Ci sono persone con una straordinaria capacità di metabolizzare internamente le proprie sofferenze, piccole o grandi che siano. Io non appartengo a questo gruppo: non so e non voglio tenere dentro nulla e sfogo tutto subito e come sento. Apparentemente, questo modo di fare è più salutare, in quanto impedisce che i mali si accumulino, ristagnino fino a raggiungere una pericolosa massa critica autodistruttiva. Difatti, io sono noto per le incazzature veloci che mai degenerano in astii duratuti. Ma, come ho detto prima, c'è un aspetto imprevisto di questo stile, che può risultare molto dannoso. Ovvero: che succede se non mi è dato alcun modo di sfogare ciò che tengo dentro? Se sono costretto a tenere internamente ciò che dovrei (per mia natura) esprimere all'esterno? Se, putroppo, l'unico modo di sfogare un male mi viene sistematicamente negato? Una parte di me vive in questo stato, da quasi 5 mesi. Pensavo fosse passato (ed in parte è così) eppure, purtroppo, non tutto ciò che avrei voluto sfogare è stato liberato, e, ciclicamente, riemerge con la sua odiosa depressività. Un residuo viscero-sentimentale permane, per quanto fortemente mitigato da un parziale rimescolamento razionale, ossidato dal tempo e demolito dalle amicizie. Generalmente, è l'inattività che tende a farlo riemergere, oppure lo fa rianimare. Ormai è diventato familiare, e so gestirlo. L'ideale è incanalarlo positivamente verso attività utili ed intelligenti: trasformarlo in rabbia creativa, in pulsione artistica, in azioni e progetti. L'importante è non lasciarlo libero di seguire la sua natura viscerale: esso, per quanto ridotto nelle intenzioni e nelle energie, rimane un parassita, avido di energie mentali, bramoso di espandersi nella mollezza delle sue escrescenze malinconiche, disfattiste, negative e vittimistiche. Trasformandolo in un impulso aggiuntivo all'agire, al fare, al creare, al produrre ed esprimere, in una parola, vivendo, posso sperare di dissolverne l'ultima traccia interiore. Così, come in precedenti situazioni, esso diventerà un'esperienza significante, una cicatrice utile.
Soluzione universale: FATTI UNA SEGA!
RispondiEliminaNon è con una sega che metto a posto quello che ho: altrimenti mica sentivo il bisogno di scrivere questo post.
RispondiElimina