sabato 15 dicembre 2007

Il diLemma della tassonomia paleontologica (ovvero, l’eredità della nomenclatura binomiale)





In questo periodo sono (e sono stato impegnato) in pubblicazioni nei quali il concetto tassonomico di “Genere” è emerso più volte in tutta la sua ambiguità. Senza entrare (per ora) nel merito particolare degli studi svolti, userò un caso più vasto per esemplificare la questione di cosa sia il “Genere” e come si adatti alla ben più salda “Specie” nella paleontologia vertebrata.
Molti si appassionano per i teropodi, e tra i teropodi nessuno è più abusato di Tyrannosaurus rex, l’unico taxon di vertebrato fossile noto al grande pubblico anche col nome specifico (appunto, il binomio Tyrannosaurus rex) e non solo col nome del genere, Tyrannosaurus. Il concetto di nome generico è un retaggio della nomenclatura linneana che usiamo da 3 secoli, un sistema gerarchizzato di insiemi di taxa nominati. La specie Tyrannosaurus rex, del genere Tyrannosaurus, della famiglia Tyrannosauridae, ecc... Per quanto l’avvento della sistematica filogenetica abbia messo in crisi la necessità delle categorie di ordine superiore al genere (tribù, famiglia, ordine, classe, phylum...), il genere stesso resiste ancora, proprio perché necessario alla definizione della specie (almeno fintanto che continueremo a nominare le specie con un binomio).
Tornando ai tyrannosauridi, attualmente, esiste un consenso diffuso tra gli studiosi nel ritenere specie valide di Tyrannosauridae le seguenti: Albertosaurus sarcophagus, Daspletosaurus torosus, Gorgosaurus libratus (una sua possibile ricostruzione in questa mia tavola del 2002), Nanotyrannus lancensis, Tarbosaurus bataar, e Tyrannosaurus rex. Altre specie definite nel XX secolo sono state ricondotte ad una delle specie citate sopra (Albertosaurus arctunguis è incluso in Albertosaurus sarcophagus; Gorgosaurus lancinator, Gorgosaurus novojilovi, Jenghizkhan bataar, Maleevosaurus novojilovi, Shanshanosaurus huoyanshanensis, Tarbosaurus efremovi sono inclusi in Tarbosaurus bataar; Albertosaurus megagracilis, Aublysodon mirandus, Aublysodon molnari, Dinotyrannus megagracilis, Dynamosaurus imperiosus, Manospondylus gigas, Stygivenator molnari sono inclusi in Tyrannosaurus rex): generalmente, gli esemplari delle specie oggi non più valide sono risultati essere esemplari giovanili di specie già note o semplicemente resti frammentari riconducibili a taxa preesistenti. Tuttavia, sullo status tassonomico di Nanotyrannus lancensis non si è ancora giunti ad una soluzione condivisa. L’olotipo della specie è un cranio giovanile (da qui l’origine del nome: l’errore di averlo considerato inizialmente come una forma nana di Tyrannosauridae): esso è considerato da alcuni autori un esemplare (giovanile) di Tyrannosaurus rex (e quindi andrebbe attribuito a tale specie), anche se parrebbero esserci evidenze che portano a considerarlo un esemplare (giovanile) di una nuova forma, prossima a Tyrannosaurus rex (che potrebbe essere chiamata Nanotyrannus lancensis o Tyrannosaurus lancensis).
Vent’anni fa, il paleontologo e paleoartista Gregory Paul risolse la questione in maniera drastica: egli propose di riunire tutti i Tyrannosauridae allora noti in due soli generi: Albertosaurus e Tyrannosaurus. Questa pratica è stata seguita da altri (ma sta perdendo consensi), ed è confluita implicitamente nell’istituzione delle due sottofamiglie Tyrannosaurinae e Albertosaurinae. In base al regionamento di Paul, Tarbosaurus e Daspletosaurus sarebbero sinonimi di Tyrannosaurus (le specie Tarbosaurus bataar e Daspletosaurus torosus sarebbero da chiamare Tyrannosaurus bataar e Tyrannosaurus torosus), mentre Gorgosaurus libratus sarebbe da chiamare Albertosaurus libratus. Il suo ragionamento chiamava in causa generi attuali aventi una grande disparità anatomica tra le specie al suo interno: dato che generi come Panthera (comprendente leoni, tigri, leopardi ecc...) e Varanus hanno al loro interno una grande varietà di specie, nulla vieterebbe di comprimere la diversità morfologica dei tyrannosauridi in due grossi generi. A parte il dubbio che un simile ragionamento sia circolare (un cane che si morde la coda: definiamo un genere ad alta diversità sulla base dell’assunto che molte specie simili siano riconducibili ad un unico genere), trovo questa soluzione poco utile, oltre che dannosa nel campo paleontologico dove (a differenza della zoologia delle specie moderne) abbiamo a che fare con specie distribuite in intervalli temporali differenti.
Il problema principale è il seguente: il concetto di “genere” è inutile e potenzialmente dannoso. Esso è ridondante con quello di specie nei casi di generi monospecifici (oggi esiste una sola specie di Homo, quindi il concetto di genere umano attuale è ridondante con quello della specie Homo sapiens) ed è arbitrario nel caso di generi plurispecifici. Mentre le specie tassonomiche possono essere definite sulla base di un criterio diagnostico (la presenza di una combinazione unica di caratteri anatomici, sia primitivi che derivati, che la distinguono da qualsiasi altra combinazione -cioè specie- nota), il genere plurispecifico, in quanto insieme di specie distinte, non è definibile in base ad un criterio universale e sempre coerente. L’affinità morfologica non è un criterio valido: oltre ad essere ambiguo, esso cade in contraddizione nei casi (come quello di Paul con i tyrannosauridi) in cui decidiamo di fondare un genere ad alta diversità. Inoltre, il genere non può essere definito in base ad un insieme di caratteri (come la specie): sebbene ciò sia plausibile teoricamente, è inattuabile nella pratica.
Questo esempio chiarirà la questione: Ammettiamo di definire la specie Lemmur forestalis, diagnosticandola sulla base di 5 caratteri: A, B, C, D, E. Ora, questi 5 caratteri definiscono la specie, ma non il genere. Come fare a definire il genere? Potremmo dire, a priori, secondo una corretta logica di categorie tassonomiche gerarchizzate, che è condizione di appartenenza al genere Lemmur la presenza dei caratteri A, B, C. Se un Lemmur ha anche i caratteri D e E, sarà un Lemmur forestalis. Purtroppo, avendo a disposizione la sola specie L. forestalis, non possiamo conoscere la disposizione filogenetica (e cronologica) dei caratteri. Quindi, non sappiamo ad esempio se i caratteri A, B, C compaiono prima dei D ed E (ipotesi che assumiamo a priori, senza verificare, dicendo che tutti i Lemmur li presentano e non solo la specie L. forestalis): se accadesse il contrario, la specie L. forestalis diverebbe equivalente all’intero genere Lemmur, invalidando la necessità di istituire una diagnosi distinta per il genere.
Da questo esempio abbiamo derivato che: 1) il concetto di genere monospecifico è ridondante, quindi inutile, con quello di specie; pertanto 2) un genere è definibile solo dopo che è stata istituita almeno una seconda specie del genere. E qui salta fuori il secondo problema (che è quello fondamentale): in base a quale criterio stabilisco che una nuova specie sia riconducibile ad un genere preesistente? Torniamo all’ipotetico caso del Lemmur. Se scoprissimo una nuova specie X, dotata dei caratteri A e C, ed una seconda, Y, dotata dei caratteri A, C, D, potremmo ipotizzare correttamente un diagramma filogenetico con Lemmur forestalis ed Y più strettamente imparentati, seguiti da X. Come chimare X e Y? Entrambi sono attribuibili al genere Lemmur? Oppure solo Y è un Lemmur mentre X è un nuovo genere, che potremmo chiamare Autospriapus? Entrambe le scelte sono valide (a seconda dei contesti in cui si applicano).
Penso che la soluzione debba rispettare lo status quo tassonomico, senza stravolgerlo (col risultato di creare più problemi di quanti vorrebbe risolvere) ed applicare con intelligenza i risultati delle analisi filogenetiche: se una nuova specie risulta esterna a qualunque linea evolutiva (linea già nota e nominata come genere), allora merita di essere definita come genere nuovo; se una nuova specie risulta interna ad una linea evolutiva già nota (linea nominata come genere sulla base di almeno due specie), allora deve essere inclusa nel genere preesistente. L’unico caso che può ancora essere lasciato all’arbitrio del tassonomo è quello di una nuova specie risultante interna ad una linea evolutiva (linea già nota e nominata come genere sulla base di una sola specie): in questo caso è consigliabile essere prudenti e valutare l’intero contesto (gap stratigrafico tra le presunte specie congeneriche, differenza morfologica e grado di preservazione delle specie in ballo).
Tornando ai tyrannosauridi, penso che l’idea di Paul di ridurre l’intera diversità generica del clade a due soli generi sia eccessiva. Trovo più cauto mantenere i 5-6 generi accettati universalmente (ai quali recentemente se ne stanno aggiungendo altri...), sopratutto fintanto che non saranno definite meglio le loro precise relazioni filetiche (che, come ho mostrato sopra, sono il fondamento necessario per la tassonomia).
Per quanto si tratti di un problema minore, prevalentemente terminologico, il diLemma del concetto di genere è potenzialmente dannoso e fuorviante, qualora si utilizzassero i generi al posto delle specie come oggetti di studi macroevolutivi, sia filogenetici che ecologici.
Ad esempio, se scoprissimo che Autralopithechus africanus è più prossimo fileticamente a Homo sapiens rispetto ad Autralopithechus afarensis (come pare essere nei fatti), come dovremmo comportarci? Abolire Australopithecus (che è risultato non-monofiletico, quindi artificiale e potenzialmente fuorviante) e metterli tutti dentro Homo? Conservare Autralopithechus africanus e cambiare genere all’afarensis (il genere venne istituito con africanus, quindi esso è il “proprietario” del nome Australopithechus)? Io propenderei per questa seconda opzione (ovvero per la proliferazione dei nomi generici assieme alle specie).
In conclusione, l’ideale sarebbe di abbandonare il significato di “genere come entità evolutiva reale” e accettarne la natura prettamente “nominalistica” anche nei casi in cui definisce cladi reali (monofiletici), quindi, di non dare valore al fatto che due o più specie siano state chiamate (menzionate, ricordate la distinzione tra menzione ed uso?) con uno stesso nome generico.

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