Il mio approccio alla paleoarte si discosta da quello della maggioranza degli appassionati di ricostruzioni preistoriche. In quanto ricercatore e appassionato studioso di paleontologia, ho abbastanza chiaro il limite della paleontologia. Moltissimi dettagli del passato sono andati perduti. Perduti per sempre. Pertanto, non è nella paleoarte che li cercherò. Molti invece vivono la paleoarte con questa impostazione, con questo sentimento: essa deve riportare in vita ciò che la paleontologia non può riportare in vita. Io chiamo questo approccio, "Invidia della zoologia". Chi soffre di invidia della zoologia non sopporta che la paleontologia non possa essere vissuta in maniera totale, come un'esperienza fatta di immagini, colori, suoni, persino situazioni. Tale invidia produce frustrazione, che si somatizza adorando la paleoarte.
Io amo la paleoarte per altri motivi. Essa è una fantastica fonte di informazioni sull'anima dell'Homo sapiens attuale. La paleoarte è lo sfogo dei sogni post-moderni, è un luogo mitico dove Scienza e Mito si possono fondere, è il ricettacolo di pregiudizi e aspirazioni incosce. Ciò è tanto vero quanto più l'oggetto della paleoarte è vicino a noi, quanto più può rappresentarci. Un trilobite ha una carica mitologica minore di un tyrannosauro o di un ominide, di conseguenza, tenderà ad essere rappresentato in forma più "oggettiva" rispetto agli altri due.
In particolare, l'iconografia degli ominidi fossili è quanto di più soggettivo, ideologico e viscerale la paleoarte possa darci.
Conosciamo molto degli ominidi fossili: scheletri, denti, utensili, tracce di focolari. Non possiamo però conoscere ciò che vorremmo sapere più profondamente: il loro aspetto esteriore. I muscoli sono ricostruibili dalle tracce osse, ma non possiamo ricostruire la pelle, il suo colore, e, sopratutto, la forma e distribuzione di peli e capelli. Questi tratti esteriori, così importanti in noi, sono quindi in totale balia della soggettività di chi ricostruisce (artisti ma anche scienziati che collaborano con gli artisti). Guardate questa carrellata di ricostruzioni: tutte riguardano Homo neandertalensis, la specie ominide più famosa. Si passa da esseri quasi glabri a forme ricoperte di pelliccia, soggetti scuri o chiari, con capelli irsuti, ricci, lisci, radi, visi barbuti, umani oppure scimmieschi. Sempre la stessa specie, ma raffigurata in modi opposti.
Queste iconografie non hanno alcuna sostenibilità scientifica, nel senso che non disponiamo di alcun dato per stabilire se e quanto ciascuna si avvicini alla realtà perduta. Forse potremo un giorno scoprire un individuo congelato nei ghiacci siberiani, ma fino ad allora, dovremo solo ipotizzare, ovvero, lasciarci guidare dalle emozioni, dalle nostre inclinazioni e pregiudizi.
In particolare, ho notato che, indipendentemente dal tipo di ricostruzione, tutti gli artisti siano guidati da un ingiustificata equazione estetica:
L'evoluzione intellettiva e quella epidermica non sono, fino a prova contaria, due fenomeni legati in alcun modo. Ad esempio, perché la presenza o assenza di pelo sarebbe legata all'intelligenza? Essa è probabilmente legata alle condizioni climatiche, e forse è vincolata a meccanismi quali il processo di maturazione individuale, ma non pare aver affinità col cervello.
(Opinione personale: Io propendo per immaginare gli ominidi delle fasi glaciali come ricoperti di pelo, dato che, a parte Homo sapiens, non esistono tracce di indumenti, e, sopratutto, di strumenti da cucito, quali aghi in osso, oggetti molto elaborati da produrre, appannaggio finora solo nostro ed assolutamente fondamentali per cucire abiti efficaci nella difesa dal freddo: non crederete alle assurde immagini dell'uomo preistorico che va in giro in mutande di pelle o con ridicoli mantellini di pelliccia legati alla vita, a caccia di mammuth e rinoceronti lanosi! Morirebbe surgelato in un'ora! Non ha senso oggi, figurarsi in piena glaciazione!).
Noi sappiamo che Homo sapiens è quasi privo di pelo, mentre i suoi parenti più prossimi viventi (scimpanzè e gorilla) sono ricoperti da pelliccia: ciò non ci dice nulla sul momento lungo la linea evolutiva, che va dalla separazione dalle altre scimmie fino a noi, in cui la pelliccia scomparve. La posizione di tale momento (più o meno vicina a Homo sapiens) è totalmente frutto di pregiudizi pseudo-evolutivi.
La prova a mio avviso più evidente di ciò è data dall'assurda abitudine di raffigurare gli "australopiteci robusti" come ricoperti da pelliccia, mentre gli Homo habilis, vissuti nello stesso loro momento e luogo geografico, vengono raffigurati con poco/niente pelo: eppure, anche ammesso, ma non dimostrato, che Homo habilis avesse qualche tratto mentale più simile a noi non è un motivo per dargli una pelle "più umana": il motivo, ovviamente, è che il nome "Homo" attribuito arbitrariamente a questo fossile lo caratterizza come più "umano" di un australopiteco, e tale caratterizzazione deve essere sancita da un'icona estetica, nonostante sia priva di prove.
Per capire quanto la presenza o meno di determinati caratteri esteriori influisca sul nostro giudizio di "valore evolutivo", guardate questo scimpanzè, nato con una mutazione che inibisce lo sviluppo del pelo. Sicuramente ha le stesse capacità mentali dei suoi simili, eppure, il suo aspetto pare dargli un'umanità maggiore, e, quindi, un maggiore valore ai nostri occhi razzisti.
Io amo la paleoarte per altri motivi. Essa è una fantastica fonte di informazioni sull'anima dell'Homo sapiens attuale. La paleoarte è lo sfogo dei sogni post-moderni, è un luogo mitico dove Scienza e Mito si possono fondere, è il ricettacolo di pregiudizi e aspirazioni incosce. Ciò è tanto vero quanto più l'oggetto della paleoarte è vicino a noi, quanto più può rappresentarci. Un trilobite ha una carica mitologica minore di un tyrannosauro o di un ominide, di conseguenza, tenderà ad essere rappresentato in forma più "oggettiva" rispetto agli altri due.
In particolare, l'iconografia degli ominidi fossili è quanto di più soggettivo, ideologico e viscerale la paleoarte possa darci.
Conosciamo molto degli ominidi fossili: scheletri, denti, utensili, tracce di focolari. Non possiamo però conoscere ciò che vorremmo sapere più profondamente: il loro aspetto esteriore. I muscoli sono ricostruibili dalle tracce osse, ma non possiamo ricostruire la pelle, il suo colore, e, sopratutto, la forma e distribuzione di peli e capelli. Questi tratti esteriori, così importanti in noi, sono quindi in totale balia della soggettività di chi ricostruisce (artisti ma anche scienziati che collaborano con gli artisti). Guardate questa carrellata di ricostruzioni: tutte riguardano Homo neandertalensis, la specie ominide più famosa. Si passa da esseri quasi glabri a forme ricoperte di pelliccia, soggetti scuri o chiari, con capelli irsuti, ricci, lisci, radi, visi barbuti, umani oppure scimmieschi. Sempre la stessa specie, ma raffigurata in modi opposti.
Queste iconografie non hanno alcuna sostenibilità scientifica, nel senso che non disponiamo di alcun dato per stabilire se e quanto ciascuna si avvicini alla realtà perduta. Forse potremo un giorno scoprire un individuo congelato nei ghiacci siberiani, ma fino ad allora, dovremo solo ipotizzare, ovvero, lasciarci guidare dalle emozioni, dalle nostre inclinazioni e pregiudizi.
In particolare, ho notato che, indipendentemente dal tipo di ricostruzione, tutti gli artisti siano guidati da un ingiustificata equazione estetica:
Grado di somiglianza estetica = Grado di intelligenza.
Ovvero, se l'ominide è ritenuto prossimo a noi come capacità intellettive, allora sarò di aspetto "umano" (glabro, con capelli fluenti, sguardo vivo), se è ritenuto privo di intelletto umano, sarà raffigurato come una scimmia (con pelliccia, capelli corti o indistinguibili dal pelo, occhio spento). Questa equazione è totalmente ingiustificata, totalmente ideologica, fatta più per soddisfare i nostri pregiudizi antropocentrici che una reale logica evolutiva.L'evoluzione intellettiva e quella epidermica non sono, fino a prova contaria, due fenomeni legati in alcun modo. Ad esempio, perché la presenza o assenza di pelo sarebbe legata all'intelligenza? Essa è probabilmente legata alle condizioni climatiche, e forse è vincolata a meccanismi quali il processo di maturazione individuale, ma non pare aver affinità col cervello.
(Opinione personale: Io propendo per immaginare gli ominidi delle fasi glaciali come ricoperti di pelo, dato che, a parte Homo sapiens, non esistono tracce di indumenti, e, sopratutto, di strumenti da cucito, quali aghi in osso, oggetti molto elaborati da produrre, appannaggio finora solo nostro ed assolutamente fondamentali per cucire abiti efficaci nella difesa dal freddo: non crederete alle assurde immagini dell'uomo preistorico che va in giro in mutande di pelle o con ridicoli mantellini di pelliccia legati alla vita, a caccia di mammuth e rinoceronti lanosi! Morirebbe surgelato in un'ora! Non ha senso oggi, figurarsi in piena glaciazione!).
Noi sappiamo che Homo sapiens è quasi privo di pelo, mentre i suoi parenti più prossimi viventi (scimpanzè e gorilla) sono ricoperti da pelliccia: ciò non ci dice nulla sul momento lungo la linea evolutiva, che va dalla separazione dalle altre scimmie fino a noi, in cui la pelliccia scomparve. La posizione di tale momento (più o meno vicina a Homo sapiens) è totalmente frutto di pregiudizi pseudo-evolutivi.
La prova a mio avviso più evidente di ciò è data dall'assurda abitudine di raffigurare gli "australopiteci robusti" come ricoperti da pelliccia, mentre gli Homo habilis, vissuti nello stesso loro momento e luogo geografico, vengono raffigurati con poco/niente pelo: eppure, anche ammesso, ma non dimostrato, che Homo habilis avesse qualche tratto mentale più simile a noi non è un motivo per dargli una pelle "più umana": il motivo, ovviamente, è che il nome "Homo" attribuito arbitrariamente a questo fossile lo caratterizza come più "umano" di un australopiteco, e tale caratterizzazione deve essere sancita da un'icona estetica, nonostante sia priva di prove.
Per capire quanto la presenza o meno di determinati caratteri esteriori influisca sul nostro giudizio di "valore evolutivo", guardate questo scimpanzè, nato con una mutazione che inibisce lo sviluppo del pelo. Sicuramente ha le stesse capacità mentali dei suoi simili, eppure, il suo aspetto pare dargli un'umanità maggiore, e, quindi, un maggiore valore ai nostri occhi razzisti.