Extended Male Growth in a Fossil Hominin Species
(30 NOVEMBER 2007, VOL 318 di SCIENCE www.sciencemag.org)
Charles A. Lockwood, Colin G. Menter, Jacopo Moggi-Cecchi, Andre W. Keyser
Partiamo da un dato abbastanza noto della demografia: il tasso di longevità femminile è più alto di quello maschile. In genere, si dice che le donne vivano 5-10 anni in media più degli uomini. Questo dato mi fece riflettere sul fatto che mia madre, avendo dieci anni meno del mio mitico vecchio, dovrebbe attendersi un 10-15 anni di vedovanza (indipendentemente da chi vivrà più a lungo, l’importante è che i vivi non soffrano). Dopodiché mi domandai: qual’è la causa di una simile differenza di longevità? Se il dato, come appare, non è casuale, allora deve avere una causa, o una sommatoria di concause generanti. (Già che sono qui, rimarco la seguente banalità: l’esistenza di una media di 5-10 anni di longevità non implica una necessità: mio nonno paterno trascorse gli ultimi 10 anni della sua vita da vedovo, e sua moglie era più giovane. Chiusa parentesi banale).
La prima spiegazione che uno potrebbe cercare è di tipo biologico diretto: la donna è programmata geneticamente per vivere di più. Ciò, in un’ottica biologica darwiniana è assurdo, nonché contraddittorio. Ovvero, se dovessimo cercare una causa biologica diretta della longevità femminile, e quindi dovessimo cercare un valore adattativo nella longevità femminile rispetto alla maschile, giungeremmo ad una contraddizione. Ciò per il seguente motivo: ammettiamo che ci sia un vantaggio evolutivo nella longevità; allora quale sarebbe il maggiore vantaggio nella longevità femminile? Apparentemente, non ne esiste: dato che il tasso riproduttivo potenziale di un maschio è più alto di quello femminile sia in termini di numero potenziale di figli (un maschio produce nella sua vita miliardi di spermatozoi, tutti potenzialmente in grado di fecondare, mentre una donna produce alcune migliaia di ovuli) sia in termini di potenzialità temporale (la fertilità femminile naturale non supera il cinquantesimo anno, mentre è documentato che uomini sui 70-80 anni sono diventati padri), non risulta più vantaggioso in una popolazione che la donna sia più longeva: anzi, siccome un uomo a 70 anni potrebbe (ma, dico io, forse non dovrebbe) diventare padre, mentre una donna non lo potrebbe più da circa un ventennio (essendo in menopausa), ci dovremmo attendere un’evoluzione della longevità maschile. Anche prendendo in considerazione le cure parentali (strettissime e di così lunga durata nella specie umana), il discorso non cambia: non esiste un reale vantaggio adattativo nella maggiore longevità femminile (anzi, anche qui si rimarca il paradosso della più bassa longevità maschile: dato che, spesso, nella coppia è il maschio il più anziano, sarebbe più vantaggioso per la durata della coppia se egli fosse potenzialmente più longevo... vedi citazione della possibile fase di vedovanza di mia madre): anche qui, comunque, il discorso è puramente teorico: alle età attualmente citate per la longevità maschile (75-80 anni) nessuno ha più figli piccoli da accudire (e quindi non è selezionato negativamente rispetto a più efficienti coppie giovani).
Dove voglio arrivare con questo discorso? Semplicemente col dire che non credo che esista una causa evoluzionistica diretta che generi una maggiore longevità femminile, perché non esiste un motivo evoluzionistico che giustifichi (cioè potrebbe generare) una maggiore longevità femminile.
Eppure, il tasso di longevità è un dato di fatto. Forse, ma solo in parte.
Come viene calcolata la longevità di una popolazione? Senza entrare nelle discussioni statistiche, quello che viene calcolato effettivamente non è la longevità, bensì il tasso di mortalità. Ovvero, non è corretto dire che si determina la maggiore longevità femminile, bensì che si determina la maggiore mortalità maschile. Il dato reale è quindi il seguente: i maschi hanno un tasso di mortalità più alto delle femmine. Ora, uno potrebbe obiettare che non cambia nulla nella soluzione del problema. Tutt’altro: mentre il problema della longevità si riduceva ad un’assurda ricerca di una causa interna diretta della longevità, la quale, ovviamente, è solo la capacità di perdurare nel tempo, la mortalità può (e deve) essere cercata anche (e sopratutto) investigando i fattori esterni che provocano la morte.
Qualcuno una volta fece l’intelligente osservazione che esistono molti più modi di essere morti che di essere vivi (e questo perché esiste un’infinità di combinazioni non vitali di particelle, mentre solo un sottinsieme delle combinazioni possibili è un essere vivente e funzionante), analogamente, esistono molti più modi di morire che di restare vivi. Quindi, statisticamente, è più probabile morire che sopravvivere.
Ma perché gli uomini hanno una probabilità più alta di morire? Se abbiamo constatato che il tasso di mortalità maschile è maggiore di quello femminile, dove possiamo trovare la causa di ciò? Ovviamente nella fonte di ogni azione: nel cervello. Lo so, sto entrando in un campo minatissimo: ma non fatevi subito prendere dai vostri pregiudizi e luoghi comuni. Seguite il ragionamento fino in fondo, e poi valutatelo tutto assieme.
In più di un secolo di ricerca neuropsicologia, fisiologica ed anatomica è emerso che le differenze tra cervello maschile e femminile sono trascurabili e non significative. Analogamente, la gamma comportamentale tra maschi e femmine è praticamente identica e sovrapponibile (con le ovvie differenze particolari, culturali e storiche che complicano ogni valutazione dei dati). Tranne che in un aspetto. In tutte le culture, fasce sociali e fasce d’età, esiste un fattore nel quale esiste una marcata differenza tra maschi e femmine. L’aggressività. Anche se tutti conosciamo donne aggressive e maschi poco aggressivi, statisticamente, nella popolazione umana presa nel complesso, la percentuale di individui aggressivi (presi con qualsivoglia metro di valutazione: reati commessi, reazione a determinati induttori dell’aggressività, durata e persistenza del comportamento violento e/o aggressivo) è composta maggiormente da maschi. Ciò ha sicuramente a monte una serie di fattori scatenanti, ma proprio per il fatto che essa è l’unica differenza misurata con sicurezza in così tante culture e fasce di età, deve comunque risiedere in qualche aspetto biologico maschile. Difatti, esiste una stretta correlazione tra induttori biologici dell’aggressività (ormoni in primis) e sessualità maschile. Il principale ormone maschile è il testosterone, il quale, pur prodotto anche dal corpo femminile, è secreto principalmente dal testicolo. Il testosterone è anche il principale (ma non unico) ormone correlato al comportamento aggressivo. Questo è noto da secoli, ed è alla base della pratica della castrazione: un bellicoso toro (e non solo bovino) può essere trasformato in un mansueto bue con un rapido colpo mutilante alle parti basse: la trasformazione del suo comportamento e del carattere è strettamente veicolata dalla secrezione di testosterone. Ovviamente, il comportamento umano è più complesso, ma nondimeno è chiaro che l’azione del testosterone influenza l’aggressività. Pertanto, è possibile che il più alto tasso di aggressività maschile sia un fattore determinante nell’incidenza maggiore della mortalità maschile nella popolazione, e quindi nell’apparente paradosso evolutivo della più alta longevità femminile.
Bene, questa prima parte è conclusa. Nella prossima spiegherò perché ho tirato in ballo la Prima Guerra Mondiale e gli oscuri eventi diluitisi nelle noiosissime eternità del Precambriano.
Ancora una volta, non fraintendete il senso di queste argomentazioni aldilà del loro ambito.
Lunga vita a tutti!
Pisquanogeno P., Demiurgo A., Duplophago, S. and (virtually) some other; 2007. The teleostean affinities of a legendary pterodactyloid from the Middle Brain Formation. Journal of Natural Mistery - 29 (11): 1-19.
So che risulterò borioso, ma ripeterò all’infinito che questo test è solamente un gioco formale sulle capacità del mio amatissimo PAUP, e non vuole cercare alcuna verità nascosta: cercare di forzare i risultati per scopi che non hanno nulla a che vedere con l’analisi di PAUP sui dati dati (il primo è nome, il secondo è participio) è un atto gratuito, un delitto contro la pura ludica delle AFICoNFi (analisi-filogenetiche-in-contesti-non-filogenetici).
Il nuovo soggetto immesso è chiamato PSCr: come negli altri casi, la sigla serve all’interessato e a chi lo conosce per identificarlo, lasciandolo anonimo per il resto del pianeta (che poi il soggetto voglia dichiararsi, sono affari suoi).
Immesso PSCr ed impostato PAUP come la volta scorsa, abbiamo ottenuto il seguente risultato:
Rispetto all’analisi precedente sono cresciuto in pauppitudine: questo albero mostra anche la quantità di affinità tra i soggetti (data dalla lunghezza dei segmenti che li congiungono, in basso abbiamo la scala di riferimento: l’intero albero, essendo di 253 steps, è lungo 253 unità). Inoltre, e questa è la vera chicca, ora posso impostare PAUP a testare particolari topologie, per vedere di quanto si discostino dal risultato non-impostato (quello di sopra, che ci dà la distribuzione più parsimoniosa dei dati). Per curiosità, ho testato (A) una disposizione nella quale AnCa e ClSt sono sister-groups, (B) una nella quale i paleontologi sono un gruppo monofiletico, (C) una nella quale il nuovo entrato è raggruppato con AnCa e ClSt, una (D) per vedere quanto di oggettivo potrebbe esserci in una bizzarra tesi sessista (dato che recentemente è stata attribuita una vena sessista a questo blog, soddisfiamo questa bislacca interpretazione), nella quale ho imposto che maschi e femmine formino due gruppi distinti; ed infine una (E) per classi d’età, con i giovani in gruppi più affini rispetto ai vecchi. I risultati, espressi in numero di steps aggiuntivi che le differenti topologie imposte hanno rispetto ai 253 steps dell’albero più parsimonioso, sono:
A): +2 (ovvero, è 2 steps meno parsimonioso dell’albero di sopra); B): +2; C): +15; D): +14; E): +38. Mentre le prime due imposizioni sono leggermente sopra la parsimonia e quindi possono essere alternative credibili, le altre tre, con 15, 14 e 38 steps aggiuntivi, risultano meno sostenibili (2 curiosità: nell’imposizione sessista, l’(e)neocelta ed il Demiurgo sono sister-groups; nell’imposizione a classi di età progressive, la mia annata forma un gruppo monofiletico). Chi volesse anche gli alberi a topologie forzate mi faccia sapere.
Non date altro valore a quello che emerge dal post, rischiereste di disidratarvi.
Buone pauppate a tutti!
Esiste la donna ultrazionale? La domanda sta diventando un’ossessione: non tanto per l’esigenza programmata di cercare una compagna (al contrario, di questi tempi conviene prendersi una pausa... almeno fino alla prossima sortita all’Highlander...), quanto per soddisfare un diLemma ben più interessante. Ovvero: esiste una matrice biologica all’ultrazionalità (ovviamente sì), strettamente correlata alla determinazione sessuale? L’ultrazionalità è connessa al cromosoma Y, come barba e testicoli? Oppure è una caratteristica portata dal cromosoma X, ma recessiva al pari del daltonismo, e che quindi può manifestarsi anche nelle donne anche se con una più bassa probabilità rispetto ai maschi?.
I recenti eventi della mia contingenza, la guerra per sopprimere la primitiva volontà della maggioranza interna votata a Visceralia, il caso umano e patologico del teatino forestale (ormai è assodato, e da lui stesso ammesso implicitamente, che è un corpo maschile con un cervello femminile), mi stanno convincendo che se una donna ultrazionale esiste (come spero, non per appagare manie pseudo-eugenetiche di generare progenie ultrazionale pura, ma per sperimentare anche con una donna quella rara forma di piacere che è la dissacrante sintesi auto-scazzante meta-ironica dell’essere ultrazionale), ella deve al tempo stesso essere equipaggiata di ultrazionalità e priva delle numerose non-ultrazionalità che (almeno da queste parti) ricoprono molte donne. Come sempre, per evitare malintesi, ricordo che l’impostazione ultrazionale va Oltre e non segue una logica di “valori ordinati”: il fatto che le donne in giro da queste parti siano poco fornite nel frangente ultrazionale non significa che siano meno interessanti o meritevoli di stima (o altro), significa solo che sono carenti nell’ambito ultrazionale (carenza che, purtroppo, tende a creare un solco con noialtri mostri di cinismo e goliardia nei momenti in cui si sono esaurite le altre possibili cause di legame... sì, lo so, sto facendo delle contingenze recenti un metro di valutazione, perciò dichiaro senza pudore che qualsiasi riferimento alle passate esperienze sentimentali del Demiurgo, del Clastu o di altri ultrazionali sono puramente CAUsali).
Vediamo come dovrebbe essere (in teoria) una donna ultrazionale. Sulla base della ricchissima documentazione in nostro possesso, possiamo stilare una serie di caratteristiche che ipoteticamente, ella dovrebbe avere. Tanto più una femmina di Homo sapiens rispecchierà questa lista tanto più, credo, ma non posso esserne certo, ella sarà ultrazionale.
Auto-ironia vera: non si piange addosso, né si auto-celebra come Femminilità Incorruttibile Giusta e Assoluta.
Non fa della sua esistenza il solo argomento possibile.
Razionalità consapevole ed autonoma: pensa a modo suo e lo mostra.
Ama argomentare, non pontificare (quindi, ammette la critica e detesta l’accondiscendenza immotivata).
Dialettica fluente e giocosa: parla e straparla senza paura, fa uso frequente di giochi di parole, e ne crea di nuovi.
Conosce il significato della parola “surrogato”.
Equidistante da sciatteria e da estetismo patologico: la cura dell’aspetto conta, ma non deve essere la necessaria copertura di un’anima vuota, né il rifugio di una personalità debole.
Flessibilità mentale e capacità di separare un evento dalla sua menzione. Apertura alla diversità e al confronto.
Si incazza facilmente, ma senza scenate isteriche: non dà grande peso alle proprie incazzature, che sa sfogare velocemente e dissolvere con altrettanta velocità.
Distacco dalla matrice viscerale: l’istinto materno e le tempeste ormonali non siano una gabbia mentale che impedisce di valutare Oltre.
Non è vegetariana, se non per vincoli storici* (so che sto sollevando un polverone: come abbiamo già discusso, ultrazionalità e vegetarianesimo hanno una diversa base mentale...).
Per ora mi vengono in mente questi caratteri... ma so che altri possono essere citati. Se qualche donna si riconosce in buona parte di questi, allora ci faccia il sommo piacere di dichiararsi, così da riempire quella metà del cielo Ultrazionale che, almeno da queste parti, è piuttosto vuoto.
Ma forse mi sto illudendo dell'esistenza di un essere mitico, una Chimera, un Lemma androcefalo...
* Questa aggiunta sarà chiarita in un prossimo futuro.