Questo post è dedicato agli amanti del Tempo Profondo. Noi nominalisti (per capire il termine, ripassate un poco di filosofia medievale), sappiamo quanto l’appartenenza ad una categoria sia solo l’espressione della inevitabile grossolanità del criterio discriminante e non l’evidenza di una realtà ideale sottostante. Noi darwiniani, ovvero nominalisti con la consapevolezza del divenire storico, rifiutiamo il ricorso alle essenze per seguire la multiforme dinamica degli organismi. Noi cladisti, ovvero darwiniani con la consapevolezza dell’impossibilità di descrivere l’irrisolvibile vacuità causale del Tempo Profondo tramite le consuete metodiche della storia tardo-olocenica, rifiutiamo il metafisico concetto di antenato per applicare, con cognizione di (non) causa, il ben più popperiano criterio di origine condivisa.
Cos’è il Tempo Profondo? Per renderne bene l’idea, immaginate un film di 2 ore, impresso su una pellicola cinematografica. Per rendere l’illusione del movimento, la serie di fotogrammi della pellicola è fatta scorrere in modo da proiettare 24 fotogrammi al secondo. In un film di 2 ore (7200 secondi) avremo 172800 fotogrammi. La nostra mente ricostruisce la storia solamente perché assume tutti (o quasi) i 172800 fotogrammi in sequenza continua e regolare. Ma cosa accadrebbe se disponessimo solamente di 10 fotogrammi, estratti a caso dalla pellicola? Dato che la probabilità di estrarre due fotogrammi consecutivi è pari a circa 1 su 30 miliardi, si può dedurre chiaramente che i 10 fotogrammi non saranno mai una sequenza lineare di eventi (una storia), né che potranno essere interpretati come tale, a meno di non imporre a posteriori un senso precostituito alla loro sequenza. Non sarebbe possibile dedurre una qualunque storia dalla loro giustapposizione, nemmeno se fossimo a conoscenza delle loro reciproche relazioni cronologiche. Eppure, normalmente, questo è quello che gli evoluzionisti vecchio stampo (non cladisti) fanno con i fossili. Prendono un fossile di 15 milioni di anni, esemplare unico estratto da una cava in Kenia, uno di 8 milioni di anni, anch’esso unico, estratto da un giacimento in India, ed un terzo animale tirato fuori da una qualche sabbia etiopica di 4 milioni di anni, e impongono ai tre (sulla base di argomenti anatomici, funzionali o ecologici, la scelta è ampia) di formare una sequenza storica, una favola: il primo è antenato del secondo, che è antenato del terzo. Ritorniamo all’esempio del film: è vero che tutti i fotogrammi formano una sequenza completa e continua, ma ciò non implica che l’evento nel fotogramma numero 30241 (Alan Grant che ha una sincope davanti a un macronario) sia la causa dell’evento nel fotogramma 83527 (Ian Malcolm che sbraccia un bengala davanti ad un grosso tetanuro), né che esso lo sia a sua volta dell’evento nel fotogramma 118085 (Tim che articola la prima consonante di: “Guarda quanto sangue!”). Tutto quello che si può fare, con intelligenza scientifica e consapevole del limite, è di affermare che gli eventi “3” e “2” hanno probabilmente una serie di eventi antecedenti condivisi più lunga di quanto ognuno dei due possa avere con l’evento “1”. Tutto il resto, l’estrapolazione di teorie adattative, di scenari causali, di catene consequenziali, è un’imposizione a posteriori, è un desiderio mal celato di poter narrare una storia dove non può esistere narrazione.
In realtà l’esempio della pellicola cinematografica è fuorviante, poiché si tratta di una sequenza unica, priva di ramificazioni: la storia evolutiva è più simile ad un fittissimo cespuglio (nemmeno ad un albero, come usualmente viene rappresentata) dalla trama intricata e difficilmente risolvibile. Provate ad immaginare di dover ricostruire la forma di un cespuglio composto in origine da migliaia di ramoscelli, disponendo solamente di una dozzina di rami: tutto ciò che una mente onesta può sperare di ricostruire è l’eventuale disposizione relativa dei pezzi a lei noti.
Per quanto apparentemente frustrante, l’accettazione del limite intrinseco alla conoscenza del Tempo Profondo della storia naturale ha indotto lo sviluppo di una metodologia ricostruttiva che non solo è scientificamente robusta, ma anche straordinariamente liberatoria: l’analisi filogenetica, oltre ad essere un potente mezzo di indagine, è anche uno dei terreni più difficili per l’imposizione di idee e modelli arbitrari. Qualsiasi teoria filogenetica cladistica deve essere supportata dall’intera descrizione dei dati utilizzati: non è sufficiente esporre uno scenario evolutivo coerente e plausibile (azione che qualsiasi bravo oratore dotato di occhio naturalistico può produrre estrapolando a proprio piacimento i dati più consoni dalla mole delle multiformi evidenze disponibili), ma è necessario fornire l’intera descrizione e distribuzione dei dati, oltre ad i mezzi per permettere al critico di postulare (eventuali) ipotesi alternative con quei dati. Oltre ad essere molto scientifico, il metodo cladistico è perciò straordinariamente democratico (nell’accezione arcaica, non-partitica, del termine), perché non fa affidamento sull’eventuale autorità di chi propone l’ipotesi filogenetica: non è il fatto che mister FCF (sigla inventata, o quasi) sia l’unico esperto esistente di squali cenomaniani (gruppo ed epoca presi a caso) che può dare credibilità alle sue ipotesi filetiche sugli squali cenomaniani, ma solo la robustezza di materiali, metodi ed analisi che sta a monte del risultato da lui proposto.
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