giovedì 27 dicembre 2007
Il 2007 secondo PAUP
Nota: gli eventi la cui posizione nell’anno è ambigua, e che sono stati posizionati usando la procedura ACCTRAN, sono segnati da un asterisco *.
GENNAIO:
Il Demiurgo termina le paleotavole ma non viene ancora pagato (In seguito, una delle tavole sarà rifatta, ma il blocco era definitivo a gennaio).
FEBBRAIO:
*Clastu consuma patate intelligenti.
Al Pueblo compare un perizoma maschile leopardato (regalo del Curz per il XXIX genetliaco del Demiurgo).
Compare un surrogato statale di scimmia con un bisturi in mano (e viene elevato al grado di Eroe Indo-pueblico).
MARZO:
Nasce il blog “UltRazionale”.
Clastu diventa (pseudo)accoppiato.
APRILE:
Clastu cessa di essere (pseudo)accoppiato.
Il Demiurgo porta la barba.
* Clastu smette di consumare patate intelligenti.
Di fianco al Pueblo si sviluppa un appartamento multietnico intercontinentale (Devo ammettere che è un peccato non ricordare esattamente il giorno in cui io el Clastu scoprimmo ciò. A prescindere dagli effetti ultimi di quel evento, esso meriterebbe di essere trascritto negli Annali del Demiurgo).
MAGGIO:
Compare “Irina”, un personaggio (mitologico?) citato nella bandiera del Pueblo.
Curz inizia a lavorare.
GIUGNO:
Al Pueblo compare uno scooter.
Appare un veicolo chiamato Freelemmer (carro argentato del divino e dinocino He-Lemm).
Al Pueblo Orientale (dimora meridionale del Clastu) compare un divano diabolicamente comodo.
Clastu torna a consumare patate intelligenti.
LUGLIO:
Si iniziano a citare ripetutamente gli eventi del Monte Fuso (presto sarà in vendita il FILM!).
Il Demiurgo diventa accoppiato.
Il numero di dottori magistrali domiciliati/residenti al Pueblo passa da 1 a 2.
Parte la Muttificazione.
*Il Puma di Blisshill si rompe un metacarpale.
Il Demiurgo smette di portare la barba (è proprio vero che comanda più un Pdf che un Pdb!).
La Pueblica Ragazza della Porta Accanto acquisisce una MG-car verde.
Si pubblica un articolo che parla di unguali abelisauroidi malgasci del batoniano.
Al Pueblo si insedia una bicicletta che non appartiene a nessuno dei pueblici.
AGOSTO:
“Swarosky” diventa un epiteto dotato di significato pueblico.
Il Demiurgo abolisce il Primo Dogma Tanatophobico ed istituisce la Festa del Theropode Derivato.
SETTEMBRE:
*Il Puma di Blisshill smette di avere un metacarpale rotto (In realtà ciò accade il mese prima, ma questa è un’approssimazione per eccesso).
*Di fianco al Pueblo cessa di esistere un appartamento multietnico intercontinentale.
La Megamatrice supera i 750 caratteri.
OTTOBRE:
Cessa la Muttificazione.
Al Pueblo cessa di essere presente uno scooter.
MSMN V3882 acquisisce un nome specifico (che non posso ancora divulgare).
NOVEMBRE:
Il Demiurgo cessa di essere accoppiato.
Al MSNM si smette di studiare uno pterosauro libanese.
Il romanzo “***” è terminato.
Il numero di dottori magistrali domiciliati/residenti al Pueblo passa da 2 a 3.
Il Demiurgo viene pagato per le paleotavole.
Clastu diventa (pseudo)accoppiato.
DICEMBRE:
Il Demiurgo torna a portare la barba (è veramente scandaloso...).
Ma le analisi filogenetiche ricostruiscono la Storia?
Un anno solare è una serie storica la cui consequenzialità (alla scala umana) è indiscutibile. Nessuno può obiettare che Gennaio 2007 sia precedente a Marzo 2007 e a Giugno 2007, i quali sono tutti precedenti a Ottobre 2007. Sulla base di questa ovvietà, è possibile elaborare un albero evolutivo dei mesi dell’anno 2007, avente Gennaio alla base e la coppia Novembre - Dicembre come nodo terminale. Analogamente con le analisi filogenetiche, ogni nodo deve essere contraddistinto da caratteristiche diagnostiche assenti nei nodi immediatamente precedenti. Nel caso dei mesi, eventi accaduti nel bimestre finale devono necessariamente aver prodotto conseguenze che NON sono documentate negli altri mesi. Questo criterio ci permetterebbe, in teoria, se non conoscessimo la disposizione cronologica dei mesi, di ricostruirla sulla base della distribuzione più parsimoniosa degli eventi accorsi nell’anno. Per rendere l’analisi non-tautologica non dovrò usare eventi che hanno al loro interno un indicatore temporale (ad esempio: non ha senso accomunare Novembre e Dicembre sul fatto che entrambi distano meno di 60 giorni dal 2008), ma solo caratteristiche condivise che, in teoria, non dovrebbero dare alcuna indicazione sulla posizione nel tempo. Al contrario, catene di eventi che hanno necessariamente una sequenza ordinata (nel senso che non danno indicazione specifica sulla posizione nell’anno, ma sono nondimeno sequenziali e quindi vincolati a seguire un ordine cronologico: ad esempio la serie “preparare un evento - l’evento si verifica”) sono state considerate utili per l’analisi. La condizione primitiva di ogni carattere è quella che è verificata anche nell’anno 2006. Ho cercato di immettere anche eventi “omoplastici” ovvero eventi che possono verificarsi più volte indipendentemente l’una dall’altra, per rendere il test più realistico. Per semplificare le codifiche, assumo che un evento appartiene ad un mese se ne occupa almeno metà del tempo.
I caratteri che ho utilizzato sono tratti dalla mia vita personale e da eventi di cronaca pueblica:
Si citano ripetutamente gli eventi del Monte Fuso: no (0); sì (1).
Al MSNM si studia uno pterosauro libanese: sì (0); no (1).
Irina è un personaggio (mitologico?) citato nella bandiera del Pueblo: no (0); sì (1).
Il Demiurgo è accoppiato: no (0); sì (1).
Curz lavora: no (0); sì (1).
Il romanzo “***” è terminato: no (0); sì (1).
Numero di dottori magistrali domiciliati/residenti al Pueblo: uno (0); due (1); tre (2).
Muttificazione: no (0); sì (1).
“Swarosky” è un epiteto dotato di significato pueblico: no (0); sì (1).
Al Pueblo è presente uno scooter: no (0); sì (1).
Il Puma di Blisshill ha un metacarpale rotto: no (0); sì (1).
Il Demiurgo porta la barba: no (0); sì (1).
Clastu consuma patate intelligenti: no (0); sì (1).
Esiste il blog “UltRazionale”: no (0); sì (1).
Con questi dati ho provato una prima analisi, la quale NON ha prodotto la topologia reale (la sequenza cronologica Gennaio, Febbraio, ..., Novembre, Dicembre) bensì un consenso di 6 topologie che con la sequenza reale ha in comune solo una vaga affinità dei mesi finali rispetto a quelli iniziali.
Ciò significa che la distribuzione più parsimoniosa dei 14 dati usati sopra NON è la distribuzione temporale REALE degli stessi.
Per avere la topologia reale è necessario forzare il risultato dell’analisi, ma a costo di avere un albero che è meno parsimonioso (di 2 steps) rispetto a quello ottenuto. Questo risultato si spiega facilmente osservando che abbiamo immesso pochi dati. L’uso di solamente 14 caratteri per risalire alla sequenza di 12 mesi è poco produttivo, sopratutto se abbiamo usato alcuni caratteri omoplastici. Per far capire la questione: teoricamente, n oggetti possono essere disposti in [(2n-3)!]/[2(n-2)(n-2)!] (nota matematica: nella formula appena scritta, il punto esclamativo “!” è il simbolo matematico dell’operazione fattoriale, e non un’esclamazione...) alberi dicotomici distinti, quindi i 12 mesi possono produrre quasi 14 miliardi di alberi distinti: ma di questi, solo 1 è quello reale!!
Per migliorare l’analisi, ho aggiunto altri caratteri, in modo da restringere ulteriormente il numero delle possibili soluzioni:
Esiste un veicolo chiamato Freelemmer: no (0); sì (1).
Il Demiurgo termina le paleotavole e viene pagato: no (0); sì, ma non è ancora pagato (1); sì e viene pagato (2). Carattere ordinato.
La Pueblica Ragazza della Porta Accanto ha una MG-car verde: no (0); sì (1).
Clastu è (pseudo)accoppiato: no (0); sì (1). (Inutile rimarcare che questo carattere non è necessariamente ridondante col carattere 13).
Esiste un articolo che parla di unguali abelisauroidi malgasci del batoniano: no (0); sì (1).
Al Pueblo esiste un perizoma maschile leopardato: no (0); sì (1).
Di fianco al Pueblo esiste un appartamento multietnico intercontinentale: no (0); sì (1).
Anche dopo l’immissione di questi dati, non si ottiene l’albero reale (il quale è ancora di 2 steps meno parsimonioso del risultato). Ad ogni modo, sebbene ancora falso, questo nuovo albero è più realistico del precedente:
Continuiamo ad aggiungere caratteri (dopotutto, la Storia comprende tutti gli eventi, quindi una sua ricostruzione sarà tanto più fedele quanto più dettagliata):
La Megamatrice ha più di 750 caratteri: no (0); sì (1).
MSMN V3882 ha un nome specifico (che non posso ancora divulgare): no (0); sì (1).
Esiste (o persiste) una bicicletta al Pueblo che non appartiene a nessuno dei pueblici: no (0); sì (1).
Al Pueblo Orientale (dimora meridionale del Clastu) esiste un divano diabolicamente comodo: no (0); sì (1).
Esiste un surrogato statale di scimmia con un bisturi in mano: no (0); sì (1).
Il Demiurgo ha abolito il Primo Dogma Tanatophobico (ed istituito la Festa del Theropode Derivato).
Finalmente otteniamo una topologia (di due alberi ugualmente parsimoniosi) che rispecchia quella reale dei mesi, con l’unica nota che PAUP non è stato in grado di stabilire la posizione temporale di Marzo rispetto a Febbraio: probabilmente perché ho immesso pochi dati significativi per quel periodo dell’anno. Tuttavia, reimpostando PAUP per dare pesi differenti ai caratteri sulla base della loro distribuzione, si ottiene la topologia reale.
Da ciò deduciamo che solamente con una robusta serie di dati è plausibile ricostruire la serie degli eventi storici: fissarsi su alcuni dettagli, trascurandone altri, porta inevitabilmente a ricostruzioni (più) deformate.
Nel prossimo post, descriverò gli eventi del 2007 citati sopra seguendo la loro sequenza così come viene riprodotta da PAUP: sarà interessante vedere se/come essa di discosti da quella reale.
L'Uomo Pigro
(sbadiglio)
Solitario nella notte va,
se lo incontri poca voglia ha,
il suo volto ha la maschera pigra
Lazy Man
Pigro
Lazy Man
Pigro
Lazy Man
(sbadiglio)
Misteriosa è la sua identità
un segreto che s’a briga a dar
chi nasconde quella maschera pigra
Lazy Man
Pigro
Lazy Man
Pigro
Lazy Man
(sbadiglio)
È l’uomo pigro che lotta contro il fare
lo farà solo quando gliene va
non ha premura, si batte col torpore
e d’ogni cosa è stufo di pensar
Ma l’uomo pigro è in fondo un fancazzone
si sbatte solo per necessità
intende poco
non sa cos’è il lavoro
il nostro eroe mai si sveglierà
Volle la bici ma è gneso a pedalar
ma col dovere non ha pietà
Lazy Man
(sbadiglio)
Tutti sanno ch’è incivile
nell’assenza è formidabile
nell’oziare è temibile
il pigro
Lazy Man
Pigro
Lazy Man
(sbadiglio)
Nella Tana dei Pigri
di nascosto entra piano e poi
con solerzia scansa tutti
il pigro
Lazy Man
Pigro
Lazy Man
Pigro
Lazy Man
(sbadiglio)
È l’uomo pigro che lotta contro il fare
lo farà solo quando gliene va
non ha premura, si batte col torpore
e d’ogni cosa è stufo di pensar
Ma l’uomo pigro è in fondo un fancazzone
si sbatte solo per necessità
intende poco
non sa cos’è il lavoro
il nostro eroe mai si sveglierà
Volle la bici ma è gneso a pedalar
ma col dovere non ha pietà
Ma l’uomo pigro è in fondo un fancazzone
si sbatte solo per necessità
intende poco
non sa cos’è il lavoro
il nostro eroe mai si sveglierà
Volle la bici ma è gneso a pedalar
ma col dovere non ha pietà
Lazy Man
(sbadiglio)
Fraintendimento... Uso e Menzione - seconda puntata
A volte, sentendo commenti a questi post fatti al di fuori del blog stesso (dal vivo), mi accorgo di quanto sia difficile per molti percepire la distinzione tra uso, menzione, citazione, autore e personaggio. In breve, non sempre chi mi fa una critica (aldilà del merito e dell’intelligenza delle osservazioni che tengo sempre in considerazione) sembra aver compreso pienamente cosa sia il blog UltRazionale.
Il fatto che il Demiurgo del blog sia il prodotto del pensiero di una persona reale (il sottoscritto che sta scrivendo, e che per il resto del post sarà chiamato (C)autore) non implica che:
Il Demiurgo esprima la totalità del pensiero del (C)autore.
UltRazionale sia il blog-diario-sfogo dei pensieri del (C)autore: il blog esprime solamente una semplificazione della sua mente chiamata “componente ultrazionale del (C)autore”, ovvero: il pensiero di un personaggio virtuale (letterario?) chiamato Demiurgo, il quale è volutamente Ultra-razionale, più di quanto sia e voglia essere il (C)autore.
Di conseguenza:
Non sempre ciò che il (C)autore vorrebbe dire ed esprimere è detto ed espresso del Demiurgo. Né è intenzione del (C)autore esprimere la totalità del suo pensiero tramite il blog (altri mezzi sono i disegni, gli articoli scientifici, le serate davanti ad una birra, il letto, un sms... insomma, qualsiasi altro mezzo tramite il quale si può comunicare qualcosa a qualcuno).
Ma, sopratutto (e qui molti non afferrano):
Come i pensieri e le parole dei personaggi di un romanzo (compreso il narratore, che è anch’egli un personaggio inventato) NON sono i pensieri e le parole dell’autore del romanzo, così NON SEMPRE CIÒ CHE IL DEMIURGO DICE ESPRIME IL PENSIERO REALE (EXTRA-RETE) DEL (C)AUTORE!
Riconosco che solo chi conosce entrambi (Demiurgo e (C)autore) ha la possibilità di discriminare questa differenza, pertanto, consiglio a tutti gli altri di non mescolare i livelli e di limitarsi ad assumere e commentare (come meglio crede) le parole (del Demiurgo) che legge in questi post senza tirare in ballo il (C)autore, che (a parte questa volta) non ha voce in Ultrazionalia (mentre la ha nel mondo reale).
Giocare con le parole, creare realtà alternative, stravolgerle, manipolare strumenti semantici, sintattici e simbolici dentro il contesto di UltRazionale, non significa, almeno per me, delegare questo sottolivello virtuale di ruoli e funzioni che considero esclusiva pertinenza della vita reale (e delle persone reali): per questo motivo spesso io, (C)autore reale, trovo alquanto seccante sentirmi (dal vivo) rinfacciare critiche sui post che invece sarebbero da rivolgere al Demiurgo, personaggio virtuale espressione di un pensiero volutamente surrogato. Analogamente, trovo patetico il ricorso ad eventi reali slegati dai post (e quindi relativi esclusivamente al (C)autore) per attaccare le parole del Demiurgo.
Con questo, non sto discutendo minimamente del contenuto delle critiche, che sono sempre benvenute (se intelligenti).
Torno nel mondo esterno.
Ok, Demiurgo, puoi riprendere a ciarlare...
Sulla natura di Precursore Ultrazionale di Vittorio Parisi, ed analisi filogenetica di Alieutoptera paratax. nov. (Parisi, 1972)
Un esempio di ibrido mentale, di fusione di metodica scientifica e contesti fantastici, di uso della fantasia in appoggio alla ricerca, mi è stato fornito dal Clastu. Attualmente il nostro caro Clastu sta terminando la sua tesi (di tema naturalistico museologico) sotto la supervisione del prof. V. Parisi, pittore, zoologo, senatore della Repubblica (non so esattamente durante quale legislatura), ex-preside del corso di Laurea in Scienze Naturali di Fighettolandia (il nome è di fantasia, ma rende bene la preponderante fauna locale), nonché ex-direttore del Museo di Storia Naturale della stessa università. Mi piace sottolineare anche che fu mio professore di Sistematica e Filogenesi Animale (un corso che da solo vale come l’intera laurea in Economia), nonché relatore della mia Prima Matrice durante il periodo Emmeggioico. Insomma, è un tipo meritevole di stima mesozoica.
Dallo stesso prof. Parisi, Clastu ha ricevuto una copia di un suo breve articolo, datato al 1972. La lettura dello stesso è stata la prova definitiva di un sospetto covato da tempo, ovvero che l’on. sen. dot. prof. Parisi è un precursore ultrazionale!
In quello studio, egli analizza la morfologia delle esche artificiali, le “mosche” usate nella pesca, ne propone una classificazione (in gruppi numerati da I a VIII, con relativi sottogruppi) e discute quella che a tutti gli effetti è un’analisi filogenetica delle esche, da lui ribattezzate “alieutotteri”. L’anatomia delle varie forme di alieutotteri viene analizzata nel dettaglio: ciò ha permesso di produrre una lista di 14 caratteri morfologici, la cui distribuzione tra gli alieutotteri è stata riportata sotto forma di matrice, in maniera analoga alle attuali matrici filogenetiche. Anche se l’intento di Parisi era inserito nell’allora dominante quadro della sistematica fenetica, la sua matrice può essere analizzata sotto le logiche della sistematica filogenetica (rimando ad altra sede la discussione sulle differenze tra fenetica e filogenetica).
Così ho fatto: ho immesso la matrice di Parisi (1972) in PAUP, usando come gruppo esterno la forma più “primitiva” di esca, la “camola”, definita dallo stesso Parisi come priva di (o portante in maniera appena rilevabili) quei caratteri da lui usati per analizzare gli alieutotteri (ali, cerci, gorgiera e loro varie trasformazioni: rimando allo stesso lavoro di Parisi per una descrizione delle strutture morfologiche).
L’analisi di PAUP ha prodotto un singolo albero più parsimonioso, la cui topologia è illustrata qui.
Curiosamente, la sinapomorfia alla base di Alieutoptera paratax. nov. (definito come il clade più inclusivo comprendente Lady Amhrest [gruppo IVa’’’] ma non Camola) è risultata essere la presenza di una distinta zona cefalica: tuttavia, questo carattere è assente negli alieutotteri più derivati (i quali, sotto questa ipotesi, l’hanno persa secondariamente). Il gruppo più derivato, definito Governoria paratax. nov. (il clade meno inclusivo comprendente gli alieutotteri “Governor” [gruppi Ia e Ib]: come si vede dall’albero, quest’ultimo genere è risultato parafiletico... a riprova della inutilità del concetto di “genere tassonomico” espressa in uno dei post precedenti) è caratterizzato dalla presenza di ali: ciò si verifica, in maniera indipendente, in un altro clade, quello formato dalle forme V e VI. Un’altro aspetto interessante è che le forme VII e VIII, come definite dalle chiavi identificative di Parisi (1972), non sono gruppi monofiletici, bensì gradi di organizzazione alieutotterica plesiomorfica (gruppi parafiletici).
Parisi (1972) propose uno schema dei possibili rapporti di somiglianza basati sulla sua matrice (con i gruppi IV e V assieme a VIIIc; mentre i rimanenti formano un gruppo distinto, con I, II, III, VIb e VIIIb da un lato e VIa, VIIa, VIIb e VIIIa dall’altro) che si discosta dal risultato ottenuto con PAUP. Testando quella topologia per vedere quanto si discosti dal risultato ottenuto da me si produce un consenso di 36 alberi che è meno parsimonioso (di 5 passi evolutivi) rispetto all’albero ottenuto senza costrizioni topologiche.
Come suggerì Parisi al termine del suo studio, sarebbe interessante cercare di datare le varie forme e di vedere se siano localizzate geograficamente: potrebbe essere un inizio per la stesura di una Storia Artificiale (non-Naturale nel senso che si tratta pur sempre di prodotti culturali umani) di Alieutoptera.
Per ora, accontentiamoci della filogenesi nuda.
Bibliografia: Parisi V. - 1972 - Ricerche su un mimetismo aggressivo artificiale. Un possibile modello evolutivo. Quaderni della Civica Stazione Idrobiologica di Milano, 3 - 4: 19 - 30.
venerdì 21 dicembre 2007
Festività: è mangiare un torrone come un mattone, è la festività, festività, festività!
A gennaio raccoglieremo ciò che sarà stato seminato sotto queste obsolete cerimonie semitiche sovrascritte a simpatici riti pagani.
Aforisma (E)neoceltico
martedì 18 dicembre 2007
Iperborea
Se non temi il Vuoto ed il Freddo, e sai fronteggiare l’impulso viscerale alla fuga consolatoria senza farti sopraffare dal magone (non sempre ne siamo capaci, perché siamo fragili croste di consapevolezza trascinate da un mantello di programmi neuroemotivi), allora benvenuto nell’Iperborea, la Terra che sta Oltre il Nord.
Illustri predecessori hanno tracciato la via. Ripercorriamo il loro viaggio, consapevoli che il principale ostacolo al completamento del tragitto siamo noi stessi.
Le prime giornate di viaggio sono tra le più dure che un’anima può attraversare nella sua vita: l’attrito col suolo di Iperborea è doloroso, perché i nostri piedi non si sono ancora abituati ad essere scalzi. Il terreno è gelido. Terribilmente ghiacciato. Fitte dolorose, come aghi, penetrano le carni, accentuano la fatica. Nei primi giorni nella Terra del Gelo, la tentazione di ripiegare verso sud, di tornare nelle calde, molli dolcezze del Mondo Mitizzato, del Consolante Appagamento, è fortissima. Basterebbe richiudere gli occhi, rilassarsi, smettere di edosofare (non esiste un verbo per questa particolare forma di pensare, il piacere-nel-pensare, ecco perché la battezzo qui, l’edosofìa), tornare ad essere pre-teoretici, “umani” nell’accezione plesiomorfica del termine (completi delle condizioni sufficienti, privi di caratteri derivati).
Nei giorni successivi, un nuovo nemico, sempre secreto dal nostro mantello pleistocenico, ci tormenta, nel tentativo di farci ritirare. Il Programma Ereditato, la nostra causa generatrice, deve la propria persistenza (e quindi anche la nostra) al successo derivato nell’indurre la riproduzione. L’egoismo individuale si perpetua tramite un atto sociale, un subdolo stratagemma imposto da 2 miliardi di anni di meiosi: mascherato da sentimento, l’evento fecondativo perpetua sia sé stesso che i suoi simbionti programmi sociali.
Noi, l’inattesa crosta di dubbio, l’imprevista auto-ripiegatura del sistema sensoriale, siamo dei potenziali pericoli alla perpetuazione del sistema. Sia chiaro, il sistema non ha alcuna motivazione, e non aspira ad alcuna perpetuazione di sé: esso agisce esclusivamente in funzione del proprio programma, limitandosi ad esprimere quelle istruzioni che sono scampate alla cieca cernita del mondo esterno. Eppure, visto in un’ottica a posteriori, l’impulso a migrare verso Iperborea è palesemente svantaggioso: esso riduce fortemente la probabilità di perpetuazione di chi lo manifesta. Per questo motivo, probabilmente, i livelli ancestrali hanno dei programmi di contenimento dell’impulso edosofico: l’angoscia, la frustrazione, il dolore che ci producono i primi giorni di viaggio sono l’effetto necessario del conflitto in atto tra la minoranza lucida e la maggioranza arcaica, sono stati selezionati positivamente proprio perché capaci di frenare (se non arrestare del tutto) l’inevitabile suicidio evolutivo dell’edosofia.
Cosa accadde il giorno che superammo l’ultima forra, ed entrammo nella Valle Iperborea? Guardammo il cielo.
Il sole non era mai stato così brillante. Non esiste ombra in Iperborea. La luce bianchissima, tendente all’azzurro, dapprima acceca. Ma ben presto, gli occhi si abituano, i dettagli del paesaggio prendono a farsi riconoscibili.
Iperborea ora ci appare in tutta la sua terribile bellezza. I monti sono altissimi, guglie svettanti levigate dalle glaciazioni. I fiumi non hanno sponde, e le acque scorrono impetuose e schiumanti, perennemente turbolente. Non esiste limpidezza nelle acque. Gli alberi hanno cortecce spinose, ed i rami sono contorti, avvolti nei rampicanti. Le bestie hanno occhi inespressivi, freddi sguardi di rettile. Non esistono animali domestici. Le case sono prive di fondamenta, le pareti sono costantemente in preda a sussulti, ed ogni giorno devono essere riparate, rinforzate dalla nostra fatica, consolidate dal nostro impegno.
Non ci sono chiese, né cimiteri in Iperborea. Qui si coltivano l’orgoglio dell’essere e la moderazione dell’avere, la vista acuta, il respiro potente. Gli Iperborei biasimano i credenti e disprezzano gli atei, sanno ridere e piangere, amano bere ma odiano ubriacarsi. Le guerre degli Iperborei non hanno vittime, ma solo confutazioni.
La morte è di casa in Iperborea, così come il dolore, la fatica, la solitudine.
Iperborea è il Mondo Reale, nel quale nasciamo e moriamo. Ma solo pochi riescono a vederlo, meno ancora a vivervi tenendo gli occhi aperti.
Ho fame: vado a farmi una braciola, crogiolata nel suo grasso, senza sale o spezie, solo un filo d’olio d’oliva, come piace a me.
sabato 15 dicembre 2007
Il diLemma della tassonomia paleontologica (ovvero, l’eredità della nomenclatura binomiale)
In questo periodo sono (e sono stato impegnato) in pubblicazioni nei quali il concetto tassonomico di “Genere” è emerso più volte in tutta la sua ambiguità. Senza entrare (per ora) nel merito particolare degli studi svolti, userò un caso più vasto per esemplificare la questione di cosa sia il “Genere” e come si adatti alla ben più salda “Specie” nella paleontologia vertebrata.
Molti si appassionano per i teropodi, e tra i teropodi nessuno è più abusato di Tyrannosaurus rex, l’unico taxon di vertebrato fossile noto al grande pubblico anche col nome specifico (appunto, il binomio Tyrannosaurus rex) e non solo col nome del genere, Tyrannosaurus. Il concetto di nome generico è un retaggio della nomenclatura linneana che usiamo da 3 secoli, un sistema gerarchizzato di insiemi di taxa nominati. La specie Tyrannosaurus rex, del genere Tyrannosaurus, della famiglia Tyrannosauridae, ecc... Per quanto l’avvento della sistematica filogenetica abbia messo in crisi la necessità delle categorie di ordine superiore al genere (tribù, famiglia, ordine, classe, phylum...), il genere stesso resiste ancora, proprio perché necessario alla definizione della specie (almeno fintanto che continueremo a nominare le specie con un binomio).
Tornando ai tyrannosauridi, attualmente, esiste un consenso diffuso tra gli studiosi nel ritenere specie valide di Tyrannosauridae le seguenti: Albertosaurus sarcophagus, Daspletosaurus torosus, Gorgosaurus libratus (una sua possibile ricostruzione in questa mia tavola del 2002), Nanotyrannus lancensis, Tarbosaurus bataar, e Tyrannosaurus rex. Altre specie definite nel XX secolo sono state ricondotte ad una delle specie citate sopra (Albertosaurus arctunguis è incluso in Albertosaurus sarcophagus; Gorgosaurus lancinator, Gorgosaurus novojilovi, Jenghizkhan bataar, Maleevosaurus novojilovi, Shanshanosaurus huoyanshanensis, Tarbosaurus efremovi sono inclusi in Tarbosaurus bataar; Albertosaurus megagracilis, Aublysodon mirandus, Aublysodon molnari, Dinotyrannus megagracilis, Dynamosaurus imperiosus, Manospondylus gigas, Stygivenator molnari sono inclusi in Tyrannosaurus rex): generalmente, gli esemplari delle specie oggi non più valide sono risultati essere esemplari giovanili di specie già note o semplicemente resti frammentari riconducibili a taxa preesistenti. Tuttavia, sullo status tassonomico di Nanotyrannus lancensis non si è ancora giunti ad una soluzione condivisa. L’olotipo della specie è un cranio giovanile (da qui l’origine del nome: l’errore di averlo considerato inizialmente come una forma nana di Tyrannosauridae): esso è considerato da alcuni autori un esemplare (giovanile) di Tyrannosaurus rex (e quindi andrebbe attribuito a tale specie), anche se parrebbero esserci evidenze che portano a considerarlo un esemplare (giovanile) di una nuova forma, prossima a Tyrannosaurus rex (che potrebbe essere chiamata Nanotyrannus lancensis o Tyrannosaurus lancensis).
Vent’anni fa, il paleontologo e paleoartista Gregory Paul risolse la questione in maniera drastica: egli propose di riunire tutti i Tyrannosauridae allora noti in due soli generi: Albertosaurus e Tyrannosaurus. Questa pratica è stata seguita da altri (ma sta perdendo consensi), ed è confluita implicitamente nell’istituzione delle due sottofamiglie Tyrannosaurinae e Albertosaurinae. In base al regionamento di Paul, Tarbosaurus e Daspletosaurus sarebbero sinonimi di Tyrannosaurus (le specie Tarbosaurus bataar e Daspletosaurus torosus sarebbero da chiamare Tyrannosaurus bataar e Tyrannosaurus torosus), mentre Gorgosaurus libratus sarebbe da chiamare Albertosaurus libratus. Il suo ragionamento chiamava in causa generi attuali aventi una grande disparità anatomica tra le specie al suo interno: dato che generi come Panthera (comprendente leoni, tigri, leopardi ecc...) e Varanus hanno al loro interno una grande varietà di specie, nulla vieterebbe di comprimere la diversità morfologica dei tyrannosauridi in due grossi generi. A parte il dubbio che un simile ragionamento sia circolare (un cane che si morde la coda: definiamo un genere ad alta diversità sulla base dell’assunto che molte specie simili siano riconducibili ad un unico genere), trovo questa soluzione poco utile, oltre che dannosa nel campo paleontologico dove (a differenza della zoologia delle specie moderne) abbiamo a che fare con specie distribuite in intervalli temporali differenti.
Il problema principale è il seguente: il concetto di “genere” è inutile e potenzialmente dannoso. Esso è ridondante con quello di specie nei casi di generi monospecifici (oggi esiste una sola specie di Homo, quindi il concetto di genere umano attuale è ridondante con quello della specie Homo sapiens) ed è arbitrario nel caso di generi plurispecifici. Mentre le specie tassonomiche possono essere definite sulla base di un criterio diagnostico (la presenza di una combinazione unica di caratteri anatomici, sia primitivi che derivati, che la distinguono da qualsiasi altra combinazione -cioè specie- nota), il genere plurispecifico, in quanto insieme di specie distinte, non è definibile in base ad un criterio universale e sempre coerente. L’affinità morfologica non è un criterio valido: oltre ad essere ambiguo, esso cade in contraddizione nei casi (come quello di Paul con i tyrannosauridi) in cui decidiamo di fondare un genere ad alta diversità. Inoltre, il genere non può essere definito in base ad un insieme di caratteri (come la specie): sebbene ciò sia plausibile teoricamente, è inattuabile nella pratica.
Questo esempio chiarirà la questione: Ammettiamo di definire la specie Lemmur forestalis, diagnosticandola sulla base di 5 caratteri: A, B, C, D, E. Ora, questi 5 caratteri definiscono la specie, ma non il genere. Come fare a definire il genere? Potremmo dire, a priori, secondo una corretta logica di categorie tassonomiche gerarchizzate, che è condizione di appartenenza al genere Lemmur la presenza dei caratteri A, B, C. Se un Lemmur ha anche i caratteri D e E, sarà un Lemmur forestalis. Purtroppo, avendo a disposizione la sola specie L. forestalis, non possiamo conoscere la disposizione filogenetica (e cronologica) dei caratteri. Quindi, non sappiamo ad esempio se i caratteri A, B, C compaiono prima dei D ed E (ipotesi che assumiamo a priori, senza verificare, dicendo che tutti i Lemmur li presentano e non solo la specie L. forestalis): se accadesse il contrario, la specie L. forestalis diverebbe equivalente all’intero genere Lemmur, invalidando la necessità di istituire una diagnosi distinta per il genere.
Da questo esempio abbiamo derivato che: 1) il concetto di genere monospecifico è ridondante, quindi inutile, con quello di specie; pertanto 2) un genere è definibile solo dopo che è stata istituita almeno una seconda specie del genere. E qui salta fuori il secondo problema (che è quello fondamentale): in base a quale criterio stabilisco che una nuova specie sia riconducibile ad un genere preesistente? Torniamo all’ipotetico caso del Lemmur. Se scoprissimo una nuova specie X, dotata dei caratteri A e C, ed una seconda, Y, dotata dei caratteri A, C, D, potremmo ipotizzare correttamente un diagramma filogenetico con Lemmur forestalis ed Y più strettamente imparentati, seguiti da X. Come chimare X e Y? Entrambi sono attribuibili al genere Lemmur? Oppure solo Y è un Lemmur mentre X è un nuovo genere, che potremmo chiamare Autospriapus? Entrambe le scelte sono valide (a seconda dei contesti in cui si applicano).
Penso che la soluzione debba rispettare lo status quo tassonomico, senza stravolgerlo (col risultato di creare più problemi di quanti vorrebbe risolvere) ed applicare con intelligenza i risultati delle analisi filogenetiche: se una nuova specie risulta esterna a qualunque linea evolutiva (linea già nota e nominata come genere), allora merita di essere definita come genere nuovo; se una nuova specie risulta interna ad una linea evolutiva già nota (linea nominata come genere sulla base di almeno due specie), allora deve essere inclusa nel genere preesistente. L’unico caso che può ancora essere lasciato all’arbitrio del tassonomo è quello di una nuova specie risultante interna ad una linea evolutiva (linea già nota e nominata come genere sulla base di una sola specie): in questo caso è consigliabile essere prudenti e valutare l’intero contesto (gap stratigrafico tra le presunte specie congeneriche, differenza morfologica e grado di preservazione delle specie in ballo).
Tornando ai tyrannosauridi, penso che l’idea di Paul di ridurre l’intera diversità generica del clade a due soli generi sia eccessiva. Trovo più cauto mantenere i 5-6 generi accettati universalmente (ai quali recentemente se ne stanno aggiungendo altri...), sopratutto fintanto che non saranno definite meglio le loro precise relazioni filetiche (che, come ho mostrato sopra, sono il fondamento necessario per la tassonomia).
Per quanto si tratti di un problema minore, prevalentemente terminologico, il diLemma del concetto di genere è potenzialmente dannoso e fuorviante, qualora si utilizzassero i generi al posto delle specie come oggetti di studi macroevolutivi, sia filogenetici che ecologici.
Ad esempio, se scoprissimo che Autralopithechus africanus è più prossimo fileticamente a Homo sapiens rispetto ad Autralopithechus afarensis (come pare essere nei fatti), come dovremmo comportarci? Abolire Australopithecus (che è risultato non-monofiletico, quindi artificiale e potenzialmente fuorviante) e metterli tutti dentro Homo? Conservare Autralopithechus africanus e cambiare genere all’afarensis (il genere venne istituito con africanus, quindi esso è il “proprietario” del nome Australopithechus)? Io propenderei per questa seconda opzione (ovvero per la proliferazione dei nomi generici assieme alle specie).
In conclusione, l’ideale sarebbe di abbandonare il significato di “genere come entità evolutiva reale” e accettarne la natura prettamente “nominalistica” anche nei casi in cui definisce cladi reali (monofiletici), quindi, di non dare valore al fatto che due o più specie siano state chiamate (menzionate, ricordate la distinzione tra menzione ed uso?) con uno stesso nome generico.
venerdì 14 dicembre 2007
Parallelismi evolutivi (non convergenze) nel fotoritocco
I Predatori dei Taxa Perduti
Quando l’Amicizia e la Stima Massime si fondono con l’Ultrazionalità Pura, nascono i Predatori dei Taxa Perduti.
Nella ricerca scientifica odierna, a dispetto della preponderante tendenza necessariamente simbionte con i fondi della politica e della grande impresa, esistono ancora isole felici d’anarchica indipendenza, nelle quali si può respirare l’aria romantica delle ricerche del glorioso periodo a cavallo tra i due secoli XIX e XX (lo ammetto, ho una passione smodata per quel periodo, per la Belle Epoque, con la sue locomotive, i baffoni e le donnine con i loro assurdi cappelli)? Esistono discipline nelle quali si può ancora atteggiarsi come nel periodo nel quale nacquero la relatività einsteniana, il cubismo, il futurismo, la genetica e Tyrannosaurus? La risposta è sì.
In un paese che snobba la paleontologia, se non nei casi in cui può essere convertita in spettacolarizzazione, noialtri paleontologi vecchia-scuola (ma nuova-mentalità) possiamo ancora vivere, nel nostro piccolo, il sapore della ricerca fine a sé stessa, apparentemente inutile, eppure straordinariamente avvincente. Per chi sa leggere il messaggio delle rocce, anche il pezzo più frammentario e bastardo può essere fonte di gioia. Anzi, è proprio la sfida che gli esemplari più enigmatici ci lanciano a dare alla ricerca (ed alla vita di chi dà valore a queste ricerche) quel suo sapore in più, quel frizzante aroma Ultrazionale.
Arroccati nelle nostre piccole fortezze di conoscenza in crescita, necessariamente avidi, perché consapevoli che non basterà una vita per avere la capacità di discriminare scientemente ogni pezzo, gli eroi Ultrazionali, i Predatori dei Taxa Perduti, da quasi quattro anni (e si spera per almeno i prossimi quarantaquattro) analizzano e discriminano una serie di oggetti grotteschi giunti da luoghi remoti e meravigliosamente esotici, dai nomi ancora carichi di avventura.
Ci siamo trovati tra le mani le sparse vertebre del Kem Kem, nel Sahara marocchino, le aggrovigliate matasse di ossa del Libano, i denti e gli artigli del bacino malgascio del Mahajanga, le falangi del Niger, le vertebre del Mali, deducendone inattese ipotesi evolutive, suggestioni e scenari. Le nostre ipotesi, di primo acchito ardite, sono state confermate da successive ricerche di illustri colleghi (come l’ipotesi che gli abelisauroidi fossero già diversificati nel Giurassico Medio), hanno avvalorato modelli ed ipotesi preesistenti, sono fiorite rapidamente davanti a belle speranze, per poi ritornare coerentemente nell’alveo delle evidenze (ci spiace se qualche caro collega si è impantanato per un anno sulla scia di una delle nostre più bizzarre ipotesi, ma, alla fine, lo pterosauro che avevamo creduto di vedere tra il casino di lamelle si è rivelato, nel volgere di un pomeriggio votato alla sana caga-cazzeria scettica del Demiurgo, tutt’altro... Così va la ricerca: quando si ha a che fare con esemplari super-enigmatici, lo studio si rivela sopratutto una lotta tra ciò che vorremmo vedere e ciò che dobbiamo riconoscere).
Non sempre ciò che avevamo davanti ha visto la luce sotto forma di pubblicazione: purtroppo, anche se siamo allocati in una tranquilla ed isolata enclave della Scienza, l’azione tentacolare della Burocrazia (indotta dall’impropria azione di certi raccoglitori) riesce a lambirci, bloccando alcune delle nostre attività.
Ma noi non arretreremo...
Cosa ci porterà (l’inesistente) futuro?
martedì 11 dicembre 2007
Creazionismo ed Evoluzionismo in Pianura Padana
L'interlocutore del nostro eroe è un locale creazionista aderente a qualche setta monoteista, giustamente scettico nei confronti delle interpretazioni scientifiche del nostro paleontologo.
Non sappiamo quale fu l'esito della conversazione nella mente del creazionista, sappiamo sicuramente che il Sarmatese non abbandonò il modello interpretativo delle evidenze in suo possesso. Sicuramente, conoscendo l'eloquenza e la capacità della rossa bestia di sviluppare con pacatezza (ma fermezza e rigore) le proprie argomentazioni, la conversazione fra i due opposti modi di vedere l'esistenza si svolse in un clima di totale fair play, priva di fervore messianico, volontà di conversione o ferocia redentrice.
Anche in questo si riconosce la forza del vero scienziato.
Resilienza e razionalità
Comunque, cari amici, l'applicazione di un vecchio criterio discriminante (la stima oggettiva) mi sta aiutando ad uscire razionalmente dal limbo. Per uscirne visceralmente devo applicare una più antica tecnica, infallibile e generalmente auto-rinforzante (oltre che prova della debolezza concettuale delle motivazioni alla base della minore resilienza viscerale): il mitico chiodo-scaccia-chiodo.
Così funzioniamo, a riprova della struttura stratificata e gerarchizzata della nostra personalità.
Tutto il resto è lemmistica masturbazione mentale (che rifiutiamo ultrazionalmente e che speriamo - invano - sia abbandonata da tutti).
La Gloriosamente Vacua Gloria del Tempo Profondo
Questo post è dedicato agli amanti del Tempo Profondo. Noi nominalisti (per capire il termine, ripassate un poco di filosofia medievale), sappiamo quanto l’appartenenza ad una categoria sia solo l’espressione della inevitabile grossolanità del criterio discriminante e non l’evidenza di una realtà ideale sottostante. Noi darwiniani, ovvero nominalisti con la consapevolezza del divenire storico, rifiutiamo il ricorso alle essenze per seguire la multiforme dinamica degli organismi. Noi cladisti, ovvero darwiniani con la consapevolezza dell’impossibilità di descrivere l’irrisolvibile vacuità causale del Tempo Profondo tramite le consuete metodiche della storia tardo-olocenica, rifiutiamo il metafisico concetto di antenato per applicare, con cognizione di (non) causa, il ben più popperiano criterio di origine condivisa.
Cos’è il Tempo Profondo? Per renderne bene l’idea, immaginate un film di 2 ore, impresso su una pellicola cinematografica. Per rendere l’illusione del movimento, la serie di fotogrammi della pellicola è fatta scorrere in modo da proiettare 24 fotogrammi al secondo. In un film di 2 ore (7200 secondi) avremo 172800 fotogrammi. La nostra mente ricostruisce la storia solamente perché assume tutti (o quasi) i 172800 fotogrammi in sequenza continua e regolare. Ma cosa accadrebbe se disponessimo solamente di 10 fotogrammi, estratti a caso dalla pellicola? Dato che la probabilità di estrarre due fotogrammi consecutivi è pari a circa 1 su 30 miliardi, si può dedurre chiaramente che i 10 fotogrammi non saranno mai una sequenza lineare di eventi (una storia), né che potranno essere interpretati come tale, a meno di non imporre a posteriori un senso precostituito alla loro sequenza. Non sarebbe possibile dedurre una qualunque storia dalla loro giustapposizione, nemmeno se fossimo a conoscenza delle loro reciproche relazioni cronologiche. Eppure, normalmente, questo è quello che gli evoluzionisti vecchio stampo (non cladisti) fanno con i fossili. Prendono un fossile di 15 milioni di anni, esemplare unico estratto da una cava in Kenia, uno di 8 milioni di anni, anch’esso unico, estratto da un giacimento in India, ed un terzo animale tirato fuori da una qualche sabbia etiopica di 4 milioni di anni, e impongono ai tre (sulla base di argomenti anatomici, funzionali o ecologici, la scelta è ampia) di formare una sequenza storica, una favola: il primo è antenato del secondo, che è antenato del terzo. Ritorniamo all’esempio del film: è vero che tutti i fotogrammi formano una sequenza completa e continua, ma ciò non implica che l’evento nel fotogramma numero 30241 (Alan Grant che ha una sincope davanti a un macronario) sia la causa dell’evento nel fotogramma 83527 (Ian Malcolm che sbraccia un bengala davanti ad un grosso tetanuro), né che esso lo sia a sua volta dell’evento nel fotogramma 118085 (Tim che articola la prima consonante di: “Guarda quanto sangue!”). Tutto quello che si può fare, con intelligenza scientifica e consapevole del limite, è di affermare che gli eventi “3” e “2” hanno probabilmente una serie di eventi antecedenti condivisi più lunga di quanto ognuno dei due possa avere con l’evento “1”. Tutto il resto, l’estrapolazione di teorie adattative, di scenari causali, di catene consequenziali, è un’imposizione a posteriori, è un desiderio mal celato di poter narrare una storia dove non può esistere narrazione.
In realtà l’esempio della pellicola cinematografica è fuorviante, poiché si tratta di una sequenza unica, priva di ramificazioni: la storia evolutiva è più simile ad un fittissimo cespuglio (nemmeno ad un albero, come usualmente viene rappresentata) dalla trama intricata e difficilmente risolvibile. Provate ad immaginare di dover ricostruire la forma di un cespuglio composto in origine da migliaia di ramoscelli, disponendo solamente di una dozzina di rami: tutto ciò che una mente onesta può sperare di ricostruire è l’eventuale disposizione relativa dei pezzi a lei noti.
Per quanto apparentemente frustrante, l’accettazione del limite intrinseco alla conoscenza del Tempo Profondo della storia naturale ha indotto lo sviluppo di una metodologia ricostruttiva che non solo è scientificamente robusta, ma anche straordinariamente liberatoria: l’analisi filogenetica, oltre ad essere un potente mezzo di indagine, è anche uno dei terreni più difficili per l’imposizione di idee e modelli arbitrari. Qualsiasi teoria filogenetica cladistica deve essere supportata dall’intera descrizione dei dati utilizzati: non è sufficiente esporre uno scenario evolutivo coerente e plausibile (azione che qualsiasi bravo oratore dotato di occhio naturalistico può produrre estrapolando a proprio piacimento i dati più consoni dalla mole delle multiformi evidenze disponibili), ma è necessario fornire l’intera descrizione e distribuzione dei dati, oltre ad i mezzi per permettere al critico di postulare (eventuali) ipotesi alternative con quei dati. Oltre ad essere molto scientifico, il metodo cladistico è perciò straordinariamente democratico (nell’accezione arcaica, non-partitica, del termine), perché non fa affidamento sull’eventuale autorità di chi propone l’ipotesi filogenetica: non è il fatto che mister FCF (sigla inventata, o quasi) sia l’unico esperto esistente di squali cenomaniani (gruppo ed epoca presi a caso) che può dare credibilità alle sue ipotesi filetiche sugli squali cenomaniani, ma solo la robustezza di materiali, metodi ed analisi che sta a monte del risultato da lui proposto.
martedì 4 dicembre 2007
Inutili Ritorsioni di Guerre Primaverili
I bastardi hanno atteso 6 mesi per riavere la loro rivincita...
Urgono rapide soluzioni alla vecchia maniera.
Aforismi del 4 dicembre
Il quadrato costruito sull'ipocondria è uguale alla somma dei quadrati costruiti sui cateteri (Primo Teorema di Ippocrate).
venerdì 30 novembre 2007
Settimana di validazioni evolutive (Post scriptum a Longevità, Castrazione e Guerre Mondiali: epifenomeni tardivi di perturbazioni gametiche)
Extended Male Growth in a Fossil Hominin Species
(30 NOVEMBER 2007, VOL 318 di SCIENCE www.sciencemag.org)
Charles A. Lockwood, Colin G. Menter, Jacopo Moggi-Cecchi, Andre W. Keyser
giovedì 29 novembre 2007
Longevità, Castrazione e Guerre Mondiali: epifenomeni tardivi di perturbazioni gametiche. Seconda Parte.
Un secondo fattore che non bisogna mai dimenticare nelle analisi di popolazioni è la presenza di vincoli storici, di contingenze che “perturbano” il risultato delle nostre analisi. Ad esempio, ho tirato in ballo le stime di età media della popolazione attuale: 75-80 anni. Rivalutiamo ancora questi dati, ma ancora ribaltando l’ottica.
Un uomo sopra gli 80 anni è nato prima di 80 anni fa (ovvio): ovvero prima del 1927. Non esistono uomini più vecchi di 115 anni, ovvero nessuno nato prima del 1892. Di conseguenza, qualunque discorso sulla longevità umana discute di individui nati tra il 1892 ed il 1927. Per caso, sono avvenuti eventi storici che hanno inciso significativamente sulla vita degli uomini nati tra il 1892 ed il 1927, e che possono aver generato un tasso di mortalità più alto in loro rispetto alle donne? I nati nel 1892 erano ventenni nel 1914, e sono stati tutti coinvolti nella Prima Guerra Mondiale, quelli nati tra il 1900 ed il 1920 sono stati tutti coinvolti nella Seconda Guerra Mondiale. Ora, anche se il prezzo in vite pagato dai civili (sopratutto donne) nella Seconda Guerra Mondiale è stato notevole e prossimo a quello pagato dai soldati, non così fu nella Prima Guerra Mondiale (che fu più “tradizionale” sotto questi aspetti): perciò, è evidente come il tasso di mortalità complessivo delle due guerre fu sbilanciato a danno dei maschi. Ciò può, in parte, spiegare il più alto tasso di mortalità maschile registrato tra gli ottantenni ed ultra-ottantenni attuali, e quindi la maggiore longevità femminile.
Sarà interessante vedere quanto saranno differenti i tassi di longevità-mortalità maschile e femminile nelle nostre generazioni tra 50-60 anni, sempre che nel mezzo non salti fuori un altro paio di guerre di trincea a scapito principalmente di un solo sesso...
Tutto questo discorso ha tirato in ballo la guerra: oltre che essere la massima espressione dell’aggressività umana, è anche, almeno lo è stata fino a tempi recenti, un ambito esclusivamente maschile. Ma perché dovrebbero essere i maschi più aggressivi (statisticamente) delle femmine? Se abbiamo osservato il danno che comporta l’aggressività (aumenta la probabilità di mortalità), perché si è evoluta una simile differenza? L’aggressività negli animali (uomo compreso) è principalmente rivolta ai membri della stessa specie (nel senso che, se si esclude dall’analisi l’istinto predatorio dei carnivori, tutti, sia predatori che prede, manifestano aggressività contro i membri della stessa specie e tendono a trascurare individui di altre specie). In particolare, l’aggressività è manifestata nella competizione tra individui maschili per la riproduzione, e si esprime con armamentari vari di corna, canti, rituali, lotte e sfoggi di muscoli.
Perché la competizione riproduttiva è più diffusa tra maschi che tra femmine? Per capirlo, spogliamo i nostri animali dei fin troppo abusati termini “maschio” e “femmina” e limitiamoci a dividerli in due categorie: individui G (G grande) e individui g (G piccolo): i primi producono poche cellule riproduttive, generalmente di grandi dimensione, i secondi producono moltissime cellule riproduttive, molto piccole e meno complesse delle G. Evidentemente, in una popolazione così formata, possono derivare questi possibili sviluppi:
1) G si limitano a produrre altri G.
2) g si limitano a produrre altri g.
3) G si combinano con G.
4) g si combinano con g.
5) G e g si combinano.
Se avessimo 5 popolazioni, ognuna che segue una delle strategie di sopra, a lungo andare osserveremmo che la 5) è quella che ha le maggiori probabilità di sopravvivere, e questo perché, a parità di tutti gli altri fattori, tende ad avere la maggiore variabilità interna, e quindi una maggiore possibilità di generare, casualmente, individui adatti a nuove ed impreviste situazioni.
Ma, una volta affermata la popolazione 5), qual’è la conseguenza della presenza di due tipi di individui distinti (G e g)? Dato che i primi producono un minor numero di cellule riproduttive (un numero minore ma di maggiore qualità), sarà selezionato favorevolmente qualunque comportamento e anatomia che riduca al minimo lo spreco di cellule. Al contrario, gli individui g “possono permettersi” un maggiore spreco, perché, comunque, hanno sempre un numero di cellule riproduttive maggiore di qualsiasi G. Maggior spreco implica anche possibilità di premettersi un maggior rischio: ed ecco perché, probabilmente, nei g (che dopo un miliardo di anni di evoluzione chiameremo “maschi”) ha maggior probabilità di verificarsi la (rischiosa) evoluzione dell’aggressività che nei G (femmine).
Questo è quello che ci viene applicando un ragionamento naturalistico ed evoluzionistico generale a ciò che ci circonda: tuttavia, come mostra l’esempio delle Guerre Mondiali, non bisogna mai trascurare l’effetto delle contingenze storiche. Dopotutto, è probabile che l’emergenza di una differenza tra individui G e g (allora probabilmente minima e quasi impercettibile, dato che erano organismi mono- o pauci-cellulari), nelle remote pozze precambriane, dovette sorgere casualmente, come perturbazione locale, come epifenomeno di qualche ignota contingenza storica.
mercoledì 28 novembre 2007
Matrioske permiane
Jürgen Kriwet, Florian Witzmann, Stefanie Klug, Ulrich H.J. Heidtke. First direct evidence of a vertebrate three-level trophic chain in the fossil record. Proceedings of the Royal Society B 275 (January 22, 2008): 181-186
Abstract: We describe the first known occurrence of a Permian shark specimen preserving two temnospondyl amphibians in its digestive tract as well as the remains of an acanthodian fish, which was ingested by one of the temnospondyls. This exceptional find provides for the first time direct evidence of a vertebrate three-level food chain in the fossil record with the simultaneous preservation of three trophic levels. Our analysis shows that small-sized Lower Permian xenacanthid sharks of the genus Triodus preyed on larval piscivorous amphibians. The recorded trophic interaction can be explained by the adaptation of certain xenacanthids to fully
freshwater environments and the fact that in these same environments, large temnospondyls occupied the niche of modern crocodiles. This unique faunal association has not been documented after the Permian and Triassic. Therefore, this Palaeozoic three-level food chain provides strong and independent support for changes in aquatic trophic chain structures through time.
Longevità, Castrazione e Guerre Mondiali: epifenomeni tardivi di perturbazioni gametiche. Prima Parte.
Partiamo da un dato abbastanza noto della demografia: il tasso di longevità femminile è più alto di quello maschile. In genere, si dice che le donne vivano 5-10 anni in media più degli uomini. Questo dato mi fece riflettere sul fatto che mia madre, avendo dieci anni meno del mio mitico vecchio, dovrebbe attendersi un 10-15 anni di vedovanza (indipendentemente da chi vivrà più a lungo, l’importante è che i vivi non soffrano). Dopodiché mi domandai: qual’è la causa di una simile differenza di longevità? Se il dato, come appare, non è casuale, allora deve avere una causa, o una sommatoria di concause generanti. (Già che sono qui, rimarco la seguente banalità: l’esistenza di una media di 5-10 anni di longevità non implica una necessità: mio nonno paterno trascorse gli ultimi 10 anni della sua vita da vedovo, e sua moglie era più giovane. Chiusa parentesi banale).
La prima spiegazione che uno potrebbe cercare è di tipo biologico diretto: la donna è programmata geneticamente per vivere di più. Ciò, in un’ottica biologica darwiniana è assurdo, nonché contraddittorio. Ovvero, se dovessimo cercare una causa biologica diretta della longevità femminile, e quindi dovessimo cercare un valore adattativo nella longevità femminile rispetto alla maschile, giungeremmo ad una contraddizione. Ciò per il seguente motivo: ammettiamo che ci sia un vantaggio evolutivo nella longevità; allora quale sarebbe il maggiore vantaggio nella longevità femminile? Apparentemente, non ne esiste: dato che il tasso riproduttivo potenziale di un maschio è più alto di quello femminile sia in termini di numero potenziale di figli (un maschio produce nella sua vita miliardi di spermatozoi, tutti potenzialmente in grado di fecondare, mentre una donna produce alcune migliaia di ovuli) sia in termini di potenzialità temporale (la fertilità femminile naturale non supera il cinquantesimo anno, mentre è documentato che uomini sui 70-80 anni sono diventati padri), non risulta più vantaggioso in una popolazione che la donna sia più longeva: anzi, siccome un uomo a 70 anni potrebbe (ma, dico io, forse non dovrebbe) diventare padre, mentre una donna non lo potrebbe più da circa un ventennio (essendo in menopausa), ci dovremmo attendere un’evoluzione della longevità maschile. Anche prendendo in considerazione le cure parentali (strettissime e di così lunga durata nella specie umana), il discorso non cambia: non esiste un reale vantaggio adattativo nella maggiore longevità femminile (anzi, anche qui si rimarca il paradosso della più bassa longevità maschile: dato che, spesso, nella coppia è il maschio il più anziano, sarebbe più vantaggioso per la durata della coppia se egli fosse potenzialmente più longevo... vedi citazione della possibile fase di vedovanza di mia madre): anche qui, comunque, il discorso è puramente teorico: alle età attualmente citate per la longevità maschile (75-80 anni) nessuno ha più figli piccoli da accudire (e quindi non è selezionato negativamente rispetto a più efficienti coppie giovani).
Dove voglio arrivare con questo discorso? Semplicemente col dire che non credo che esista una causa evoluzionistica diretta che generi una maggiore longevità femminile, perché non esiste un motivo evoluzionistico che giustifichi (cioè potrebbe generare) una maggiore longevità femminile.
Eppure, il tasso di longevità è un dato di fatto. Forse, ma solo in parte.
Come viene calcolata la longevità di una popolazione? Senza entrare nelle discussioni statistiche, quello che viene calcolato effettivamente non è la longevità, bensì il tasso di mortalità. Ovvero, non è corretto dire che si determina la maggiore longevità femminile, bensì che si determina la maggiore mortalità maschile. Il dato reale è quindi il seguente: i maschi hanno un tasso di mortalità più alto delle femmine. Ora, uno potrebbe obiettare che non cambia nulla nella soluzione del problema. Tutt’altro: mentre il problema della longevità si riduceva ad un’assurda ricerca di una causa interna diretta della longevità, la quale, ovviamente, è solo la capacità di perdurare nel tempo, la mortalità può (e deve) essere cercata anche (e sopratutto) investigando i fattori esterni che provocano la morte.
Qualcuno una volta fece l’intelligente osservazione che esistono molti più modi di essere morti che di essere vivi (e questo perché esiste un’infinità di combinazioni non vitali di particelle, mentre solo un sottinsieme delle combinazioni possibili è un essere vivente e funzionante), analogamente, esistono molti più modi di morire che di restare vivi. Quindi, statisticamente, è più probabile morire che sopravvivere.
Ma perché gli uomini hanno una probabilità più alta di morire? Se abbiamo constatato che il tasso di mortalità maschile è maggiore di quello femminile, dove possiamo trovare la causa di ciò? Ovviamente nella fonte di ogni azione: nel cervello. Lo so, sto entrando in un campo minatissimo: ma non fatevi subito prendere dai vostri pregiudizi e luoghi comuni. Seguite il ragionamento fino in fondo, e poi valutatelo tutto assieme.
In più di un secolo di ricerca neuropsicologia, fisiologica ed anatomica è emerso che le differenze tra cervello maschile e femminile sono trascurabili e non significative. Analogamente, la gamma comportamentale tra maschi e femmine è praticamente identica e sovrapponibile (con le ovvie differenze particolari, culturali e storiche che complicano ogni valutazione dei dati). Tranne che in un aspetto. In tutte le culture, fasce sociali e fasce d’età, esiste un fattore nel quale esiste una marcata differenza tra maschi e femmine. L’aggressività. Anche se tutti conosciamo donne aggressive e maschi poco aggressivi, statisticamente, nella popolazione umana presa nel complesso, la percentuale di individui aggressivi (presi con qualsivoglia metro di valutazione: reati commessi, reazione a determinati induttori dell’aggressività, durata e persistenza del comportamento violento e/o aggressivo) è composta maggiormente da maschi. Ciò ha sicuramente a monte una serie di fattori scatenanti, ma proprio per il fatto che essa è l’unica differenza misurata con sicurezza in così tante culture e fasce di età, deve comunque risiedere in qualche aspetto biologico maschile. Difatti, esiste una stretta correlazione tra induttori biologici dell’aggressività (ormoni in primis) e sessualità maschile. Il principale ormone maschile è il testosterone, il quale, pur prodotto anche dal corpo femminile, è secreto principalmente dal testicolo. Il testosterone è anche il principale (ma non unico) ormone correlato al comportamento aggressivo. Questo è noto da secoli, ed è alla base della pratica della castrazione: un bellicoso toro (e non solo bovino) può essere trasformato in un mansueto bue con un rapido colpo mutilante alle parti basse: la trasformazione del suo comportamento e del carattere è strettamente veicolata dalla secrezione di testosterone. Ovviamente, il comportamento umano è più complesso, ma nondimeno è chiaro che l’azione del testosterone influenza l’aggressività. Pertanto, è possibile che il più alto tasso di aggressività maschile sia un fattore determinante nell’incidenza maggiore della mortalità maschile nella popolazione, e quindi nell’apparente paradosso evolutivo della più alta longevità femminile.
Bene, questa prima parte è conclusa. Nella prossima spiegherò perché ho tirato in ballo la Prima Guerra Mondiale e gli oscuri eventi diluitisi nelle noiosissime eternità del Precambriano.
Ancora una volta, non fraintendete il senso di queste argomentazioni aldilà del loro ambito.
Lunga vita a tutti!
The teleostean affinities of a legendary pterodactyloid from the Middle Brain Formation.
Pisquanogeno P., Demiurgo A., Duplophago, S. and (virtually) some other; 2007. The teleostean affinities of a legendary pterodactyloid from the Middle Brain Formation. Journal of Natural Mistery - 29 (11): 1-19.
Test Ultrazionale - Sessione (C)Autunnale
So che risulterò borioso, ma ripeterò all’infinito che questo test è solamente un gioco formale sulle capacità del mio amatissimo PAUP, e non vuole cercare alcuna verità nascosta: cercare di forzare i risultati per scopi che non hanno nulla a che vedere con l’analisi di PAUP sui dati dati (il primo è nome, il secondo è participio) è un atto gratuito, un delitto contro la pura ludica delle AFICoNFi (analisi-filogenetiche-in-contesti-non-filogenetici).
Il nuovo soggetto immesso è chiamato PSCr: come negli altri casi, la sigla serve all’interessato e a chi lo conosce per identificarlo, lasciandolo anonimo per il resto del pianeta (che poi il soggetto voglia dichiararsi, sono affari suoi).
Immesso PSCr ed impostato PAUP come la volta scorsa, abbiamo ottenuto il seguente risultato:
Rispetto all’analisi precedente sono cresciuto in pauppitudine: questo albero mostra anche la quantità di affinità tra i soggetti (data dalla lunghezza dei segmenti che li congiungono, in basso abbiamo la scala di riferimento: l’intero albero, essendo di 253 steps, è lungo 253 unità). Inoltre, e questa è la vera chicca, ora posso impostare PAUP a testare particolari topologie, per vedere di quanto si discostino dal risultato non-impostato (quello di sopra, che ci dà la distribuzione più parsimoniosa dei dati). Per curiosità, ho testato (A) una disposizione nella quale AnCa e ClSt sono sister-groups, (B) una nella quale i paleontologi sono un gruppo monofiletico, (C) una nella quale il nuovo entrato è raggruppato con AnCa e ClSt, una (D) per vedere quanto di oggettivo potrebbe esserci in una bizzarra tesi sessista (dato che recentemente è stata attribuita una vena sessista a questo blog, soddisfiamo questa bislacca interpretazione), nella quale ho imposto che maschi e femmine formino due gruppi distinti; ed infine una (E) per classi d’età, con i giovani in gruppi più affini rispetto ai vecchi. I risultati, espressi in numero di steps aggiuntivi che le differenti topologie imposte hanno rispetto ai 253 steps dell’albero più parsimonioso, sono:
A): +2 (ovvero, è 2 steps meno parsimonioso dell’albero di sopra); B): +2; C): +15; D): +14; E): +38. Mentre le prime due imposizioni sono leggermente sopra la parsimonia e quindi possono essere alternative credibili, le altre tre, con 15, 14 e 38 steps aggiuntivi, risultano meno sostenibili (2 curiosità: nell’imposizione sessista, l’(e)neocelta ed il Demiurgo sono sister-groups; nell’imposizione a classi di età progressive, la mia annata forma un gruppo monofiletico). Chi volesse anche gli alberi a topologie forzate mi faccia sapere.
Non date altro valore a quello che emerge dal post, rischiereste di disidratarvi.
Buone pauppate a tutti!
venerdì 23 novembre 2007
Ultrazionalità e Buddhismo
giovedì 22 novembre 2007
Modo Ultrazionale ed Essere Ultrazionale
mercoledì 21 novembre 2007
Aforisma ultrazionale del 21 novembre
Sull'esistenza di un essere mitico chiamato Donna Ultrazionale
Esiste la donna ultrazionale? La domanda sta diventando un’ossessione: non tanto per l’esigenza programmata di cercare una compagna (al contrario, di questi tempi conviene prendersi una pausa... almeno fino alla prossima sortita all’Highlander...), quanto per soddisfare un diLemma ben più interessante. Ovvero: esiste una matrice biologica all’ultrazionalità (ovviamente sì), strettamente correlata alla determinazione sessuale? L’ultrazionalità è connessa al cromosoma Y, come barba e testicoli? Oppure è una caratteristica portata dal cromosoma X, ma recessiva al pari del daltonismo, e che quindi può manifestarsi anche nelle donne anche se con una più bassa probabilità rispetto ai maschi?.
I recenti eventi della mia contingenza, la guerra per sopprimere la primitiva volontà della maggioranza interna votata a Visceralia, il caso umano e patologico del teatino forestale (ormai è assodato, e da lui stesso ammesso implicitamente, che è un corpo maschile con un cervello femminile), mi stanno convincendo che se una donna ultrazionale esiste (come spero, non per appagare manie pseudo-eugenetiche di generare progenie ultrazionale pura, ma per sperimentare anche con una donna quella rara forma di piacere che è la dissacrante sintesi auto-scazzante meta-ironica dell’essere ultrazionale), ella deve al tempo stesso essere equipaggiata di ultrazionalità e priva delle numerose non-ultrazionalità che (almeno da queste parti) ricoprono molte donne. Come sempre, per evitare malintesi, ricordo che l’impostazione ultrazionale va Oltre e non segue una logica di “valori ordinati”: il fatto che le donne in giro da queste parti siano poco fornite nel frangente ultrazionale non significa che siano meno interessanti o meritevoli di stima (o altro), significa solo che sono carenti nell’ambito ultrazionale (carenza che, purtroppo, tende a creare un solco con noialtri mostri di cinismo e goliardia nei momenti in cui si sono esaurite le altre possibili cause di legame... sì, lo so, sto facendo delle contingenze recenti un metro di valutazione, perciò dichiaro senza pudore che qualsiasi riferimento alle passate esperienze sentimentali del Demiurgo, del Clastu o di altri ultrazionali sono puramente CAUsali).
Vediamo come dovrebbe essere (in teoria) una donna ultrazionale. Sulla base della ricchissima documentazione in nostro possesso, possiamo stilare una serie di caratteristiche che ipoteticamente, ella dovrebbe avere. Tanto più una femmina di Homo sapiens rispecchierà questa lista tanto più, credo, ma non posso esserne certo, ella sarà ultrazionale.
Auto-ironia vera: non si piange addosso, né si auto-celebra come Femminilità Incorruttibile Giusta e Assoluta.
Non fa della sua esistenza il solo argomento possibile.
Razionalità consapevole ed autonoma: pensa a modo suo e lo mostra.
Ama argomentare, non pontificare (quindi, ammette la critica e detesta l’accondiscendenza immotivata).
Dialettica fluente e giocosa: parla e straparla senza paura, fa uso frequente di giochi di parole, e ne crea di nuovi.
Conosce il significato della parola “surrogato”.
Equidistante da sciatteria e da estetismo patologico: la cura dell’aspetto conta, ma non deve essere la necessaria copertura di un’anima vuota, né il rifugio di una personalità debole.
Flessibilità mentale e capacità di separare un evento dalla sua menzione. Apertura alla diversità e al confronto.
Si incazza facilmente, ma senza scenate isteriche: non dà grande peso alle proprie incazzature, che sa sfogare velocemente e dissolvere con altrettanta velocità.
Distacco dalla matrice viscerale: l’istinto materno e le tempeste ormonali non siano una gabbia mentale che impedisce di valutare Oltre.
Non è vegetariana, se non per vincoli storici* (so che sto sollevando un polverone: come abbiamo già discusso, ultrazionalità e vegetarianesimo hanno una diversa base mentale...).
Per ora mi vengono in mente questi caratteri... ma so che altri possono essere citati. Se qualche donna si riconosce in buona parte di questi, allora ci faccia il sommo piacere di dichiararsi, così da riempire quella metà del cielo Ultrazionale che, almeno da queste parti, è piuttosto vuoto.
Ma forse mi sto illudendo dell'esistenza di un essere mitico, una Chimera, un Lemma androcefalo...
* Questa aggiunta sarà chiarita in un prossimo futuro.
martedì 20 novembre 2007
Trinità Ultrazionale
lunedì 19 novembre 2007
Informatica e paleontologia... da un punto di vista ultrazionale
L'osservazione di ieri ha innescato una considerazione sul senso della fossilizzazione, e su un errore concettuale diffuso (più o meno consciamente) in molti di quelli che parlano di fossili.
In genere, quando si parla di un fossile, si dice: "questo osso... il cranio... la conchiglia... il carapace... il tronco...", ma, volendo essere precisi, nessuno degli oggetti chiamati in causa è quello che viene detto. Nella realtà, quelle che vengono citate sono strutture geologiche (rocce) che, a seguito di un processo (fossilizzazione) hanno assunto (più o meno parzialmente) la forma di preesistenti strutture biologiche (attualmente andate distrutte). A parte rarissimi casi, non esiste materiale organico nei fossili. Un fossile non è un osso, un cranio, una conchiglia ecc..
Paradossalmente, un mio amico provocatore (GG) ha ragione: i fossili sono sculture. Un fossile è solo un pezzo di roccia che ha preso una strana forma, copiando quella di un organismo. So che sto dicendo qualcosa di ovvio e noto, ma quanti lo rammentano mentre si occupano di fossili?
Di fatto, per chi, come me, è interessato sopratutto alla morfologia dei fossili che studia, è poco importante quale sia la sua matrice materiale (geologica), cioè l'hardware nel quale è stata impressa l'informazione morfologica (biologica), cioè il software. Ovviamente, la roccia dà informazioni supplementari, ma se il vostro interesse è puramente anatomico, esse sono irrilevanti. Se i fossili si conservassero in cioccolato, in polistirolo, in gesso, oppure in pdf (...), con la stessa accuratezza del carbonato, silicato o fosfato dei fossili veri e propri, per me non farebbe differenza. Quello che conta è il contenuto di informazione anatomica conservato, non il suo supporto.
Restaurazione Ultrazionale
Gli ultimi umori viscerali stanno depositandosi. Presto, un nuovo strato li ricoprirà, consegnandoli alla stratigrafia.
Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato all'evento, color che hanno fornito mezzi e tempo, coloro che hanno fornito consulenza ed appoggio, e coloro che hanno supportato la temporanea caduta del grado ultrazionale del Demiurgo.
Abbiamo due arcosauromorfi cenomaniani da battezzare, una Figlia da pubblicare, e tanti piani B da discutere e scacciare...
sabato 10 novembre 2007
Pubblicità Progresso... per fortuna in Italia qualcuno intelligente è ancora in giro.
venerdì 9 novembre 2007
mercoledì 24 ottobre 2007
Io lo cito, egli mi cita... noi siamo scimmie
Prendete e godetene tutti...