"L’arrivo delle genti di Awruaxia e Taswond nelle ignote terre occidentali aveva inaugurato la Tarda Civiltà dei Duplici. Contraendo i confini del mondo, stravolgendo, imbastardendo e cancellando la multiforme eredità di divergenze e isolamenti durata centomila anni, la fusione di Est ed Ovest aveva prodotto la Terribile Implosione, l’Era Senza Limiti".
Irk Ekem
L’applicazione libertaria delle definizioni è un gioco molto diffuso tra gli ultrazionali.
La vulgata conservazionista tende a presentare le vittime dell’espansione demografica e ambientale umana secondo un cliché ormai abusato. Le specie in via d’estinzione sono di solito ritratte come popolazioni in contrazione geografica e in inesorabile declino numerico, confinate in aree ristrette, frammentarie e spesso sotto stretto controllo degli amici della Natura. Eppure, esiste una specie che è da molto tempo in via d’estinzione, che non viene quasi mai citata e che non rispecchia questo stereotipo. Forse è snobbata proprio perché non corrisponde alla nostra aspettativa di specie in estinzione, o forse perché non è particolarmente simpatica alla maggioranza degli ambientalisti. Quella specie siamo noi! Homo sapiens è in via d’estinzione da cinque secoli. Esattamente, si è trasferita sul lussuoso attico in Extintion Way nell’ottobre 1492 dell’Era Volgare. Chi ha presente cosa accadde all’inizio dell’ottobre di quell’anno, evento che Roberto Benigni e Massimo Troisi tentarono vanamente di impedire (con enorme esito comico), avrà già compreso la logica della (nemmeno tanto provocatoria) provocazione. Ma, a differenza di quanto potrebbe far pensare il riferimento cinefilo, qui non sto affermando che l’avvio dell’estinzione umana sarà prodotto delle attività mondiali globalizzanti ed inquinanti aventi la società (nord) americana come attuale (e provvisorio) apice. Se il mio ragionamento fosse quello solito, non avrebbe senso l’affermazione che l’estinzione umana sia iniziata nel 1492. In fondo, i casini ambientali sono iniziati alla fine del XIX secolo, e non certo nel XV, quindi, in quel caso, sarebbe stato più appropriato dare la paternità dell’estinzione alla rivoluzione industriale e ad Henry Ford, piuttosto che ai castigliani e a Colombo.
Il mio discorso è più ultrazionale, e segue un’ottica ad una scala più vasta delle contingenze citate dai soliti catastrofisti. Sia chiaro, l’età industriale ha prodotto i due principali fattori dell’imminente (entro secoli) crisi mondiale (sovrappopolazione e inquinamento), ma non sono questi gli oggetti del post, né i fattori che provocheranno il tipo di estinzione di cui voglio parlare. Io sostengo che l’umanità ha iniziato la via all’estinzione con la scoperta dell’America proprio per le implicazioni dirette di quel evento.
Per farmi comprendere, procederò per gradi.
Com’era il mondo prima del 1492? Fondamentalmente (e semplificando molto) esso era suddivisibile in tre grandi aree, reciprocamente isolate da almeno 10 mila anni (salvo occasionali ed effimeri eventi di contatto): il Vecchio Mondo (Afro-Eurasia), il Nuovo Mondo (Americhe) ed il Nuovissimo Mondo (Oceania). Tradotto in termini microevolutivi, l’umanità aveva la potenzialità (se avesse mantenuto quella condizione per un tempo geologico sufficiente) per scindersi in tre specie distinte, in grado di dare un poco di respiro alla misera disparità del genere Homo, che da almeno 20 mila anni si era ridotto alla sola (ed ingombrante) specie H. sapiens. Il fatto che oggi tutte le popolazioni umane di ogni continente siano interfeconde mostra che l’isolamento genetico di Vecchio, Nuovo e Nuovissimo Mondo era appena accennato a livello esteriore (fenotipico) ma non ancora radicato nel genoma.
Con la scoperta dell’America è partito un processo inarrestabile (ed ancora in atto) di rimescolamento tra le diverse popolazioni, che dal punto di visto socio-culturale ha portato all’attuale crisi/estinzione delle culture minoritarie, mentre alla lunga scala produrrà l’arresto completo di qualunque spinta evolutiva naturale (v. Leggi di Hardy-Weimberg, per i genetisti). Ciò è noto da tempo, ed è stato sottolineato sotto più punti di vista (spesso per fare assurde considerazioni razziste e xenofobiche). Ma aldilà dell’arresto del processo evolutivo (fenomeno di per sé insignificante, dato che la nostra tecnologia ci svincola potentemente dalle pressioni evolutive darwiniane ponendoci in un più ottimistico mondo lamarkiano), la trasformazione dell’unica specie ominide rimasta in un’unica singola popolazione distribuita su tutta la Terra rende Homo sapiens molto simile alle specie in via d’estinzione. L’umanità ha saturato il suo areale possibile di distribuizione (la colonizzazione di altri mondi è così remota che per me non accadrà mai, alla faccia di Star Trek) e di fatto vive in un unico ambiente, grande come il pianeta. Se il trend degli ultimi 5 secoli continuerà, arriveremo alla condizione di una sola popolazione umana panmittica, diffusa in un solo ambiente di scala mondiale, dal quale difficilmente potrà migrare altrove, esattamente come le specie in via d’estinzione sono ridotte a singole popolazioni confinate in un unico ambiente dal quale non possono migrare altrove. Il fatto che la popolazione unica di H. sapiens abbia una distribuzione molto più vasta di quella di qualunque altra popolazione del passato non la protegge dal rischio di estinzione, proprio perché essa dispone di mezzi di distruzione (diretti o indiretti) capaci di raggiungere chiunque ed ovunque. Prima del 1492, un’epidemia incurabile avrebbe potuto eliminare tutta l’umanità del Vecchio Mondo risparmiando Americhe e Oceania. Oggi, un’epidemia simile, o una guerra totale, raggiungerebbe in breve l’intero pianeta, e se accadesse, non credo che gioverebbe molto il fatto che disponiamo di più raffinati mezzi di prevenzione (delle epidemie, non delle guerre).
L’umanità ormai è evolutivamente stabile (se non addirittura stagnante) e spazialmente vincolata (se non ingabbiata): ha raggiunto la saturazione, il limite massimo della sua potenzialità espansiva, non ha più sbocchi genetici, né può puntare sulla frammentazione delle popolazioni, sull’isolamento genetico, per produrre novità evolutive. Tutte queste caratteristiche, se fossero riscontrate in un’altra specie, la renderebbero candidata all’estinzione.
Infine, massimo paradosso, l’umanità non può nemmeno sperare che scompaia la principale causa di estinzione osservata nelle specie attualmente in crisi, dato che quella causa è proprio lei.
L’unica soluzione alla persistenza di una singola popolazione universale ed alla stagnazione evolutiva sarebbe il ritorno alla frammentazione, all’isolamento prolungato delle diverse popolazioni, ma ormai ciò sarebbe possibile solo a seguito di eventi molto drammatici, in uno scenario da Medioevo Globale, più terrificante del male che curerebbe.
Ma come disse il Presidente in "Indipendence Day" (con la voce di Homer Simpson): "Noi sopravviveremo!".
Finalmente buone notizie! Questo moderno Homo sapiens cominciava a stufarmi: usi(e abusi)e costumi sempre più patetici, individui convertiti al vegetarianesimo, ostinate religioni che gridano le proprie idee e sopprimono la logica, cuccioli ad ogni angolo,...insomma, non se ne può più!
RispondiEliminaSperiamo solo che Greenpeace non si interessi a noi, perchè io non ho nessuna voglia di finire in una riserva, dove la scelta riproduttiva è talmente scarsa e bieca da risultare pressochè nulla (perchè credete che i panda in cattività non scopino?!).
In realtà siamo già in una riserva, grande ma pur sempre limitata, e la scelta in questione è altrettanto circoscritta. Non a caso assistiamo alla nascita di correnti "scacciafiga"...
Forse sarà proprio l'estrema espansione degli scacciafiga che porterà all'estinzione (proprio come avvenne per i Dinosauri...).
Se i miei averi me lo consentissero, lo comprerei io il "lussuoso attico cinquecentesco in via d'Estinzione", e lo farei diventare una grande "casa del pueblo"...e alla luce delle ultimissime scoperte, chissà quale graziosa creatura popola il pianeta a fianco?...
Buona estinzione a tutti! c