massimi siti di ominidi africani

Tavola di J. Matternes raffigurante l'evento di Laetoli

Questo dialogo tra due ominidi nacque ai tempi dell'università. Il primo incontra il secondo, gli chiede dove vada, e lo esorta a restare dove si trova.

Ominide A: "Omo!"
Ominide B: (si ferma)
Ominide A: "Ol-du-vai?"
Ominide B: " A-dar!"
Ominide A: " A-far?"
Ominide B: "..."
Ominide A: "L'(a)e to' lì!"

mercoledì 11 novembre 2009

Jennifer


"Jennifer" è il nome di questa tavola, raffigurante un Parasaurolophus.
Non chiedetemi il perché del nome "Jennifer". Ammesso che ce ne fu uno sensato, l'ho dimenticato. Il tratto è rapido e netto, una mano decisa, ispirata. L'osservatore più attento noterà che manca una zampa posteriore, appena accennata nel contorno. Jennifer è un'opera incompleta. Nacque come ispirazione di un pomeriggio, e si completò (tranne la zampa mancante) in poche ore. Era un periodo magico, veramente ispirato, quello in cui nacque Jennifer. Oggi non riuscirei nemmeno ad abozzare la sagoma. Non sento quel genere di ispirazione, non pulsa alcuna scintilla frenetica che guida la mano, plasma l'immagine sulla carta prima ancora che la matita la sfiori, anima le ore della creazione. Gli antichi reificarono questa miscela di impulsi e passioni, di lucida elaborazione carica di vitalità, quasi autonoma emanazione di uno spirito demoniaco infuso nella mente, col nome di Musa. C'era una Musa in quei giorni? Un mix di illusoria negazione del futuro, di inconscio oblio del passato, quella era la Musa. Ingenuità e stupidità gioiosa, fine a sé stessa.
Dopo di allora, si è spento il sole. Che fine abbia fatto la Musa, non so. Forse, ma non riuscirei ad accettarlo completamente, non è mai esistita, aldilà della mia pazzia di quei giorni, o forse, esiste, e si è stancata di questo misero mortale. Ha giocato per qualche tempo con le sue membra, con la stessa noncuranza con cui noi trastulliamo un nuovo balocco che pare soddisfare l'estro del momento, forse, con la stessa cecità con cui il balocco si lascia ammaccare.
Poi, ha smesso di vederlo, per limitarsi solo a guardarlo.
Infine, non l'ha guardato più.

domenica 8 novembre 2009

Dubbi

Forse, devo iniziare a dubitare veramente di me stesso.
Forse, la contraddizione tra miei "valori" e realtà dei fatti si risolverebbe smettendo di avere quei valori.
Non so. Empiristicamente, dovrei aver accumulato sufficienti cicatrici da ricavarne un'esperienza generale, una "legge". Il fatto che non la condivida, perché contraria ai miei "valori", non la rende meno "reale".
I valori erano solo favole?
Smettere di credere in "draghi e cavalieri, principesse e..." cose del genere?
Forse, ma come alternativa è deprimente.

sabato 7 novembre 2009

Nobiltà e mediocrità

La vera nobiltà ed eccellenza non sta nell'evitare di sbagliare, perché la possibilità dell'errore è insita nell'agire, bensì, nell'ammettere che l'errore poteva essere evitato, nell'impegnarsi a non ripeterlo, nel migliorarsi.
La vera mediocrità non sta nel commettere errori, bensì, nel giustificarsi del proprio errore citando gli errori altrui, nel mostrare che altrove è stato fatto peggio.

giovedì 5 novembre 2009

Vota il tuo paleontologo di finzione preferito


Pak del blog Pakozoico ha aperto un curioso ed interessante sondaggio tra i suoi lettori, per eleggere il paleontologo di finzione (tratto da romanzi, film o serie televisive) preferito. Io ho votato. Fatelo anche voi, visitando il suo blog.

mercoledì 4 novembre 2009

Quello che vedo dietro un crocifisso in una scuola pubblica

La recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, a favore di una cittadina italiana che chiedeva la rimozione dei crocifissi dalla aule scolastiche, e la reazione "contrariata" della maggioranza dei politici (e probabilmente, dei cittadini) italiani di fronte a questa sentenza non fa che confermare ciò che mi appare sempre più chiaro: l'Italia non è uno Stato laico, nè veramente democratico.
Molte delle argomentazioni dei critici a questa sentenza sono palesemente demagogiche, infarcite di parole quali "popolo", "tradizioni", "radici", molto efficaci nel colpire le viscere, grazie alla loro fumosa ambiguità, ma poco stimolanti per la razionalità.
Non capisco perché in uno Stato dichiaratamente non teocratico ed aconfessionale, quale è l'Italia, debbano essere presenti simboli di una religione all'interno degli edifici pubblici. Il fatto che quei simboli abbiano un valore (importante, non lo metto in dubbio) per la maggioranza dei cittadini, non giustifica la loro presenza in edifici che sono rivolti a TUTTI e non solamente alla maggioranza. Io sono ateo, ed il crocifisso non mi rappresenta alcunché, se non la storia della religione cristiana. Dato che un edificio pubblico non è un luogo di culto cristiano, né un museo della religione cristiana, la presenza del crocifisso è inutile. Essa è una violenza della maggioranza nei confronti delle minoranze, perché inculca l'idea che lo Stato di tutti sia lo Stato solo della maggioranza. Eppure, si presume che tutti i cittadini siano uguali davanti allo Stato, e, quindi, egualmente rappresentati negli edifici statali. Il fatto che il crocifisso sia "anche" simbolo della storia italiana, oltre che della religione dominante, non giustifica la sua presenza negli edifici pubblici. La croce non è un simbolo dello Stato Italiano: perché dovrebbe essere affissa in edifici dello Stato? Allo stesso modo, nessun simbolo ideologico e religioso dovrebbe essere presente in edifici statali. La mia critica non è al cristianesimo, né alle religioni, ma all'abuso del concetto di "maggioranza" in contesti dove esso è irrilevante. La "maggioranza" non ha diritti di rappresentanza privilegiati negli edifici pubblici, nei quali ogni individuo e gruppo ha uguale diritto di essere rappresentato. All'alternativa irragionevole di esporre i simboli di tutti, preferisco la concezione laica di esporne nessuno.
Quanti dei critici della sentenza hanno ragionato sul significato profondo di questo episodio?
Sentire le parole di un religioso che, probabilmente in buona fede, si sconcerta per la rimozione dei crocifissi mi rattrista molto. Le sue affermazioni secondo cui il crocifisso è un "simbolo di pace ed amore universale" sono false: il crocifisso non è un simbolo universale, rappresenta pace ed amore solo per i cristiani, non per tutti. L'opinione atea, islamica, ebrea, buddista, ecc.., non ha valore in Italia? Egli, con le sue parole, esprime l'arroganza di chi non può accettare posizioni e concezioni diverse dalla sua, e che rivendica, senza diritto, un primato della sua religione in un ambito, quello dello Stato, che non gli compete.
Rimuovere i crocifissi non è attaccare i cristiani, bensì, difendere tutti.
Perché una scuola pubblica dovrebbe esporre simboli di una parte (anche se maggioritaria)? Gli altri non hanno diritto di sentirsi rappresentati? Devono crescere con la convinzione di essere cittadini di seconda categoria, non rappresentati dallo Stato? Perché, cari difensori del crocifisso, questo è il prodotto della vostra arrogante concezione totalitaria. Creare divisione e discriminazione dove invece dovrebbe essere coltivata l'uguaglianza ed il valore del pluralismo.
Lo Stato è di tutti i cittadini, non della maggioranza. Oggi la maggioranza è cristiana, ma in futuro potrebbe essere atea, oppure di un'altra religione. Chi oggi è maggioritario, potrebbe in futuro non esserlo più. La vostra concezione totalitaria, in quel contesto, potrebbe danneggiarvi, discriminandovi ed emarginandovi dove, invece, dovreste essere tutelati dallo Stato.
Lo Stato laico, aconfessionale e garante di tutti, al di sopra di simboli e religioni, sarà sempre presente per difendervi, indipendentemente dal fatto che siate o no in posizione maggioritaria.

sabato 31 ottobre 2009

Passaggio per le rapide


In questo periodo, tutto ciò che mi circonda è molto provvisorio ed effimero. Forse, è sempre stato così, ma ora la mia sensibilità è acuita, oppure ho smesso di assumere i narcotici classici di una vita distratta. Ad ogni modo, tutto ciò che si dimostra tale, ma era stato inteso illusoriamente come durevole, produce dolore. L'atto di ancorarsi alle rapide è più doloroso del lasciarsi trascinare. Visto sulle grandi scale, può significare una fase di transizione verso una qualche condizione nuova, la fase di punteggiatura repentina, di rottura della simmetria, la catastrofe (in senso "thomiano") che precede una nuova stagione, un nuovo ordine ancora embrionale.
Vedremo.
Come sta scritto da qualche parte, i nostri sono tempi di transizione, e solo quando ci volgeremo indietro e sentiremo di esserci distinti dall'età precedente, sapremo che la transizione è finita.

Più intelligenti che brutti



Questo post ha un profilo molto basso, ed è più una provocazione che altro.
Accodandomi a recenti polemiche e battibecchi di patetica contingenza politica nostrana, mi sono posto la domanda: cosa scegliere tra "bella e stupida" e "brutta e intelligente"?
Accantoniamo l'ipocrisia. L'estetica è la necessaria forza trainante le nostre scelte sentimentali. Necessaria ma non sufficiente. Il grado di necessità è dipendente dal nostro grado di intelligenza, anche se, ad essere ancora meno ipocriti, dubito che un'intelligenza massima scelga il partner con un grado minimo di bellezza. Ciò sarebbe poco intelligente, contraddicendo l'ipotesi di partenza. Quindi, concordato che l'estetica è necessaria ma non sufficiente, con grado di sufficienza inverso alla nostra intelligenza, qual'è il valore che diamo all'intelligenza dell'altra persona? Una bellissima oca non mi attira, ma nemmeno una sciatta befana col Nobel. Se l'estetica è necessaria, come incide l'attrattiva intellettiva?
Il criterio intelligente e non ipocrita è il seguente: l'altra persona deve essere più intelligente che brutta.
Perché?
Ammettiamo di avere come criterio la versione modificata: "deve essere più intelligente che bella." In tal caso, non potremmo scegliere Miss Italia, dato che, fino a prova contraria, è più bella che intelligente (altrimenti non perderebbe tempo in un concorso di bellezza). Ora, dato che nessuno disdegnerebbe di uscire una sera con Miss Italia, ne deduco che il criterio "più intelligente che bella" non funziona. Infatti, in base allo stesso criterio, sarebbe valida anche la sciatta col Nobel citata prima, cosa che contraddice l'ipotesi di partenza che "l'estetica è necessaria (anche se non sufficiente)".
Il criterio "più intelligente che brutta" è invece molto onesto e realista. Infatti, l'intelligenza compensa la bruttezza, ma non influisce minimamente sulla bellezza (come insegna la sempre immortale Legge di Thais).
Chi, come me, è molto attratto dall'intelligenza (quella vera, non la semplice ostentazione di cultura o il nozionismo logorroico tipico di molte presunte "persone intelligenti") può anche usarlo per giustificare eventuali interessamenti per persone "non brillanti": Miss Italia è sicuramente più intelligente che brutta (se non altro perché ha una bruttezza tendente a zero ed un'intelligenza almeno nella media), quindi rientra nell'ambito delle persone con cui vale la pena provare un approccio.

Questo post è più stupido che bello...

lunedì 26 ottobre 2009

Ebbrezze, sensu lato


Non sono un alcolista, ma apprezzo una buona birra. Bevo ogni tanto (anche perché quelle buone costano e non conviene prendere un pessimo vizio economicamente devastante) e con moderazione. Amo il retrogusto, la frizzantezza, detesto la nausea, il mal di testa del risveglio successivo e odio sopra ogni cosa il dolore che produce il conato. Non capirò mai come facciano i bevitori patologici, abbonati ai bordi del gabinetto e delle strade. In vita mia, ho vomitato a causa dell'alcol solamente una volta, per errore e a causa di un miscuglio di vino mantovano e salamelle fritte (terribile ricordo).
Eppure, ciò non mi esclude dalla categoria degli amanti dell'ebbrezza, dei viziosi recidivi, spesso incapaci di ammettere di avere una dipendenza viscerale, spesso nociva.
Non sarà alcolica, ma anche la mia ebbrezza è della stessa natura di quella bevitrice. Si assume la sostanza senza ritegno, senza pianificazione, per il puro godimento che genera, senza razionalizzare sugli esisti, sulle conseguenze, e, sopratutto, sulla lunga sbornia prima lancinante, poi dolorosa, poi fastidiosa, infine malmostosa, che il nostro scellerato vizio genererà. Al pari dell'alcolista recidivo, io ricado sempre nella stessa successione di assunzione smodata, smemorata euforia, cieca ebbrezza, conato doloroso, postumi nauseanti e finale malmostoso. Ogni volta, concludo la sbornia giurando a me stesso che non ripeterò più una simile esperienza. Ma so che sto mentendo.
Ogni volta cambia il nome, il colore, il sapore, la freschezza dell'esperienza vissuta, ma io resto sempre il solito inguaribile malato, patologicamente assetato, eternamente stupido.

domenica 25 ottobre 2009

Terapia o pazzia?

Scrivo lettere che non spedirò, ad un destinatario che non so nemmeno se esiste. E anche se esistesse, non so se leggerebbe quelle lettere, né se comprenderebbe.
Perché scrivere?
Terapia e pazzia.

venerdì 23 ottobre 2009

Asocialità indotta

Non sono superstizioso, né sono un paranoico delle congiure, ma sembra che questi ultimi 3o giorni della mia vita sembrino stati gestiti con l'obiettivo di deprimere al massimo, se non reprimere, la mia socialità, in tutte le sue forme.
Tralasciando eventi molto privati...
Professionalmente:
Impossibilità totale di partecipare all'SVP a causa del lavoro.
Impossibilità quasi totale di partecipare al Congresso di Bologna a causa del lavoro.
Pueblicamente:
Raffica di imprevisti, rinvii e annullamenti di ogni sorta che mi han reso eremita.
Ora si mette di mezzo l'influenza, che pare annullare le mie prime avvisaglie di socialità dopo 3 mesi di lavoro, tra cui una rimpatriata della Vecchia Guardia come non se ne vedevano da anni.

Quanto ancora devo accumulare prima di vendicarmi col fato?

domenica 18 ottobre 2009

In cosa credo

Essere umano significa dare significato alle cose. In sé, niente ha significato, ma lo acquista se qualcuno lo ricerca. Ciò non implica minimamente che questo significato esista realmente nelle cose. Probabilmente, al di fuori delle reti simboliche del cervello, non esiste alcun significato. L'esigenza di significato ha generato miti, superstizioni e religioni. Ma prima ancora di tutte questi epifenomeni culturali persiste l'esigenza, biologica, neurologica ed antropologica del credere in qualcosa. Nonostante questa esigenza abbia un'ovvia origine evolutiva, in quanto è un programma rapido ed efficace di pianificazione delle informazioni, l'esigenza del credere non può essere ridotta solamente a ciò. Evolvendo, essa si è sradicata dalla sua matrice evolutiva, esattamente come la meccanica della mano si è sradicata dall'atto della prensione e della manipolazione, divenendo strumento creativo, comunicativo.
Io sono ateo, non credo in nessuna patetica favoletta sovrannaturalistica. L'atto di non credere nel sovrannaturale non è esso stesso un atto di credenza, dato che, semplicemente, è solamente la reazione più semplice di fronte all'assenza di evidenze. Forse dovrei giustificare con un atto di non-credenza il fatto che non ha senso credere nelle fate o nei folletti? Analogamente, perché dovrei giustificare il mio rifiuto di credere in trite e ritrite rielaborazioni, spesso illogiche, di mitologie medio-orientali?
Nonostante il mio ateismo, io credo in qualcosa. In quanto uomo, sento di dover dare un valore a qualcosa, di credere che ci sia un significato nel mio esistere. L'alternativa è la mera persistenza biologica, l'attesa della inevitabile decomposizione imposta dalla termodinamica dei sistemi complessi come il corpo in cui elaborano questi concetti e le istruzioni che fanno correre freneticamente queste dita sulla tastiera.
In cosa credo? Credo che il significato della vita umana stia nell'elevarsi al di sopra della mera sopravvivenza. Si tratta di quello che alcuni chiamano "il richiamo della grandezza", e che non tutti possono sentire. Credo che qualsiasi azione che produrrà una persistenza del mio essere oltre l'inevitabile fine biologica sia un valore. Credo che qualsiasi atto di ricerca che aumenta la nostra conoscenza del mondo, e ci libera da paure e dubbi, sia un valore. Credo che combattere per ridurre la propria sofferenza sia un valore. Credo che l'altruismo, in quanto atto innaturale, perché spesso controproducente (sopratutto se perpetuato in un contesto a maggioranza egoista) sia un valore. Perché questi sono valori? Perché sono azioni non naturali, non istintive, non dettate dalla meravigliosa indifferenza dell'agire biologico, e quindi, permettono di trascendere (in senso laico) dalla matrice puramente organica che ci ha assemblato.
Quando qualcuno mi chiede perché debba avere questo senso "del dovere", forse retrogrado, più consono all'epica (o ai film western), capisco quanto ciò sia giusto. Se non è comprensibile a molti, significa che non è un programma biologico, e, quindi, non è solamente l'espressione di una struttura materiale alla quale non posso imporre alcunché, ma che posso solo accettare come dato di fatto. Il fatto che non sia comprensibile dalla maggioranza dei miei simili, dimostra che è giusta nel suo intento totalmente autoreferente, non finalizzato ad alcunché se non l'affermazione di un senso, senza il quale, non vale la pena continuare.

sabato 17 ottobre 2009

lunedì 12 ottobre 2009

Aggiornare Nietzsche

Tutto ciò che non ci rende più forti ci rende più stupidi.

venerdì 9 ottobre 2009

Privilegio dell'ateo

Più constato che ogni cosa è solamente un processo fisico, chimico o biologico, più mi persuado che questa constatazione è il solo motivo sensato per imporre autonomamente un senso etico alle nostre vite.

martedì 6 ottobre 2009

lunedì 5 ottobre 2009

L'Ora d'Aria


Immaginate un carcerato, condannato alla reclusione per un tempo indeterminato, sottoposto ad un partcolare regime di isolamento, al quale sia concessa una sola ora d'aria al giorno. Per un'ora può girare "liberamente" in uno spazio aperto, sebbene limitato e controllato. Per le restanti 23 ore è confinato in cella, senza contatti con alcuno. Ventitre ore di isolamento, solitudine, contro un'ora di parziale libertà, aria, luce. Immaginate cosa possa significare quell'ora, come sia vissuta, apprezzata, amata. Immaginate l'attesa della prossima ora d'aria, la frustrazione dolorosa della sua conclusione giornaliera. Se non altro, a mitigare la frustrazione, c'è la consapevolezza che quell'ora è dovuta, e che, nella peggiore delle ipotesi, la prossima non arrivarà più tardi di 23 ore.
Ora, stravolgiamo il contesto, mantenendo solamente il rapporto 1:23 tra momenti di luce, aria e parziale libertà contrapposti al buio, chiuso e solitario esistere in cella. Moltiplichiamo tutto, in modo che le ore siano mesi. Immaginate una condizione differente, apparentemente migliore della cella, nella quale però persista uno stato di solitudine, della durata di 23 mesi, intervallato ad un singolo mese di condivisione, luce e gioia. Un mese soltanto, per poi ricadere in altri quasi 2 anni di solitudine e buio. Non è necessario essere carcerati per vivere queste esperienze. A volte, l'esistenza "libera", o presunta tale, che viviamo, non è altro che un'opaca solitudine priva di luce, una gabbia senza sbarre, alternata a brevi momenti, non più lunghi di un mese, in cui tutto è trafigurato, luminoso, vasto e apparentemente senza limite. Non importa se ciò si rivela un'illusione, una trasfigurazione viscerale, un errore a posteriori, ciò che conta è che nel periodo in cui è tale, essa è sentita così, vissuta così.
Quale delle due situazioni è migliore? L'ora d'aria del carcerato, sicura, regolare, non più lontana di un giorno, o l'altra, la sua dilatazione annuale, imprevedibile e aleatoria?
La domanda, probabilmente, non ha senso.

domenica 4 ottobre 2009

mercoledì 23 settembre 2009

sabato 5 settembre 2009

sabato 29 agosto 2009

La Valigia di Cartone


Immaginate una giovane mente, cresciuta coltivando l’amore per la conoscenza, lo spirito critico, il rifiuto delle convenzioni, l’individualità morale e intellettuale. Essa, naturalmente, tende verso l’alto. Che prospettive può darle un paese di bitume mentale e letame morale, cristallizzato nella sua stratificazione, feudale nelle strutture, medievale nella sudditanza ad una setta religiosa che è anche e sopratutto un tentacolare sistema di rammollimento mentale finalizzato alla perpetuazione di obsoleti privilegi di casta, indolente dal punto di vista scientifico, debole economicamente, stagnante demograficamente e quindi fisiologicamente lento nell’assorbire l’innovazione, ed al tempo stesso devoto al futile ed all'apparente, sorretto da un’oligarchia demagogica e autoreferente di gerontocrati?

Aristotele aveva visto giusto con il concetto dei luoghi naturali.

mercoledì 26 agosto 2009

Perché è così facile (e dannoso) antropomorfizzare i dinosauri carnivori, mentre ciò non accade per altri animali



Non lo dico in qualità di studioso dei dinosauri carnivori (i theropodi), ma come pensatore ultrazionale: i theropodi occupano un posto particolare e probabilmente unico nel bestiario mentale umano. Essi sono gli animali più profondamente antropomorfizzati. Per alcuni di loro, come Tyrannosaurus e i dromaeosauridi (Velociraptor e parenti stretti), è quasi impossibile separare la categoria morale dal dato oggettivo. Essi, al pari delle persone umane, sono portatori di significato, sono intrinsecamente caratterizzati e caratterizzabili. Ciò non deriva solamente dall’aura mitica dell’essere estinti. Nessuno, infatti, attribuisce pulsioni umane a fossili quali un trilobite, né ad un mammifero carnivoro del Eocene. Al contrario, quasi nessuno riesce a non attribuire valori e pulsioni umani ad un tyrannosauro. Tyrannosaurus è stato dipinto come “attivo (quindi carico di intenzione) cacciatore”, “spietato (privo di pietà) predatore”, “macchina di morte (quindi privo di umanità)”, “re dei dinosauri”, è stato difeso dall’accusa “infamante” di essere uno spazzino (l’infamia è un attributo umano), è usato ed abusato in un numero enorme di contesti non paleontologici come la pubblicità ed il costume. Analogamente per altri theropodi.

Perché accade ciò? Cosa rende questi organismi fossili, così lontani evolutivamente dall’uomo, così dannatamente umanizzabili? Io ho una possibile spiegazione.

Le categorie mentali umane sono complesse elaborazioni del cervello di Homo sapiens. Esse sono costruite a partire dai dati dell’esistenza, ma, sicuramente, presentano una matrice predefinita geneticamente legata alla struttura neurologica del cervello. Quindi, come la struttura del cervello, le categorie umane sono prodotti della recente evoluzione degli ominidi. Nessun ominide ha mai incontrato un theropode mesozoico, dato che quest’ultimo tipo di animale era estinto ben 60 milioni di anni prima dei primi ominidi. Inoltre, sarebbe patetico e assurdo pensare che il nostro concetto di “theropode” derivi da un retaggio neuronale dei mammiferi mesozoici. Chi pensa ciò è stupido ed ingenuo. Nessun elaborato complesso come il concetto di “theropode” persisterebbe nelle strutture del cervello per 60 milioni di anni di generazioni senza un minimo stimolo esterno: nel Cenozoico, nessun nostro antenato poté avere alcuna esperienza di theropodi mesozoici, quindi, anche ammesso che nei mammiferi mesozoici ci fosse un tale concetto mentale, esso fu cancellato da milioni di anni di oblio cenozoico.

Quindi, in conclusione, da dove deriverebbe il nostro moderno concetto mentale del theropode? Esso fu assemblato nel recentissimo passato umano (gli ultimi secoli) a partire dai concetti esistenti nel cervello umano. Esso fu letteralmente plasmato a partire dai ridotti dati scientifici esistenti e strutturato sulla base delle categorie mentali pre-esistenti. Queste categorie mentali, veri e propri archetipi mentali platonici, erano a loro volta il prodotto dell’evoluzione umana pleistocenica. In pratica, il concetto di theropode fu creato usando ciò che era già presente nel cervello.

Non credo di dire un’idiozia se affermo che la mente umana presenta un ridotto sistema tassonomico di classificazione degli animali. Sicuramente, questo sistema è presente nella nostra civiltà occidentale, che possiamo definire "Greco-Ebraica." La letteratura antica ed i miti confermano questa idea. Nella Bibbia, gli animali terrestri sono suddivisi in uccelli (che volano), bestie (che camminano a quattro zampe) e “rettili” (che strisciano sul ventre). L’uomo è un essere a parte, in quanto non vola e cammina eretto solo su due zampe. Anche la cultura greca ha un simile sistema tassonomico di base. Infatti, Platone definì l’uomo “Un bipede senza penne”. Questo è interessantissimo e, a ben vedere, la chiave del problema.

Se l’essere umano è identificabile dall’essere un bipede privo di penne, ne deriva che un essere bipede privo di penne è probabilmente un essere umano.

Prima della recente scoperta dei theropodi piumati e dell’affermarsi dell’ipotesi sull’origine theropodiana degli uccelli, i dinosauri carnivori erano ritenuti tutti privi di piumaggio. Inutile ricordare che i theropodi sono tutti bipedi. Pertanto, fin dalla loro scoperta e identificazione da parte della Moderna Civiltà Greco-Ebraica, e per oltre un secolo, i theropodi furono concettualizzati come Bipedi Senza Piume. Prima di allora, solo l’uomo era incluso in tale categoria mentale. Di conseguenza, è probabile che un semplice meccanismo di classificazione inconscia, riconducibile alla nostra storia evolutiva recente, spinga le nostre menti ad ibridare il concetto di dinosauro carnivoro con quello di essere bipede implume e, di conseguenza, ad associarlo all’essere umano.

Il nostro cervello è fatto per antropomorfizzare i theropodi! Per questo dobbiamo spesso faticare per liberare il concetto scientifico di theropode dalle sovrastrutture etiche e morali che siamo abituati ad applicare all’uomo e non ad altri animali.

martedì 25 agosto 2009

Se segui Ultrazionale non sei ultrazionale


Questo post nasce da una segnalazione del mio vecchio amico fluviale, l’(E)neocelta.

Il sovracitato fitofago recidivo mi segnala l’esistenza in rete di... rullo di tamburi... un frequentatore di forum con il soprannome di... rullo di tamburi... ULTRAZIONALE.

Non sono io! Infatti, a dimostrazione di ciò, il soggetto in questione aggiunge, come suo sottotitolo, una chiara dichiarazione di devozione verso il sottoscritto, definito

“IllustrissimoPaleontologoItaliano”

e

“BrillantePensatoreContemporaneo”

(l’assenza di spaziatura è tratta dall’originale).

Il sottotitolo completo, inquietante, è:

IoSeguoAndreaCau,IllustrissimoPaleontologoItaliano NonchéBrillantePensatoreContemporaneo

Quindi, in conclusione, ho un seguace, un “discepolo”, un fan. Non l’ho cercato, non l’ho preteso, ma esiste. Devo dedurre che sia uno dei miei lettori... a meno che uno non si alzi una mattina, cerchi a caso un blog e si autoproclami suo sostenitore (ho fatto una prova proprio ora: facendo così, io risulterei un fan di Doretta82...).

A parte l’esaltazione della mia vanesia vanità di taglia continentale, esaltazione che deriva dall’essere considerato “illustrissimo” nonché “brillante pensatore”, e tralasciando per ora la questione se il termine “Ultrazionale” possa essere usato senza il mio illustrissimo e brillante permesso, e saltando a piè pari le blasfeme comparazioni con altri illustrissimi trentenni del passato che si circondarono di discepoli... il tema principale di questo post, rimarcato anche dall’(E)neocelta in privato, è se abbia senso che esista un fan-discepolo-sostenitore ultrazionale del sottoscritto Ultrazionale.

Il termine più inquietante è proprio il verbo seguire. Mi segue, mi viene dietro, si accoda, è trascinato, è guidato, si conforma, aderisce, si adatta, si fa plasmare, istruire, indottrinare, accetta e attende, quindi, tendenzialmente dogmatizza... insomma, MITIZZA l’Ultrazionale (solo chi mitizza usa l'aggettivo superlativo "illustrissimo").

Ma l’atto del mitizzare è l’opposto dell’essere Ultrazionale, che si prefigge (con risultati umanamente più o meno realizzati, sono il primo ad ammetterlo) di smitizzare e demolire ciò che pare mitizzato, di non plasmarsi su ideali né di cadere nella dogmatizzazione.

Quindi, in conclusione, chi si dichiara Ultrazionale perché mi segue, dimostra di non aver compreso l’anima viscerale e razionale dell’ultrazionalità, e quindi, in definitiva, si contraddice, non essendo ultrazionale.

Dubitate di me (anche ora), e non citatemi.

In conclusione, ispirato dal mio simpatico, ma contraddittorio, discepolo ultrazionale, propongo l’Anti-Credo Ultrazionale, la preghiera che un Ultrazionale non dovrà mai recitare:


Io seguo Andrea Cau, illustrissimo bla bla bla...

Creatore di Ultrazionale e Theropoda

e di tutti i post leggibili e inleggibili

Seguo il solo Demiurgo, primogenito figlio di Barò, nipote di Kmer

Nato nell’Olocene, prima di tutti i discepoli

Ponte tra Visceralia e Razionalia

Amante di tutti i bipedi ancheggianti degli ultimi 230 milioni di anni

Credo nel ultrazionalità, che è dogma senza dogma

che procede dal Demiurgo al Blog, nell’unità dell’Ampia Rete Mondiale

Seguo una contraddizione di termini, che è il mio essere seguace di qualcosa che non deve essere seguita, ed in questo auto-contraddirmi, rinnego e nego il mio credo, a cui non credo

Nel dubbio... mi faccio una birra


In conclusione, caro anonimo seguace ultrazionale, ti sono al tempo stesso (visceralmente) affezionato e (razionalmente) ostile... interessante ed ennesimo caso di conflitto viscero-razionale.

PS: chiederei gentilmente al mio "seguace" di mettere le virgolette quando cita pari pari delle intere mie frasi nelle sue discussioni nei forum... non è onesto abusare delle meningi altrui senza citarne la fonte.