L’edonismo è un atteggiamento che considera fondamentale la ricerca del piacere. L’ultrazionale considera fondamentale la ricerca sull’edonismo, perché riconosce nel piacere un elemento paradossale. Tradotto, qual è il significato storico (naturale) del piacere? Da quale meccanismo psico-neurale trae origine? La domanda sembrerebbe ovvia, ma non è così.
La risposta immediata che verrebbe da dare in un contesto funzionalista è parziale e miope. Rispondere che il piacere esiste perché esso rinforza uno stimolo positivo è banale e ridondante (stesso meccanismo usato in alcuni dizionari che rimpallano il significato di "piacevole" a "ciò che è gradevole" e di "gradevole" a "ciò che è piacevole"). La domanda vera, che molti nemmeno riconoscono è: per quale motivo io devo auto-produrre una sensazione (piacevole) distinta dallo stimolo positivo? Perché non potremmo essere semplici fruitori di stimoli, capaci di allontanarci da/evitare quelli che producono danni e rivolgerci a quelli che producono benefici senza per questo associare a questi stimoli un dolore o un piacere? Perché oltre alle sensazioni (riconoscimento della fonte dello stimolo) proviamo anche il piacere ed il dolore, spesso in misura spropositata rispetto allo stimolo? Per chi ancora non avesse afferrato il mio sconcerto, faccio questi esempi:
Esistono numerosi stimoli che non producono una consapevolezza, ma che nondimeno vengono recepiti dal cervello e producono una qualche reazione, ad esempio le varie attività endocrine e viscerali che costituiscono la componente vegetativa del nostro corpo: stimoli che continuamente arrivano e partono dal cervello senza che ne percepiamo l’esistenza. Esistono anche stimoli consapevoli che producono reazioni consapevoli ma che non sono associati a sensazioni di piacere o dolore, ad esempio i riflessi, le variazioni di postura, la momentanea perdita della vista nell’atto di sbattere le palpebre, la maggioranza dei suoni e delle immagini che captiamo durante la vita: tutti stimoli privi di piacere o dolore. Esistono infine stimoli che vengono percepiti e che producono una sensazione carica di valore, quelli che appunto chiamiamo piacere e dolore. Da dove deriva questo valore aggiunto? Non dagli stimoli stessi, dato che lo stesso stimolo può produrre diverse sensazioni con o senza piacere/dolore in persone diverse o nella stessa persona in momenti diversi (accade spesso, quando mi trovo con la mia Paleoshurina 1, che la medesima temperatura dell’ambiente sia recepita da me come piacevole e da lei come fastidiosa). Quindi il valore deve derivare dall’interno, dal cervello stesso che "sente" piacere o dolore. È qui il paradosso (almeno per l’ultrazionale): il cervello produce il piacere che lui stesso deve provare. Che senso ha? Se il piacere è così desiderabile dal cervello, perché non lo produce continuamente, e sopratutto, perché non è in grado di gestirlo indipendentemente dalla sorgente esterna dello stimolo (ad esempio, perché il piacere del gusto può essere provocato solo dalle sostanze di certi cibi disciolte sulla lingua? Se il piacere non è nelle sostanze né nella lingua, ma nel cervello, perché non siamo in grado di attivarlo "a piacere", quando ci va?)? Quale contorto meccanismo masochista sta alla base dell’eccesso di dolore che persiste anche dopo che la fonte dello stimolo ha cessato di agire?
Se il problema della funzionalità del dolore è facilmente comprensibile in un mondo entropico nemico dell’ipercomplessità organica, quello del piacere è più arduo da decifrare (ammesso che lo possa essere).
Cominciamo con l’eliminare le situazioni evolutivamente perdenti: un beato animale capace di mantenere volontariamente un orgasmo perpetuo sarebbe la più facile delle prede, oppure potrebbe restarsene felicemente inebetito fino a morire di fame: ergo, il piacere può esistere/evolvere solo come compromesso con altre attività vitali. Tolti i casi palesemente non-evolvibili, resta il perché il piacere si sia evoluto nella forma blanda e vincolata agli stimoli esterni, come nei nostri corpi. Per chi ancora non avesse afferrato il senso della domanda, la riformulo così: siccome potrebbero esistere benissimo (e forse esistono) animali capaci di reagire agli stimoli senza associare a questi dolore e piacere (degli automi funzionanti ed emotivamente distaccati come - probabilmente - sono gli insetti*... non a caso gli animali di maggiore successo sulla Terra), perché esistiamo anche noi, che associamo a stimoli esterni degli optional, delle sovrastrutture emotive prodotte dallo stesso cervello? Dato che sia l’automa distaccato che il creatore di piacere interagiscono con l’ambiente esterno in modi simili (l’ambiente è sordo nei confronti delle eventuali valutazioni di chi lo abita), non è nel vantaggio adattativo classico che dobbiamo ricercare la causa del piacere. Il piacere è probabilmente neutrale con l’esterno, a differenza della reazione, la quale deve evolversi come risposta coerente e vantaggiosa allo stimolo. Se questo ragionamento è corretto, il piacere si è evoluto in funzione di qualche processo evolutivo interno al cervello.
Una possibile spiegazione è la seguente.
Il cervello degli animali dotati di emotività consapevole al piacere (ed al dolore) è un "neurosistema", al cui interno, in analogia con i sistemi ecologici (ecosistemi), differenti popolazioni (neuronali nel primo, tassonomiche nel secondo) competono per le risorse, evolvono, co-evolvono, o si estinguono.
Il piacere (la sensazione di valore) è probabilmente un parassita neuronale, una struttura non necessaria evolutasi all’interno di qualche sotto-sistema del cervello e che è sopravvissuta sviluppando una simbiosi con strutture appartenenti a sotto-sistemi più antichi e necessari. Il piacere si è associato al sistema di ricezione di determinati stimoli, probabilmente producendo una nuova serie di stimoli "astratti" (i valori, il piacere ed il dolore) rivolti alle strutture associative più elaborate. Come l’antico stimolo "senza piacere" si limitava a indurre una reazione, così il nuovo sistema "stimolo + parassita" induce un doppio effetto: la reazione classica (rivolta all’esterno) + l’emozione (rivolta ad altre zone del cervello, in particolare ai centri consapevoli che "elaborano" simboli e sensazioni per produrre il pensiero). Dato che il pensiero potrebbe esistere anche in assenza di un mondo esterno fonte degli stimoli (come sostengono i solipsisti e come accade nei sogni), esso non è in grado di discriminare direttamente ciò che le giunge dal mondo esterno da ciò che le giunge da altre parti del cervello (appunto è ciò che fa andare avanti "the Matrix" dell’omonimo film). Quindi, il piacere può sopravvivere (nonostante la sua apparente ridondanza) ingannando la coscienza, dandole falsi stimoli (valori aggiunti) associati agli stimoli reali che giungono dall’esterno.
Una conseguenza di questo ragionamento è che il piacere deve appartenere a zone cerebrali distinte da quelle che hanno/sono autocoscienza: ciò spiegherebbe la nostra incapacità di frenare il piacere quando diventa dipendenza o il dolore quando supera le soglie di sopportabilità (anzi, il fatto stesso che a volte non siamo in grado di sopportare il dolore è la prova che esso è prodotto da parti del cervello distinte da quelle dell’auto-coscienza). Noi (le parti auto-coscienti del cervello che parlano e pensano di essere l’Io) conviviamo con un numero imprecisato di "altri", con esseri neuronali privi di consapevolezza e meccanici nel comportamento, in un affollato mondo cerebrale di parti connesse eppure distinte, in competizione reciproca dentro il cranio. Siamo probabilmente la buccia flessibile e consapevole di un corpus cerebrale automatico ed inconsapevole.
Forse sarebbe più saggio non dire semplicemente "io" quando si parla dell’essere che vediamo davanti allo specchio, né di usare un fasullo plurale maiestatico. L’espressione migliore sarebbe: "io con gli altri simbionti".
Se questo post non vi fa piacere, è un bene...
*PS: dato che è prevedibile che i sentimentalismi di certi "amici degli animali" interpreteranno negativamente (o distorceranno il senso de) la mia affermazione sugli insetti, è bene che la giustifichi.
Io sostengo che gli insetti sono degli automi privi di emozioni, meravigliose macchine biologiche (come noi) ma prive delle (libere dalle) nostre sensazioni di piacere e dolore.
Il mio ragionamento è il seguente:
Dato che esiste un unico essere vivente del quale posso avere la certezza che provi dolore e piacere (io stesso), l’esistenza di sensazioni di piacere e dolore (simili alle mie) in altri animali (uomini compresi) posso ricavarla solo indirettamente da ciò che osservo.
Negli esseri umani esiste il linguaggio. Le persone raccontano esperienze di piacere e dolore e trasmettono immagini di quelle emozioni in maniera tale da suscitare in me empatia. Inoltre, i loro corpi (in particolare i volti) si comportano alla stessa maniera del mio, e non sarebbe giustificato credere che quelle espressioni che associo ai miei sentimenti debbano corrispondere a emozioni solo in me. Ciò mi basta per riconoscere nei miei conspecifici l’esistenza di piacere e dolore.
Per gli esseri privi di un sistema nervoso escludo che esistano piacere e dolore. Assumerlo sarebbe un’inutile mitologia senza giustificazioni razionali.
Per gli esseri non-umani dotati di sistema nervoso, vedo che non tutti manifestano comportamenti che si possono ricondurre al dolore o al piacere. Siccome non tutte le sensazioni nervose sono fonte di emozione, l’esistenza di un sistema nervoso è condizione necessaria ma non sufficiente all’esistenza di sensazioni di piacere e dolore. In particolare, nelle forme di piccolissima taglia sorge persino il dubbio se l’animale abbia una qualche capacità di discriminare il suo corpo dall’ambiente sulla base di segnali nervosi. Dopo queste considerazioni, penso che un’emotività fondata su piacere e dolore simile a quella umana esista solo all’interno dei vertebrati (forse anche nei molluschi cefalopodi, ma non ho dati sufficienti per parlarne). Ho osservato chiare manifestazioni di dolore in vertebrati di tutti i gruppi principali, quindi non metto in dubbio che quegli animali provino una qualche forma di emotività.
Al contrario, quando ho osservato insetti in situazioni che nei vertebrati avrebbero provocato espressioni di forte dolore (come mutilazioni, spesso mortali), i primi parevano comportarsi più come "giocattoli danneggiati" piuttosto che come "animali feriti": si muovevano meccanicamente, spesso continuando nell’azione che stavano svolgendo prima di essere danneggiati, fino a spegnersi completamente.
Riconosco che l’evidenza è negativa, tuttavia, come nessuno attribuisce ad un robot industriale difettoso un’emozione, così non potrebbe darla ad uno scarabeo mutilato mortalmente. Il fatto che uno è chiamato "macchina" e l’altro "animale" non significa necessariamente che essi siano distinguibili a livello di emozioni. Se qualcuno si sente spinto dall’emotività (propria) a dare un’emotività ad un insetto, è libero di farlo, tuttavia, sarà accolto in questa discussione solo se avrà degli argomenti razionali capaci di sostenere la sua ipotesi. In tal caso, sarò felicissimo di ritrattare la mia attuale posizione e di riconoscere un’emotività agli insetti.
La risposta immediata che verrebbe da dare in un contesto funzionalista è parziale e miope. Rispondere che il piacere esiste perché esso rinforza uno stimolo positivo è banale e ridondante (stesso meccanismo usato in alcuni dizionari che rimpallano il significato di "piacevole" a "ciò che è gradevole" e di "gradevole" a "ciò che è piacevole"). La domanda vera, che molti nemmeno riconoscono è: per quale motivo io devo auto-produrre una sensazione (piacevole) distinta dallo stimolo positivo? Perché non potremmo essere semplici fruitori di stimoli, capaci di allontanarci da/evitare quelli che producono danni e rivolgerci a quelli che producono benefici senza per questo associare a questi stimoli un dolore o un piacere? Perché oltre alle sensazioni (riconoscimento della fonte dello stimolo) proviamo anche il piacere ed il dolore, spesso in misura spropositata rispetto allo stimolo? Per chi ancora non avesse afferrato il mio sconcerto, faccio questi esempi:
Esistono numerosi stimoli che non producono una consapevolezza, ma che nondimeno vengono recepiti dal cervello e producono una qualche reazione, ad esempio le varie attività endocrine e viscerali che costituiscono la componente vegetativa del nostro corpo: stimoli che continuamente arrivano e partono dal cervello senza che ne percepiamo l’esistenza. Esistono anche stimoli consapevoli che producono reazioni consapevoli ma che non sono associati a sensazioni di piacere o dolore, ad esempio i riflessi, le variazioni di postura, la momentanea perdita della vista nell’atto di sbattere le palpebre, la maggioranza dei suoni e delle immagini che captiamo durante la vita: tutti stimoli privi di piacere o dolore. Esistono infine stimoli che vengono percepiti e che producono una sensazione carica di valore, quelli che appunto chiamiamo piacere e dolore. Da dove deriva questo valore aggiunto? Non dagli stimoli stessi, dato che lo stesso stimolo può produrre diverse sensazioni con o senza piacere/dolore in persone diverse o nella stessa persona in momenti diversi (accade spesso, quando mi trovo con la mia Paleoshurina 1, che la medesima temperatura dell’ambiente sia recepita da me come piacevole e da lei come fastidiosa). Quindi il valore deve derivare dall’interno, dal cervello stesso che "sente" piacere o dolore. È qui il paradosso (almeno per l’ultrazionale): il cervello produce il piacere che lui stesso deve provare. Che senso ha? Se il piacere è così desiderabile dal cervello, perché non lo produce continuamente, e sopratutto, perché non è in grado di gestirlo indipendentemente dalla sorgente esterna dello stimolo (ad esempio, perché il piacere del gusto può essere provocato solo dalle sostanze di certi cibi disciolte sulla lingua? Se il piacere non è nelle sostanze né nella lingua, ma nel cervello, perché non siamo in grado di attivarlo "a piacere", quando ci va?)? Quale contorto meccanismo masochista sta alla base dell’eccesso di dolore che persiste anche dopo che la fonte dello stimolo ha cessato di agire?
Se il problema della funzionalità del dolore è facilmente comprensibile in un mondo entropico nemico dell’ipercomplessità organica, quello del piacere è più arduo da decifrare (ammesso che lo possa essere).
Cominciamo con l’eliminare le situazioni evolutivamente perdenti: un beato animale capace di mantenere volontariamente un orgasmo perpetuo sarebbe la più facile delle prede, oppure potrebbe restarsene felicemente inebetito fino a morire di fame: ergo, il piacere può esistere/evolvere solo come compromesso con altre attività vitali. Tolti i casi palesemente non-evolvibili, resta il perché il piacere si sia evoluto nella forma blanda e vincolata agli stimoli esterni, come nei nostri corpi. Per chi ancora non avesse afferrato il senso della domanda, la riformulo così: siccome potrebbero esistere benissimo (e forse esistono) animali capaci di reagire agli stimoli senza associare a questi dolore e piacere (degli automi funzionanti ed emotivamente distaccati come - probabilmente - sono gli insetti*... non a caso gli animali di maggiore successo sulla Terra), perché esistiamo anche noi, che associamo a stimoli esterni degli optional, delle sovrastrutture emotive prodotte dallo stesso cervello? Dato che sia l’automa distaccato che il creatore di piacere interagiscono con l’ambiente esterno in modi simili (l’ambiente è sordo nei confronti delle eventuali valutazioni di chi lo abita), non è nel vantaggio adattativo classico che dobbiamo ricercare la causa del piacere. Il piacere è probabilmente neutrale con l’esterno, a differenza della reazione, la quale deve evolversi come risposta coerente e vantaggiosa allo stimolo. Se questo ragionamento è corretto, il piacere si è evoluto in funzione di qualche processo evolutivo interno al cervello.
Una possibile spiegazione è la seguente.
Il cervello degli animali dotati di emotività consapevole al piacere (ed al dolore) è un "neurosistema", al cui interno, in analogia con i sistemi ecologici (ecosistemi), differenti popolazioni (neuronali nel primo, tassonomiche nel secondo) competono per le risorse, evolvono, co-evolvono, o si estinguono.
Il piacere (la sensazione di valore) è probabilmente un parassita neuronale, una struttura non necessaria evolutasi all’interno di qualche sotto-sistema del cervello e che è sopravvissuta sviluppando una simbiosi con strutture appartenenti a sotto-sistemi più antichi e necessari. Il piacere si è associato al sistema di ricezione di determinati stimoli, probabilmente producendo una nuova serie di stimoli "astratti" (i valori, il piacere ed il dolore) rivolti alle strutture associative più elaborate. Come l’antico stimolo "senza piacere" si limitava a indurre una reazione, così il nuovo sistema "stimolo + parassita" induce un doppio effetto: la reazione classica (rivolta all’esterno) + l’emozione (rivolta ad altre zone del cervello, in particolare ai centri consapevoli che "elaborano" simboli e sensazioni per produrre il pensiero). Dato che il pensiero potrebbe esistere anche in assenza di un mondo esterno fonte degli stimoli (come sostengono i solipsisti e come accade nei sogni), esso non è in grado di discriminare direttamente ciò che le giunge dal mondo esterno da ciò che le giunge da altre parti del cervello (appunto è ciò che fa andare avanti "the Matrix" dell’omonimo film). Quindi, il piacere può sopravvivere (nonostante la sua apparente ridondanza) ingannando la coscienza, dandole falsi stimoli (valori aggiunti) associati agli stimoli reali che giungono dall’esterno.
Una conseguenza di questo ragionamento è che il piacere deve appartenere a zone cerebrali distinte da quelle che hanno/sono autocoscienza: ciò spiegherebbe la nostra incapacità di frenare il piacere quando diventa dipendenza o il dolore quando supera le soglie di sopportabilità (anzi, il fatto stesso che a volte non siamo in grado di sopportare il dolore è la prova che esso è prodotto da parti del cervello distinte da quelle dell’auto-coscienza). Noi (le parti auto-coscienti del cervello che parlano e pensano di essere l’Io) conviviamo con un numero imprecisato di "altri", con esseri neuronali privi di consapevolezza e meccanici nel comportamento, in un affollato mondo cerebrale di parti connesse eppure distinte, in competizione reciproca dentro il cranio. Siamo probabilmente la buccia flessibile e consapevole di un corpus cerebrale automatico ed inconsapevole.
Forse sarebbe più saggio non dire semplicemente "io" quando si parla dell’essere che vediamo davanti allo specchio, né di usare un fasullo plurale maiestatico. L’espressione migliore sarebbe: "io con gli altri simbionti".
Se questo post non vi fa piacere, è un bene...
*PS: dato che è prevedibile che i sentimentalismi di certi "amici degli animali" interpreteranno negativamente (o distorceranno il senso de) la mia affermazione sugli insetti, è bene che la giustifichi.
Io sostengo che gli insetti sono degli automi privi di emozioni, meravigliose macchine biologiche (come noi) ma prive delle (libere dalle) nostre sensazioni di piacere e dolore.
Il mio ragionamento è il seguente:
Dato che esiste un unico essere vivente del quale posso avere la certezza che provi dolore e piacere (io stesso), l’esistenza di sensazioni di piacere e dolore (simili alle mie) in altri animali (uomini compresi) posso ricavarla solo indirettamente da ciò che osservo.
Negli esseri umani esiste il linguaggio. Le persone raccontano esperienze di piacere e dolore e trasmettono immagini di quelle emozioni in maniera tale da suscitare in me empatia. Inoltre, i loro corpi (in particolare i volti) si comportano alla stessa maniera del mio, e non sarebbe giustificato credere che quelle espressioni che associo ai miei sentimenti debbano corrispondere a emozioni solo in me. Ciò mi basta per riconoscere nei miei conspecifici l’esistenza di piacere e dolore.
Per gli esseri privi di un sistema nervoso escludo che esistano piacere e dolore. Assumerlo sarebbe un’inutile mitologia senza giustificazioni razionali.
Per gli esseri non-umani dotati di sistema nervoso, vedo che non tutti manifestano comportamenti che si possono ricondurre al dolore o al piacere. Siccome non tutte le sensazioni nervose sono fonte di emozione, l’esistenza di un sistema nervoso è condizione necessaria ma non sufficiente all’esistenza di sensazioni di piacere e dolore. In particolare, nelle forme di piccolissima taglia sorge persino il dubbio se l’animale abbia una qualche capacità di discriminare il suo corpo dall’ambiente sulla base di segnali nervosi. Dopo queste considerazioni, penso che un’emotività fondata su piacere e dolore simile a quella umana esista solo all’interno dei vertebrati (forse anche nei molluschi cefalopodi, ma non ho dati sufficienti per parlarne). Ho osservato chiare manifestazioni di dolore in vertebrati di tutti i gruppi principali, quindi non metto in dubbio che quegli animali provino una qualche forma di emotività.
Al contrario, quando ho osservato insetti in situazioni che nei vertebrati avrebbero provocato espressioni di forte dolore (come mutilazioni, spesso mortali), i primi parevano comportarsi più come "giocattoli danneggiati" piuttosto che come "animali feriti": si muovevano meccanicamente, spesso continuando nell’azione che stavano svolgendo prima di essere danneggiati, fino a spegnersi completamente.
Riconosco che l’evidenza è negativa, tuttavia, come nessuno attribuisce ad un robot industriale difettoso un’emozione, così non potrebbe darla ad uno scarabeo mutilato mortalmente. Il fatto che uno è chiamato "macchina" e l’altro "animale" non significa necessariamente che essi siano distinguibili a livello di emozioni. Se qualcuno si sente spinto dall’emotività (propria) a dare un’emotività ad un insetto, è libero di farlo, tuttavia, sarà accolto in questa discussione solo se avrà degli argomenti razionali capaci di sostenere la sua ipotesi. In tal caso, sarò felicissimo di ritrattare la mia attuale posizione e di riconoscere un’emotività agli insetti.
Ave Ultrazionale.
RispondiEliminaIl tuo è un ragionamento che abbiamo già fatto e di conseguenza conosci il mio punto di vista. Leggendo il tuo post però, mi sorge la considerazione che gli insetti comunicano molto con segnali chimici, quindi mi sembra plausibile che i nostri piccoli coinquilini (infatti vivono nel nostro stesso "attico cinquecentesco", stranamente per loro non sito in via d'Estinzione...)manifestino le sensazioni di piacere/dolore per vie chimiche. Questo ovviamente non dimostra affatto che gli insetti provano piacere/dolore, ma è possibile, e per noi non percepibile.
Tuttavia io sono il primo a definire gli insetti delle meravigliose "macchine", meccaniche almeno quanto noi, solo un pò meno complesse (e forse per questo meno soggette a "guasti" -quello che non c'è non può rompersi-), in accordo con quanto affermi tu.
Mi sembra appropriato il paragone tra noi (umani/vertebrati e insetti) e le auto (o le moto, che a me sono un pò più familiari), quindi mi sia concessa una breve parentesi introduttiva sulla maccanica antica e moderna di tali congegni più o meno semoventi:
le auto/moto "di una volta" avevano un motore che si nutriva di aria e combustibile, le cui quantità erano stabilite dalla semplice pressione sull'acceleratore (azione-reazione), miscelate dal carburatore e trasformate in energia cinetica (quindi movimento) dagli organi del motore stesso fino alle ruote; il comportamento dinamico del mezzo era stabilito solo dalle leggi fisiche in conseguenza di ciò che il pilota provocava.
Oggi le cose sono un pò diverse: le auto/moto moderne si nutrono ancora di aria e combustibile, in quantità dettate principalmente dall'azionamento dell'acceleratore ma sotto l'attenta supervisione di centraline elettroniche che, dopo avere valutato numerosi parametri, decidono se confermare l'azione dell'acceleratore o se variarla più o meno sensibilmente; il comportamento dinamico del mezzo non è più una diretta conseguenza delle azioni del pilota, bensì una loro attenta selezione da parte di ABS, ASR, BAS, ESP, ecc...(esistono veramente); in altre parole il pilota propone a la macchina decide.
Ecco, gli insetti sono le auto "di una volta", mentre noi/i vertebrati siamo i mezzi più moderni (=complicati), macchine loro, macchine noi.
Mi sembra evidente che un guasto su una macchina di "una volta" fosse facilmente risolvibile con un semplice cacciavite, mentre una macchina di oggi necessita di computer e schede elettroniche...ergo "complesso" non significa necessariamente "migliore", cioè noi, in quanto più complicati, non siamo necessariamente migliori degli insetti, anzi, pare che la semplicità sia una virtù da tenersi ben stretta se ci si vuole garantire un futuro nel mondo di domani, che (fidatevi) non sarà come quello che oggi conosciamo.
Forse il prossimo intestatario dell'attico cinquecentesco saranno proprio gli insetti, o forse lo sono già...
Buon trasloco a tutti! c
Interessante parentesi sulle moto (argomento a me praticamente ignoto): si potrebbe fare un paragone con il passaggio da organismi privi di riflessi e animali con riflessi.
RispondiEliminaHo un altro fattore che rinforza la mia idea sugli insetti: il senso del dolore presuppone la capacità del cervello di discriminare sè stesso da altre parti del corpo (cosa che presuppone a sua volta un sistema nervoso centrale con un "cervello", cosa che nel sistema a gangli degli insetti, diffuso lungo l'intero corpo, non accade).
Nota: sarei curioso di vedere cosa accade a somministrare antidolorifici o oppiacei agli insetti...
Forse è meglio non sperimentare cosa accadrebbe somministrando antidolorifici od oppiacei agli insetti, perchè nel primo caso (se gli insetti sono in grado di provare dolore) avremmo dei piccoli animaletti inarrestabili e nel secondo caso dei piccoli animaletti inarrestabili strafatti...
RispondiEliminaMeglio una guerra atomica...
Piuttosto io propongo di fare una ricerca volta a scoprire se hanno più "riflessi" i carnivori o gli erbivori...Per quanto ne so, gli erbivori sono "in testa" in quanto a "riflessi"...
Chi ha orecchie per intendere...rifletta.
Ciao biondo! c