domenica 18 ottobre 2009

In cosa credo

Essere umano significa dare significato alle cose. In sé, niente ha significato, ma lo acquista se qualcuno lo ricerca. Ciò non implica minimamente che questo significato esista realmente nelle cose. Probabilmente, al di fuori delle reti simboliche del cervello, non esiste alcun significato. L'esigenza di significato ha generato miti, superstizioni e religioni. Ma prima ancora di tutte questi epifenomeni culturali persiste l'esigenza, biologica, neurologica ed antropologica del credere in qualcosa. Nonostante questa esigenza abbia un'ovvia origine evolutiva, in quanto è un programma rapido ed efficace di pianificazione delle informazioni, l'esigenza del credere non può essere ridotta solamente a ciò. Evolvendo, essa si è sradicata dalla sua matrice evolutiva, esattamente come la meccanica della mano si è sradicata dall'atto della prensione e della manipolazione, divenendo strumento creativo, comunicativo.
Io sono ateo, non credo in nessuna patetica favoletta sovrannaturalistica. L'atto di non credere nel sovrannaturale non è esso stesso un atto di credenza, dato che, semplicemente, è solamente la reazione più semplice di fronte all'assenza di evidenze. Forse dovrei giustificare con un atto di non-credenza il fatto che non ha senso credere nelle fate o nei folletti? Analogamente, perché dovrei giustificare il mio rifiuto di credere in trite e ritrite rielaborazioni, spesso illogiche, di mitologie medio-orientali?
Nonostante il mio ateismo, io credo in qualcosa. In quanto uomo, sento di dover dare un valore a qualcosa, di credere che ci sia un significato nel mio esistere. L'alternativa è la mera persistenza biologica, l'attesa della inevitabile decomposizione imposta dalla termodinamica dei sistemi complessi come il corpo in cui elaborano questi concetti e le istruzioni che fanno correre freneticamente queste dita sulla tastiera.
In cosa credo? Credo che il significato della vita umana stia nell'elevarsi al di sopra della mera sopravvivenza. Si tratta di quello che alcuni chiamano "il richiamo della grandezza", e che non tutti possono sentire. Credo che qualsiasi azione che produrrà una persistenza del mio essere oltre l'inevitabile fine biologica sia un valore. Credo che qualsiasi atto di ricerca che aumenta la nostra conoscenza del mondo, e ci libera da paure e dubbi, sia un valore. Credo che combattere per ridurre la propria sofferenza sia un valore. Credo che l'altruismo, in quanto atto innaturale, perché spesso controproducente (sopratutto se perpetuato in un contesto a maggioranza egoista) sia un valore. Perché questi sono valori? Perché sono azioni non naturali, non istintive, non dettate dalla meravigliosa indifferenza dell'agire biologico, e quindi, permettono di trascendere (in senso laico) dalla matrice puramente organica che ci ha assemblato.
Quando qualcuno mi chiede perché debba avere questo senso "del dovere", forse retrogrado, più consono all'epica (o ai film western), capisco quanto ciò sia giusto. Se non è comprensibile a molti, significa che non è un programma biologico, e, quindi, non è solamente l'espressione di una struttura materiale alla quale non posso imporre alcunché, ma che posso solo accettare come dato di fatto. Il fatto che non sia comprensibile dalla maggioranza dei miei simili, dimostra che è giusta nel suo intento totalmente autoreferente, non finalizzato ad alcunché se non l'affermazione di un senso, senza il quale, non vale la pena continuare.

2 commenti:

  1. Scusa...primo commento stupido: a certe parole in queston posto non si può che rispondere "Steeeeeeel". Chi ha la capacità e la fortuna di intendere capirà sicuramente...

    Domani seguirà un commento più profondo.

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