Come ogni attività umana che genera piacere, la paleontologia è popolata da una componente attiva e da una passiva. La prima, i paleontologi, è la minoranza che fa andare avanti la baracca. Il paleontologo scopre, prepara, determina e studia i reperti, inoltre, formula teorie argomentate, ed è in grado di valutare consapevolmente le teorie altrui. Il paleontologo, essendo parte attiva in tutte le fasi del processo di elaborazione di questa scienza, è pienamente consapevole che:
1- Gli organismi della paleontologia sono una teoria interpretativa, non un’evidenza come può esserlo un essere vivente attuale. Pertanto, le varie ipotesi scientifiche che vengono proposte sono approssimazioni parziali ed in continua fase di revisione e sempre in evoluzione.
2- Le interpretazioni ed i risultati sono subordinati ad i dati ed al metodo di studio. Pertanto, un paleontologo non si accontenta dei risultati, ma pretende una descrizione dettagliata dell’intero processo di elaborazione della nozione paleontologica (quali dati sono stati usati? quale metodo è stato applicato? quali alternative sono possibili con gli stessi dati ma con metodi differenti?).
3- La paleontologia non è la biologia. Questa banalissima frase, proprio per la sua banalità, spesso viene dimenticata dai paleontofili, che invece sembrano ostinati a trattare i fossili come organismi viventi osservabili direttamente (si comportano come quelle persone che vanno al cimitero per parlare con la lapide del loro caro estinto, incapaci di accettare il fatto che la persona amata non esista più: un comportamento umanamente rispettabile, ma non certo valido scientificamente).
La seconda componente, numericamente maggioritaria, è formata dagli appassionati paleontofili. Essi, al pari degli appassionati di uno sport, non sono parte integrante delle fasi di preparazione della disciplina, bensì, generalmente, sono fruitori passivi solamente dei risultati. In genere, essi non hanno acquisito la competenza tecnica e concettuale tale da permettere loro di valutare tali risultati, che tendono ad essere semplicemente acquisiti più o meno acriticamente (sia nel caso che vengano accettati sia che vengano rifiutati). Il paleontofilo, pertanto, spesso:
1- Dimentica che i risultati paleontologici non sono verità, bensì ipotesi parziali costantemente in fase di revisione. Egli soffre per l’impossibilità di VERIFICARE* le ipotesi: frastornato dal fecondo proliferare delle differenti ipotesi interpretative (non comprende che tale proliferazione di ipotesi è linfa vitale per la paleontologia, impedendole di diventare una “religione dogmatica dei fossili”) tende a fissarsi su una delle possibili ipotesi proposte, per crearsi una sua “versione ufficiale”. Questo meccanismo psicologico generalmente si ripercuote sulla sua futura flessibilità di fronte alle nuove scoperte o al cambio di paradigma. Paradossalmente, questa categoria di appassionato tende ad essere, erroneamente, conservatrice e dogmatica nei confronti della scienza naturale.
2- Inoltre, il paleontofilo è più interessato ai risultati che al modo con il quale sono stati ricavati. Conseguenza nefasta di ciò è che egli in genere discute solamente delle differenti ipotesi, non dei dati o delle metodologie seguite. Ne risulta un dibattito tra appassionati fatto più di opinioni che di argomenti, che scorre parallelamente al dibattito tra paleontologi (dal quale attende sempre nuovi risultati o scoperte), ma che spesso si limita a divulgare parte dei risultati dei ricercatori, senza riuscire a produrre una reale crescita della conoscenza.
Aspetto curioso dell’analogia sport-paleontologia è la similitudine tra i dibattiti dei tifosi e i dibattiti dei paleontofili: provate a confrontarli (la rete è ricca di entrambi), troverete delle curiose analogie nel modo di esporre le idee, di argomentare (o meno) i temi, e di commentare la componente “attiva” (gli sportivi in un caso, i paleontologi nell’altro).
Con questo post non vorrei che qualche paleontofilo si risentisse per le parole che ho usato per la sua categoria.
Ammetto che spesso, quando leggo in rete le discussioni tra appassionati, provo un mix di biasimo e di simpatia per le loro parole. Sono consapevole che molto spesso un appassionato è una persona intelligente e vivamente interessata alla paleontologia ma che (per innumerevoli motivi personali) non ha acquisito le conoscenze necessarie per “salire di livello” e diventare paleontologo, “restando” fruitore passivo della scienza dei fossili, pertanto non ho verso di lui alcun sentimento di disprezzo o di superiorità. Tuttavia, spesso ho l’impressione che, dal loro “fronte”, quello paleontolofilo, non ci sia l’adeguata consapevolezza di cosa significhi fare “davvero” paleontologia (e questo è terribilmente diffuso tra gli appassionati di dinosauri, fossili che, per il loro indubbio fascino, attirano un esercito più o meno maturo di persone più o meno preparate, tutte desiderose di dire “la loro” in una disciplina scientifica che spesso nemmeno conoscono).
Raramente chi si limita a leggere i risultati delle ricerche (e nemmeno dagli articoli scientifici originari, bensì da riviste divulgative più o meno rigorose o da siti più o meno validi in rete) ha idea di quanto impegno di tempo ed energie sia all’origine della nozione che sta acquisendo.
Oltre ai decenni necessari per una decente preparazione scientifica (io studio con profondo impegno i teropodi da almeno otto-dieci anni e non mi reputo mai sufficientemente preparato, ed anzi, mi sforzo costantemente per essere aggiornato su tutti i fronti della teropodologia), un risultato scientifico richiede mesi di osservazione e valutazione dei dati, lunghe discussioni e controlli, una lunga fase di stesura del lavoro, una fase di revisione (operata da altri colleghi, tramite il processo di peer-review), e solo alla fine, la presentazione del lavoro.
Temo che spesso questo aspetto non venga considerato dagli appassionati, i quali, fissandosi solo sui risultati, li accettano (o rifiutano) con leggerezza e senza approfondimento, dimenticando che chi ha pubblicato tali ipotesi ha svolto un lungo lavoro a monte della pubblicazione, molto più importante dei soli risultati che ha generato.
*Una versione apparentemente avanzata di tale impostazione mentale è la richiesta di FALSIFICARE le ipotesi paleontologiche. Tuttavia, questo richiamo a Popper è doppiamente scorretto: primo, le ipotesi scientifiche non devono essere falsificate per essere tali, bensì sono riconosciute scientifiche se sono costruite in modo da possedere una potenziale falsificabilità. Secondo, il criterio popperiano, per quanto accettabilissimo in scienze a-storiche come la chimica o la fisica, non ha molto senso in una disciplina storica come la paleontologia. Il Mesozoico (o l’estinzione dei dinosauri, o l’origine dell’uomo) non è un’ipotesi falsificabile “alla Popper”, bensì è una interpretazione storica di dati biologici e/o geologici non ripetibili.
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