Nella prima parte avevo cercato una causa biologica per l'origine del più alto tasso di longevità femminile: non trovando una plausibile causa evolutiva, ho provato a ribaltare l’ottica, ovvero, a cercare una causa della più alta mortalità maschile. Da ciò, è emersa una buona correlazione con l’unico aspetto della neuroanatomia che distingue il comportamento maschile dal femminile, cioè la più alta percentuale di comportamenti aggressivi nei maschi, a loro volta correlati con la più alta produzione di testosterone del loro organismo. Da qui si può ragionevolmente dedurre che un più alto tasso di aggressività si ripercuota su un più alto tasso di mortalità. In altri mammiferi sociali ciò è ampiamente dimostrato, quindi non stupisce ritrovarlo anche in noi. Ovviamente, la socialità umana è estremamente complessa, fortemente condizionata da epifenomeni culturali che si sono sovrapposti dominando (ma non sempre) le preesistenti forze biologiche.
Un secondo fattore che non bisogna mai dimenticare nelle analisi di popolazioni è la presenza di vincoli storici, di contingenze che “perturbano” il risultato delle nostre analisi. Ad esempio, ho tirato in ballo le stime di età media della popolazione attuale: 75-80 anni. Rivalutiamo ancora questi dati, ma ancora ribaltando l’ottica.
Un uomo sopra gli 80 anni è nato prima di 80 anni fa (ovvio): ovvero prima del 1927. Non esistono uomini più vecchi di 115 anni, ovvero nessuno nato prima del 1892. Di conseguenza, qualunque discorso sulla longevità umana discute di individui nati tra il 1892 ed il 1927. Per caso, sono avvenuti eventi storici che hanno inciso significativamente sulla vita degli uomini nati tra il 1892 ed il 1927, e che possono aver generato un tasso di mortalità più alto in loro rispetto alle donne? I nati nel 1892 erano ventenni nel 1914, e sono stati tutti coinvolti nella Prima Guerra Mondiale, quelli nati tra il 1900 ed il 1920 sono stati tutti coinvolti nella Seconda Guerra Mondiale. Ora, anche se il prezzo in vite pagato dai civili (sopratutto donne) nella Seconda Guerra Mondiale è stato notevole e prossimo a quello pagato dai soldati, non così fu nella Prima Guerra Mondiale (che fu più “tradizionale” sotto questi aspetti): perciò, è evidente come il tasso di mortalità complessivo delle due guerre fu sbilanciato a danno dei maschi. Ciò può, in parte, spiegare il più alto tasso di mortalità maschile registrato tra gli ottantenni ed ultra-ottantenni attuali, e quindi la maggiore longevità femminile.
Sarà interessante vedere quanto saranno differenti i tassi di longevità-mortalità maschile e femminile nelle nostre generazioni tra 50-60 anni, sempre che nel mezzo non salti fuori un altro paio di guerre di trincea a scapito principalmente di un solo sesso...
Tutto questo discorso ha tirato in ballo la guerra: oltre che essere la massima espressione dell’aggressività umana, è anche, almeno lo è stata fino a tempi recenti, un ambito esclusivamente maschile. Ma perché dovrebbero essere i maschi più aggressivi (statisticamente) delle femmine? Se abbiamo osservato il danno che comporta l’aggressività (aumenta la probabilità di mortalità), perché si è evoluta una simile differenza? L’aggressività negli animali (uomo compreso) è principalmente rivolta ai membri della stessa specie (nel senso che, se si esclude dall’analisi l’istinto predatorio dei carnivori, tutti, sia predatori che prede, manifestano aggressività contro i membri della stessa specie e tendono a trascurare individui di altre specie). In particolare, l’aggressività è manifestata nella competizione tra individui maschili per la riproduzione, e si esprime con armamentari vari di corna, canti, rituali, lotte e sfoggi di muscoli.
Perché la competizione riproduttiva è più diffusa tra maschi che tra femmine? Per capirlo, spogliamo i nostri animali dei fin troppo abusati termini “maschio” e “femmina” e limitiamoci a dividerli in due categorie: individui G (G grande) e individui g (G piccolo): i primi producono poche cellule riproduttive, generalmente di grandi dimensione, i secondi producono moltissime cellule riproduttive, molto piccole e meno complesse delle G. Evidentemente, in una popolazione così formata, possono derivare questi possibili sviluppi:
1) G si limitano a produrre altri G.
2) g si limitano a produrre altri g.
3) G si combinano con G.
4) g si combinano con g.
5) G e g si combinano.
Se avessimo 5 popolazioni, ognuna che segue una delle strategie di sopra, a lungo andare osserveremmo che la 5) è quella che ha le maggiori probabilità di sopravvivere, e questo perché, a parità di tutti gli altri fattori, tende ad avere la maggiore variabilità interna, e quindi una maggiore possibilità di generare, casualmente, individui adatti a nuove ed impreviste situazioni.
Ma, una volta affermata la popolazione 5), qual’è la conseguenza della presenza di due tipi di individui distinti (G e g)? Dato che i primi producono un minor numero di cellule riproduttive (un numero minore ma di maggiore qualità), sarà selezionato favorevolmente qualunque comportamento e anatomia che riduca al minimo lo spreco di cellule. Al contrario, gli individui g “possono permettersi” un maggiore spreco, perché, comunque, hanno sempre un numero di cellule riproduttive maggiore di qualsiasi G. Maggior spreco implica anche possibilità di premettersi un maggior rischio: ed ecco perché, probabilmente, nei g (che dopo un miliardo di anni di evoluzione chiameremo “maschi”) ha maggior probabilità di verificarsi la (rischiosa) evoluzione dell’aggressività che nei G (femmine).
Questo è quello che ci viene applicando un ragionamento naturalistico ed evoluzionistico generale a ciò che ci circonda: tuttavia, come mostra l’esempio delle Guerre Mondiali, non bisogna mai trascurare l’effetto delle contingenze storiche. Dopotutto, è probabile che l’emergenza di una differenza tra individui G e g (allora probabilmente minima e quasi impercettibile, dato che erano organismi mono- o pauci-cellulari), nelle remote pozze precambriane, dovette sorgere casualmente, come perturbazione locale, come epifenomeno di qualche ignota contingenza storica.
Un secondo fattore che non bisogna mai dimenticare nelle analisi di popolazioni è la presenza di vincoli storici, di contingenze che “perturbano” il risultato delle nostre analisi. Ad esempio, ho tirato in ballo le stime di età media della popolazione attuale: 75-80 anni. Rivalutiamo ancora questi dati, ma ancora ribaltando l’ottica.
Un uomo sopra gli 80 anni è nato prima di 80 anni fa (ovvio): ovvero prima del 1927. Non esistono uomini più vecchi di 115 anni, ovvero nessuno nato prima del 1892. Di conseguenza, qualunque discorso sulla longevità umana discute di individui nati tra il 1892 ed il 1927. Per caso, sono avvenuti eventi storici che hanno inciso significativamente sulla vita degli uomini nati tra il 1892 ed il 1927, e che possono aver generato un tasso di mortalità più alto in loro rispetto alle donne? I nati nel 1892 erano ventenni nel 1914, e sono stati tutti coinvolti nella Prima Guerra Mondiale, quelli nati tra il 1900 ed il 1920 sono stati tutti coinvolti nella Seconda Guerra Mondiale. Ora, anche se il prezzo in vite pagato dai civili (sopratutto donne) nella Seconda Guerra Mondiale è stato notevole e prossimo a quello pagato dai soldati, non così fu nella Prima Guerra Mondiale (che fu più “tradizionale” sotto questi aspetti): perciò, è evidente come il tasso di mortalità complessivo delle due guerre fu sbilanciato a danno dei maschi. Ciò può, in parte, spiegare il più alto tasso di mortalità maschile registrato tra gli ottantenni ed ultra-ottantenni attuali, e quindi la maggiore longevità femminile.
Sarà interessante vedere quanto saranno differenti i tassi di longevità-mortalità maschile e femminile nelle nostre generazioni tra 50-60 anni, sempre che nel mezzo non salti fuori un altro paio di guerre di trincea a scapito principalmente di un solo sesso...
Tutto questo discorso ha tirato in ballo la guerra: oltre che essere la massima espressione dell’aggressività umana, è anche, almeno lo è stata fino a tempi recenti, un ambito esclusivamente maschile. Ma perché dovrebbero essere i maschi più aggressivi (statisticamente) delle femmine? Se abbiamo osservato il danno che comporta l’aggressività (aumenta la probabilità di mortalità), perché si è evoluta una simile differenza? L’aggressività negli animali (uomo compreso) è principalmente rivolta ai membri della stessa specie (nel senso che, se si esclude dall’analisi l’istinto predatorio dei carnivori, tutti, sia predatori che prede, manifestano aggressività contro i membri della stessa specie e tendono a trascurare individui di altre specie). In particolare, l’aggressività è manifestata nella competizione tra individui maschili per la riproduzione, e si esprime con armamentari vari di corna, canti, rituali, lotte e sfoggi di muscoli.
Perché la competizione riproduttiva è più diffusa tra maschi che tra femmine? Per capirlo, spogliamo i nostri animali dei fin troppo abusati termini “maschio” e “femmina” e limitiamoci a dividerli in due categorie: individui G (G grande) e individui g (G piccolo): i primi producono poche cellule riproduttive, generalmente di grandi dimensione, i secondi producono moltissime cellule riproduttive, molto piccole e meno complesse delle G. Evidentemente, in una popolazione così formata, possono derivare questi possibili sviluppi:
1) G si limitano a produrre altri G.
2) g si limitano a produrre altri g.
3) G si combinano con G.
4) g si combinano con g.
5) G e g si combinano.
Se avessimo 5 popolazioni, ognuna che segue una delle strategie di sopra, a lungo andare osserveremmo che la 5) è quella che ha le maggiori probabilità di sopravvivere, e questo perché, a parità di tutti gli altri fattori, tende ad avere la maggiore variabilità interna, e quindi una maggiore possibilità di generare, casualmente, individui adatti a nuove ed impreviste situazioni.
Ma, una volta affermata la popolazione 5), qual’è la conseguenza della presenza di due tipi di individui distinti (G e g)? Dato che i primi producono un minor numero di cellule riproduttive (un numero minore ma di maggiore qualità), sarà selezionato favorevolmente qualunque comportamento e anatomia che riduca al minimo lo spreco di cellule. Al contrario, gli individui g “possono permettersi” un maggiore spreco, perché, comunque, hanno sempre un numero di cellule riproduttive maggiore di qualsiasi G. Maggior spreco implica anche possibilità di premettersi un maggior rischio: ed ecco perché, probabilmente, nei g (che dopo un miliardo di anni di evoluzione chiameremo “maschi”) ha maggior probabilità di verificarsi la (rischiosa) evoluzione dell’aggressività che nei G (femmine).
Questo è quello che ci viene applicando un ragionamento naturalistico ed evoluzionistico generale a ciò che ci circonda: tuttavia, come mostra l’esempio delle Guerre Mondiali, non bisogna mai trascurare l’effetto delle contingenze storiche. Dopotutto, è probabile che l’emergenza di una differenza tra individui G e g (allora probabilmente minima e quasi impercettibile, dato che erano organismi mono- o pauci-cellulari), nelle remote pozze precambriane, dovette sorgere casualmente, come perturbazione locale, come epifenomeno di qualche ignota contingenza storica.
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