mercoledì 25 novembre 2009

L'esteriorità degli (altri) ominidi, interiorità di Homo sapiens









Il mio approccio alla paleoarte si discosta da quello della maggioranza degli appassionati di ricostruzioni preistoriche. In quanto ricercatore e appassionato studioso di paleontologia, ho abbastanza chiaro il limite della paleontologia. Moltissimi dettagli del passato sono andati perduti. Perduti per sempre. Pertanto, non è nella paleoarte che li cercherò. Molti invece vivono la paleoarte con questa impostazione, con questo sentimento: essa deve riportare in vita ciò che la paleontologia non può riportare in vita. Io chiamo questo approccio, "Invidia della zoologia". Chi soffre di invidia della zoologia non sopporta che la paleontologia non possa essere vissuta in maniera totale, come un'esperienza fatta di immagini, colori, suoni, persino situazioni. Tale invidia produce frustrazione, che si somatizza adorando la paleoarte.
Io amo la paleoarte per altri motivi. Essa è una fantastica fonte di informazioni sull'anima dell'Homo sapiens attuale. La paleoarte è lo sfogo dei sogni post-moderni, è un luogo mitico dove Scienza e Mito si possono fondere, è il ricettacolo di pregiudizi e aspirazioni incosce. Ciò è tanto vero quanto più l'oggetto della paleoarte è vicino a noi, quanto più può rappresentarci. Un trilobite ha una carica mitologica minore di un tyrannosauro o di un ominide, di conseguenza, tenderà ad essere rappresentato in forma più "oggettiva" rispetto agli altri due.
In particolare, l'iconografia degli ominidi fossili è quanto di più soggettivo, ideologico e viscerale la paleoarte possa darci.
Conosciamo molto degli ominidi fossili: scheletri, denti, utensili, tracce di focolari. Non possiamo però conoscere ciò che vorremmo sapere più profondamente: il loro aspetto esteriore. I muscoli sono ricostruibili dalle tracce osse, ma non possiamo ricostruire la pelle, il suo colore, e, sopratutto, la forma e distribuzione di peli e capelli. Questi tratti esteriori, così importanti in noi, sono quindi in totale balia della soggettività di chi ricostruisce (artisti ma anche scienziati che collaborano con gli artisti). Guardate questa carrellata di ricostruzioni: tutte riguardano Homo neandertalensis, la specie ominide più famosa. Si passa da esseri quasi glabri a forme ricoperte di pelliccia, soggetti scuri o chiari, con capelli irsuti, ricci, lisci, radi, visi barbuti, umani oppure scimmieschi. Sempre la stessa specie, ma raffigurata in modi opposti.
Queste iconografie non hanno alcuna sostenibilità scientifica, nel senso che non disponiamo di alcun dato per stabilire se e quanto ciascuna si avvicini alla realtà perduta. Forse potremo un giorno scoprire un individuo congelato nei ghiacci siberiani, ma fino ad allora, dovremo solo ipotizzare, ovvero, lasciarci guidare dalle emozioni, dalle nostre inclinazioni e pregiudizi.
In particolare, ho notato che, indipendentemente dal tipo di ricostruzione, tutti gli artisti siano guidati da un ingiustificata equazione estetica:
Grado di somiglianza estetica = Grado di intelligenza.
Ovvero, se l'ominide è ritenuto prossimo a noi come capacità intellettive, allora sarò di aspetto "umano" (glabro, con capelli fluenti, sguardo vivo), se è ritenuto privo di intelletto umano, sarà raffigurato come una scimmia (con pelliccia, capelli corti o indistinguibili dal pelo, occhio spento). Questa equazione è totalmente ingiustificata, totalmente ideologica, fatta più per soddisfare i nostri pregiudizi antropocentrici che una reale logica evolutiva.
L'evoluzione intellettiva e quella epidermica non sono, fino a prova contaria, due fenomeni legati in alcun modo. Ad esempio, perché la presenza o assenza di pelo sarebbe legata all'intelligenza? Essa è probabilmente legata alle condizioni climatiche, e forse è vincolata a meccanismi quali il processo di maturazione individuale, ma non pare aver affinità col cervello.
(Opinione personale: Io propendo per immaginare gli ominidi delle fasi glaciali come ricoperti di pelo, dato che, a parte Homo sapiens, non esistono tracce di indumenti, e, sopratutto, di strumenti da cucito, quali aghi in osso, oggetti molto elaborati da produrre, appannaggio finora solo nostro ed assolutamente fondamentali per cucire abiti efficaci nella difesa dal freddo: non crederete alle assurde immagini dell'uomo preistorico che va in giro in mutande di pelle o con ridicoli mantellini di pelliccia legati alla vita, a caccia di mammuth e rinoceronti lanosi! Morirebbe surgelato in un'ora! Non ha senso oggi, figurarsi in piena glaciazione!).
Noi sappiamo che Homo sapiens è quasi privo di pelo, mentre i suoi parenti più prossimi viventi (scimpanzè e gorilla) sono ricoperti da pelliccia: ciò non ci dice nulla sul momento lungo la linea evolutiva, che va dalla separazione dalle altre scimmie fino a noi, in cui la pelliccia scomparve. La posizione di tale momento (più o meno vicina a Homo sapiens) è totalmente frutto di pregiudizi pseudo-evolutivi.
La prova a mio avviso più evidente di ciò è data dall'assurda abitudine di raffigurare gli "australopiteci robusti" come ricoperti da pelliccia, mentre gli Homo habilis, vissuti nello stesso loro momento e luogo geografico, vengono raffigurati con poco/niente pelo: eppure, anche ammesso, ma non dimostrato, che Homo habilis avesse qualche tratto mentale più simile a noi non è un motivo per dargli una pelle "più umana": il motivo, ovviamente, è che il nome "Homo" attribuito arbitrariamente a questo fossile lo caratterizza come più "umano" di un australopiteco, e tale caratterizzazione deve essere sancita da un'icona estetica, nonostante sia priva di prove.

Per capire quanto la presenza o meno di determinati caratteri esteriori influisca sul nostro giudizio di "valore evolutivo", guardate questo scimpanzè, nato con una mutazione che inibisce lo sviluppo del pelo. Sicuramente ha le stesse capacità mentali dei suoi simili, eppure, il suo aspetto pare dargli un'umanità maggiore, e, quindi, un maggiore valore ai nostri occhi razzisti.

martedì 24 novembre 2009

I Miti dell'Anello che non fu (ma che potrebbe essere)


Dopo aver visto questa simulazione, ho avuto una visione.

Prologo necessario:
In un futuro non troppo lontano...
L'umanità, per scongiurare l'impatto della Terra con un asteroide, riuscì a dirottare l'orbita di quest'ultimo, ed a disgregarlo. Conseguenza di ciò, parte dell'asteroide, sotto forma di polveri e pulviscolo, si dispose in orbita permanente attorno alla Terra, formano una serie di anelli.

Qui parte la visione vera e propria:
Migliaia di anni dopo, la civiltà è scomparsa e l'umanità è tornata ad una condizione neolitica. Popolazioni disperse in gruppi isolati vivono in alcune aree della Terra.
Immaginate come ogni gruppo, alle diverse latitudini, potrebbe rapportarsi con l'anello. I corpi celesti più grandi, come il sole e la luna, hanno sempre avuto un posto preminente nelle mitologie e nelle religioni. Pertanto, l'anello sarebbe sicuramente parte significativa nella cosmogonia e mitologia di eventuali popoli pre-scientifici. Ma a differenza degli altri corpi celesti, l'anello varia la sua forma in funzione della latitudine, e, di conseguenza, è percepito in modo differente.
Le popolazioni viventi all'equatore avrebbero una differente concezione dell'anello, il quale apparirebbe loro come una sottile striscia verticale che taglia in due la volta celeste. Al contrario, popoli viventi a latitudini medio-alte vedrebbero costantemente l'anello come un'ampia fascia inclinata. Questi popoli non conoscerebbero mai notti totalmente buie, perché avrebbero sempre l'illuminazione solare derivante dalla parziale riflessione della luce contro l'ampia fascia dell'anello.
Inoltre, eventuali popolazioni dedite alla navigazione trarrebbero vantaggio dalla differente forma che l'anello acquista in cielo durante la navigazione da nord a sud (e viceversa).
Materia per suggestioni fantascientifiche, fantastoriche, antropologiche ed ucroniche...

domenica 22 novembre 2009

La Mitologica Influenza del Perfido Animaletto



L'Italia è un paese ignorante e superstizioso. Questa è la descrizione modale, basata sul campione più rappresentativo di individui. Ovviamente, esistono minoranze illuminate, istruite, scientificamente aggiornate e non superstiziose, ma, rimarco, esse sono minoranze. La maggioranza è ignorante e superstiziosa, ovvero, non conosce la maggioranza dei concetti e delle informazioni alla base della loro esistenza e crede in concetti e informazioni obsoleti e privi di alcuna validità oggettiva. Provate a smentirmi. Quanti tra coloro che utilizzano giornalmente il computer ed il telefonino conoscono anche solo i concetti basilari dell'informatica, dell'elettronica, della fisica delle onde elettromagnetiche? Essi usano oggetti fondati su concetti a loro totalmente ignoti, e, di conseguenza, usano questi strumenti assumendo che siano "magici". Da questo punto di vista, essi sono relativamente più arretrati di un contadino medievale, il quale, perlomeno, conosceva struttura e funzione degli oggetti della sua vita quotidiana. Risultato di questa abissale asimmetria tra tecnologia diffusa e ignoranza profonda è il dilagare del mito, più o meno pilotato per esigenze economiche e politiche, fondamento primo di ogni società liberticida ed antidemocratica.
In questi giorni dilaga la paranoia da pandemia influenzale. Non solo i media fomentano una paura irrazionale verso un fenomeno annuale (o al più decennale nelle forme più intense), ma si affrettano a modificarne la versione non appena i fatti dimostrino la sua falsità.
Il numero dei morti provocati dall'influenza di questo anno rientra nella casistica nota dagli epidemiologi. Nondimeno, i media tengono la popolazione costantemente aggiornata sui nuovi casi mortali, quasi che, per la prima volta nella storia, l'influenza uccida. Inoltre, non appena le previsioni catastrofiche vengono smentite, ecco giungere la notizia che il virus è mutato, divenendo più pericoloso. I ceppi influenzali mutano, per ovvie ragioni note a chiunque abbia una chiara nozione di cosa sia un virus e come avvenga l'evoluzione darwiniana. Pertanto, la diffusione di un ceppo più virulento dell'influenza, conseguenza adattativa, evolutiva, dell'interazione tra prevenzione e vaccinazione umana e casualità delle mutazioni in popolazioni virali, dovrebbe fare notizia come una nevicata in gennaio. Ovviamente, la razionalità e la consapevolezza non sono valori diffusi in una società fondata sulla superstizione e sulla persistenza dell'ignoranza. L'importante, è tenere la popolazione soggiogata (alla politica e all'economia dominanti) tramite i miti.
Non nego l'importanza della vaccinazione e della prevenzione, contesto il modo con cui questi concetti vengono diffusi.
Se l'influenza deve essere percepita più con le viscere che con la ragione, è ovvio che il suo vettore deve essere caricato di valori emotivi profondi e relativamente semplici. Se la popolazione fosse informata che un virus non è altro che una microscopica macchina biochimica, un aggregato di proteine e acidi nucleici, funzionante solo come replicatore di se stesso all'interno di determinate cellule umane, probabilmente reagirebbe in maniera meno emotiva e, quindi, meno soggiogabile dalla strumentalizzazione mediatica (e di chi la gestisce). Una macromolecola dannosa per l'organismo umano suscita emozioni meno intense che "un perfido animaletto". Se si diffonde la concezione che l'influenza è prodotta da un "perfido animaletto", è evidente che si inculca una reazione emotiva molto più forte, più irrazionale e, purtroppo, più dolorosa. La paura di essere attaccati da un "perfido animaletto", capace di insinuarsi dentro di noi, come un demone, uno spirito maligno volto al nostro dolore, è un potente strumento di propaganda e di persuasione. Il "perfido animaletto" è, ovviamente, un essere con un grado di individualità, intenzionalità, e, quindi, di colpa, molto maggiore di una macromolecola nucleoproteica. Esso, da agente patogeno, diventa soggetto colpevole, "nemico", contro cui non è in atto una campagna medica, bensì, una guerra (e, con essa, la chiamata alle armi, l'ottusa mentalità militare dell'obbedire senza pensare, del sottostare ad una causa suprema!). Inoltre, la sua perfidia, quindi, la sua natura maligna, implicitamente rimanda a entità soprannaturali, mantenendo viva l'obsoleta mitologia delle superstizioni dominanti.
Credete che stia esagerando? Forse... tuttavia, il termine "perfido animaletto" non è una mia invenzione: esso è stato usato in un servizio giornalistico di un notiziario nazionale (e statale), ieri, all'ora di pranzo!
Le parole non sono mai dette a caso.

domenica 15 novembre 2009

PUNTO PUNTO TRATTINO IN MEZZO PARENTESI APERTA

sabato 14 novembre 2009

L'infelicità di un albero che vorrebbe volare


Ogni autunno, l'albero si deprime e rattrista. Ripensa all'ennesima estate perduta, si illude di una prossima primavera che potrebbe non giungere.
La sua scorza tradisce il suo animo.
La stupidità è la recidività di fronte ad errori sempre identici, reiterati a causa dell'ottusità, ottusità alimentata a sua volta da un duplice difetto congenito chiamato arroganza ed orgoglio: se accettasse i suoi limiti, con tutto ciò che comporta, l'albero non si illuderebbe di poterli superare, e non ripeterebbe sempre la stessa sequenza di errori.
Se non è nato con le ali, ma anzi, ha delle vistose radici infisse nel terreno, rugose nodosità che l'inchiodano al suolo, non ha senso soffrire se il vento non ha alcun interesse a sollevarlo in aria. 
Vano è soffrire per ciò che si è. 
Il fatto che ad altri esseri, privi di fusto, incapaci di produrre fiori e frutti, ma nati, per caso, con le ali, il vento conceda senza problemi, dubbi o titubanze di librarsi senza tutto l'immane sforzo che invece l'albero deve esercitare anche solo per godere della brezza, non fa che confermare questa realtà.
Triste condanna di un albero innamorato del vento.

giovedì 12 novembre 2009

Certe sere, come questa, esiste solo una cura dalla propria voce: il sonno.
Buonanotte a chi, come me, non ha voglia di sentire la propria voce saturare il vuoto, almeno per questa sera.

Dialogo (demenziale) sopra i massimi siti di ominidi africani

Tavola di J. Matternes raffigurante l'evento di Laetoli

Questo dialogo tra due ominidi nacque ai tempi dell'università. Il primo incontra il secondo, gli chiede dove vada, e lo esorta a restare dove si trova.

Ominide A: "Omo!"
Ominide B: (si ferma)
Ominide A: "Ol-du-vai?"
Ominide B: " A-dar!"
Ominide A: " A-far?"
Ominide B: "..."
Ominide A: "L'(a)e to' lì!"

mercoledì 11 novembre 2009

Jennifer


"Jennifer" è il nome di questa tavola, raffigurante un Parasaurolophus.
Non chiedetemi il perché del nome "Jennifer". Ammesso che ce ne fu uno sensato, l'ho dimenticato. Il tratto è rapido e netto, una mano decisa, ispirata. L'osservatore più attento noterà che manca una zampa posteriore, appena accennata nel contorno. Jennifer è un'opera incompleta. Nacque come ispirazione di un pomeriggio, e si completò (tranne la zampa mancante) in poche ore. Era un periodo magico, veramente ispirato, quello in cui nacque Jennifer. Oggi non riuscirei nemmeno ad abozzare la sagoma. Non sento quel genere di ispirazione, non pulsa alcuna scintilla frenetica che guida la mano, plasma l'immagine sulla carta prima ancora che la matita la sfiori, anima le ore della creazione. Gli antichi reificarono questa miscela di impulsi e passioni, di lucida elaborazione carica di vitalità, quasi autonoma emanazione di uno spirito demoniaco infuso nella mente, col nome di Musa. C'era una Musa in quei giorni? Un mix di illusoria negazione del futuro, di inconscio oblio del passato, quella era la Musa. Ingenuità e stupidità gioiosa, fine a sé stessa.
Dopo di allora, si è spento il sole. Che fine abbia fatto la Musa, non so. Forse, ma non riuscirei ad accettarlo completamente, non è mai esistita, aldilà della mia pazzia di quei giorni, o forse, esiste, e si è stancata di questo misero mortale. Ha giocato per qualche tempo con le sue membra, con la stessa noncuranza con cui noi trastulliamo un nuovo balocco che pare soddisfare l'estro del momento, forse, con la stessa cecità con cui il balocco si lascia ammaccare.
Poi, ha smesso di vederlo, per limitarsi solo a guardarlo.
Infine, non l'ha guardato più.

domenica 8 novembre 2009

Dubbi

Forse, devo iniziare a dubitare veramente di me stesso.
Forse, la contraddizione tra miei "valori" e realtà dei fatti si risolverebbe smettendo di avere quei valori.
Non so. Empiristicamente, dovrei aver accumulato sufficienti cicatrici da ricavarne un'esperienza generale, una "legge". Il fatto che non la condivida, perché contraria ai miei "valori", non la rende meno "reale".
I valori erano solo favole?
Smettere di credere in "draghi e cavalieri, principesse e..." cose del genere?
Forse, ma come alternativa è deprimente.

sabato 7 novembre 2009

Nobiltà e mediocrità

La vera nobiltà ed eccellenza non sta nell'evitare di sbagliare, perché la possibilità dell'errore è insita nell'agire, bensì, nell'ammettere che l'errore poteva essere evitato, nell'impegnarsi a non ripeterlo, nel migliorarsi.
La vera mediocrità non sta nel commettere errori, bensì, nel giustificarsi del proprio errore citando gli errori altrui, nel mostrare che altrove è stato fatto peggio.

giovedì 5 novembre 2009

Vota il tuo paleontologo di finzione preferito


Pak del blog Pakozoico ha aperto un curioso ed interessante sondaggio tra i suoi lettori, per eleggere il paleontologo di finzione (tratto da romanzi, film o serie televisive) preferito. Io ho votato. Fatelo anche voi, visitando il suo blog.

mercoledì 4 novembre 2009

Quello che vedo dietro un crocifisso in una scuola pubblica

La recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, a favore di una cittadina italiana che chiedeva la rimozione dei crocifissi dalla aule scolastiche, e la reazione "contrariata" della maggioranza dei politici (e probabilmente, dei cittadini) italiani di fronte a questa sentenza non fa che confermare ciò che mi appare sempre più chiaro: l'Italia non è uno Stato laico, nè veramente democratico.
Molte delle argomentazioni dei critici a questa sentenza sono palesemente demagogiche, infarcite di parole quali "popolo", "tradizioni", "radici", molto efficaci nel colpire le viscere, grazie alla loro fumosa ambiguità, ma poco stimolanti per la razionalità.
Non capisco perché in uno Stato dichiaratamente non teocratico ed aconfessionale, quale è l'Italia, debbano essere presenti simboli di una religione all'interno degli edifici pubblici. Il fatto che quei simboli abbiano un valore (importante, non lo metto in dubbio) per la maggioranza dei cittadini, non giustifica la loro presenza in edifici che sono rivolti a TUTTI e non solamente alla maggioranza. Io sono ateo, ed il crocifisso non mi rappresenta alcunché, se non la storia della religione cristiana. Dato che un edificio pubblico non è un luogo di culto cristiano, né un museo della religione cristiana, la presenza del crocifisso è inutile. Essa è una violenza della maggioranza nei confronti delle minoranze, perché inculca l'idea che lo Stato di tutti sia lo Stato solo della maggioranza. Eppure, si presume che tutti i cittadini siano uguali davanti allo Stato, e, quindi, egualmente rappresentati negli edifici statali. Il fatto che il crocifisso sia "anche" simbolo della storia italiana, oltre che della religione dominante, non giustifica la sua presenza negli edifici pubblici. La croce non è un simbolo dello Stato Italiano: perché dovrebbe essere affissa in edifici dello Stato? Allo stesso modo, nessun simbolo ideologico e religioso dovrebbe essere presente in edifici statali. La mia critica non è al cristianesimo, né alle religioni, ma all'abuso del concetto di "maggioranza" in contesti dove esso è irrilevante. La "maggioranza" non ha diritti di rappresentanza privilegiati negli edifici pubblici, nei quali ogni individuo e gruppo ha uguale diritto di essere rappresentato. All'alternativa irragionevole di esporre i simboli di tutti, preferisco la concezione laica di esporne nessuno.
Quanti dei critici della sentenza hanno ragionato sul significato profondo di questo episodio?
Sentire le parole di un religioso che, probabilmente in buona fede, si sconcerta per la rimozione dei crocifissi mi rattrista molto. Le sue affermazioni secondo cui il crocifisso è un "simbolo di pace ed amore universale" sono false: il crocifisso non è un simbolo universale, rappresenta pace ed amore solo per i cristiani, non per tutti. L'opinione atea, islamica, ebrea, buddista, ecc.., non ha valore in Italia? Egli, con le sue parole, esprime l'arroganza di chi non può accettare posizioni e concezioni diverse dalla sua, e che rivendica, senza diritto, un primato della sua religione in un ambito, quello dello Stato, che non gli compete.
Rimuovere i crocifissi non è attaccare i cristiani, bensì, difendere tutti.
Perché una scuola pubblica dovrebbe esporre simboli di una parte (anche se maggioritaria)? Gli altri non hanno diritto di sentirsi rappresentati? Devono crescere con la convinzione di essere cittadini di seconda categoria, non rappresentati dallo Stato? Perché, cari difensori del crocifisso, questo è il prodotto della vostra arrogante concezione totalitaria. Creare divisione e discriminazione dove invece dovrebbe essere coltivata l'uguaglianza ed il valore del pluralismo.
Lo Stato è di tutti i cittadini, non della maggioranza. Oggi la maggioranza è cristiana, ma in futuro potrebbe essere atea, oppure di un'altra religione. Chi oggi è maggioritario, potrebbe in futuro non esserlo più. La vostra concezione totalitaria, in quel contesto, potrebbe danneggiarvi, discriminandovi ed emarginandovi dove, invece, dovreste essere tutelati dallo Stato.
Lo Stato laico, aconfessionale e garante di tutti, al di sopra di simboli e religioni, sarà sempre presente per difendervi, indipendentemente dal fatto che siate o no in posizione maggioritaria.