lunedì 29 settembre 2008

Archetipi, Baupläne ed altre inutilità zoologiche - Prima parte

L’effetto più sconvolgente del darwinismo non è la teorizzazione del cambiamento evolutivo, dato che tale concetto era già stato proposto da illustri filosofi e scienziati precedenti. Ciò che rende la teoria di Darwin così blasfema ed inaccettabile a molti (anche oggi) è che essa propone una spiegazione totalmente naturalistica ed assolutamente plausibile per l’esistenza della grande diversità vivente, una spiegazione che non ha bisogno di alcuna base ideale di tipo platonico o religioso. Prima di Darwin, l’unica spiegazione sensata dell’esistenza di innumerevoli individui di una stessa “specie” era che essi fossero tante differenti versioni materiali di un “tipo”, od “idea” o “modello” di origine puramente mentale (e quindi, implicitamente, richiedevano l’esistenza di una Mente Divina che le avesse ideate), quindi imperfette e soggette ad accidentali deviazioni dall’archetipo divino. Il darwinismo invece riconduce la molteplicità degli individui ad un meccanismo puramente naturale, ovvero, il fatto che ogni individuo è una copia approssimata di uno o più individui progenitori: tanto più due individui sono strettamente imparentati, tanto più essi tenderanno ad assomigliarsi. Pertanto, la somiglianza tra me e mio fratello è, ovviamente, la conseguenza del fatto che abbiamo un numero di progenitori in comune più grande di quello che entrambi possono avere con il Re di Spagna, con la cagnetta Laika (che riposi in pace), con il Tyrannosaurus “Sue” (...), o con l’olotipo di Zhea mais. Data la straordinaria semplicità dell’idea darwiniana, nonché l’alto numero di fenomeni che essa spiega, non stupisce che abbia avuto un enorme successo; né sorprende che per molti essa sia insopportabile, dato che scalza altre spiegazioni metafisico-religiose dal consolidato piedistallo di “necessità esplicativa per la vita”.

Esiste, tuttavia, un luogo della biologia che, apparentemente, resterebbe immune dal potere esplicativo dell’idea darwiniana, un luogo nel quale sembrano essersi arroccati, cocciutamente, gli ultimi difensori dell’obsoleta idea archetipico-religiosa. Come vedremo, tale arroccamento è sostenuto solamente dall’ignoranza di chi si è insediato indebitamente in un territorio che non gli compete più, non certo dall’apparente incapacità del darwinismo di spiegare le evidenze. Tale luogo è il Dominio della Macroevoluzione, il risicato Risiko dei Cladi di ordine superiore, in particolare, le alte sfere della Tassonomia abitate da Classi e Phyla. Come spesso sostengono gli antidarwiniani, la teoria evoluzionista potrebbe anche (e benissimo) essere valida per la “microevoluzione” (i processi di modificazione nel tempo dei pool genetici nelle popolazioni), ma non sarebbe assolutamente in grado di spiegare il passaggio a nuove specie, né, sopratutto, l’esistenza di entità così differenti come i grandi Phyla dei viventi, come i Molluschi, gli Artropodi, ovvero, non spiegherebbe la “macroevoluzione” (tutto ciò che avviene alla scala tassonomica superiore alle specie).

Primo tipo di errore: “Dato che ogni figlio appartiene alla stessa specie del padre, allora non può mai avvenire il passaggio ad una nuova specie”.

La prima obiezione (il passaggio da una specie ad una successiva), oggetto del resto del post, è facilmente risolvibile in base alla stessa logica di scala che usiamo per affermare che ognuno di noi è un individuo reale e non un’appendice della propria madre (nella seconda parte mi dedicherò ai Phyla e alle Classi). Partiamo da un esempio che tutti possono sperimentare (se hanno un minimo di pazienza): prelevate un campione di acqua da uno stagno e osservatela al microscopio. Se avrete fortuna, osserverete alcuni microrganismi, ad esempio i classici parameci da lezione di biologia. Da bravi organismi, i parameci tenderanno a riprodursi ogni qual volta le condizioni ambientali lo permetteranno: ciò è inscritto nel loro genoma, che essi hanno ereditato dai loro progenitori, lo stesso genoma che, se non avesse al suo interno delle istruzioni che inducono alla duplicazione del paramecio, si sarebbe dissolto milioni di anni fa con gli individui che lo portavano. Tornando al paramecio, osserveremo che esso inizierà a duplicarsi, fino a separarsi in due parameci distinti, secondo un meccanismo che dura alcuni minuti. In altri microrganismi, invece di dividersi in due figli, si può osservare l’individuo-genitore che produce una gemmula, la quale si stacca dal genitore per vivere di esistenza propria. In tutti questi casi, abbiamo un individuo di partenza che dopo una fase più o meno breve di tempo subisce una trasformazione, al termine della quale abbiamo due individui distinti, oppure abbiamo un individuo quasi identico al precedente più un piccolo individuo figlio. Dato che alla scala dei parameci e degli esseri umani il processo avviene con gradualità e continuità, e sebbene durante la fase intermedia ci possa essere scambio di materiale interno tra le due parti in scissione, nessuno nega che alla fine del processo avremo almeno un individuo nuovo, generato dal precedente. Noi riconosciamo che il processo ha generato un nuovo individuo perché al termine di tale processo il genitore ed il figlio sono distinti e non si possono più combinare per rigenerare l’individuo di partenza. Non ha alcuna importanza se le parti interne di uno dei due possono passare temporaneamente nell’altro durante la fase di scissione: una volta che la scissione è avvenuta, i due individui sono distinti, e siccome prima ne esisteva uno solo, dobbiamo concludere che il processo ha prodotto un nuovo individuo. Ora, sostituite i millenni ai minuti, gli individui di microrganismo alle specie, e, sopratutto, sostituite la parete cellulare con i meccanismi di isolamento riproduttivo ed otterrete un processo di speciazione evolutiva. Esattamente come è ridicolo dubitare sulla validità del concetto di individuo usando a pretesto la fase di scissione (quando i due microrganismi hanno ancora in comune parte della parete cellulare) per affermare che non può esistere la riproduzione (dato che la durata della scissione è relativamente breve rispetto alla durata media dell’esistenza degli individui), così è ridicolo soffermarsi sulla breve (in termini geologici, anche se lunga alla scala dei tempi umani) fase di speciazione (quando la popolazione-figlia sta separandosi geneticamente dalla specie-madre, e si stanno formando dei meccanismi di isolamento riproduttivo tra la nuova specie e quella antenata) per mettere in dubbio la validità dell’evoluzione di una nuova specie da una progenitrice. Un critico potrebbe dire che le molecole di DNA (o gli organelli cellulari) esistenti nell’individuo figlio sono state copiate da DNA del genitore, e che non esiste un momento preciso in cui si può dire che il DNA smette di essere del genitore e diviene del figlio. Tuttavia, tale critica compie un errore di scala, assumendo che una parte (il DNA) definisca l’individualità complessiva (del microrganismo). Allo stesso modo, anche se è vero che ognuno di noi può essere legato con una serie di eventi riproduttivi a ritroso nel tempo fino all’origine degli organismi, ciò non significa che allora tutti quei miei progenitori rievocati da quegli eventi debbano essere membri della mia specie! Non commettete l’errore di scala citato sopra: gli individui singoli, e le catene a ritroso di individui genitore-figlio, NON definiscono un legame di appartenenza ad una specie, esattamente come la catena successiva di duplicazioni di molecole di DNA a ritroso nel tempo NON implica che il paramecio figlio ed i suoi predecessori siano lo stesso individuo.

Spiegazione tecnica: una nuova specie si forma quando una popolazione di una specie originaria ha mantenuto un isolamento riproduttivo con il resto della specie originaria sufficientemente lungo da sviluppare (spesso casualmente) dei meccanismi di isolamento riproduttivo tali da impedire un rimescolamento genetico tra la popolazione (che ora è una nuova specie) ed il resto della specie originaria.

Nella prossima parte smonterò le obiezioni alla validità del darwinismo per spiegare le grandi categorie tassonomiche.

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