martedì 5 febbraio 2008

Il più grande dei più grandi... ma meno grande

In questi giorni mi conviene dedicarmi ai dinosauri. Ho tre articoli al MSMN in fase di revisione e un paio di altri in gestazione. Inoltre, i membri del clade meno inclusivo comprendente Triceratops e Passer sono uno dei più potenti sollievi contro le contorte (forse inutili) elaborazioni indotte da altri bipedi (e mi fermo qui...).

L’estrapolazione è un’arma pericolosa, sopratutto se effettuata in ambiti nei quali non esiste l’invarianza di scala lineare. Detto in parole semplici, stimare un valore molto al di fuori di un range noto è un azzardo, oltre che una presuntuosa miopia. Ciò è valido sopratutto per animali estinti basati su resti frammentari. In questo caso specifico, abbiamo un esempio massimo, sia nei contenuti che nella sostanza.

Non giriamoci intorno troppo: i dinosauri piacciono (anche, non solo) per le dimensioni straordinarie (per gli standard olocenici) raggiunte da molte linee evolutive. Paradossalmente, i più grandi in assoluto sono spesso i meno preservati (dovrebbe sembrare il contrario...) e ciò ha generato gare a stimare le taglie di esseri noti solo su pochi e scarsi residui (il Sarmatese avrebbe ben da dire in proposito, su un teropode a lui caro e noto...). Al culmine di questa tendenza sta quello che, almeno tra gli addetti ai lavori, è noto come il (probabile) dinosauro più esagerato, colossale e smisurato di tutti i tempi (almeno in lunghezza, ma vedremo in fondo che non è detto che lo sia in massa). Paradosso dei paradossi, esso non è noto per uno scheletro, né per un osso, bensì solo per una descrizione (di un solo osso), risalente alla fine del XIX secolo. I dettagli di questa (ri)scoperta sono ben descritti in Carpenter (2006) e non mi soffermerò oltre. L’animale in questione è chiamato Amphicoelias fragillimus, un probabile sauropode diplodocide. I diplodocidi sono probabilmente i dinosauri più lunghi (ma non i più massicci, come accennato sopra): lo scheletro meglio conservato è Diplodocus carnegiei, che con i suoi 26 metri è lo scheletro articolato più lungo presente nei musei (una copia sta anche in Italia, a Bologna). (NB: esistono ricostruzioni di dinosauri più lunghi, ma in genere sono basate su pochi resti reali e molti ricostruiti).

Tornando ad Amphicoelias... basandosi sull’unica descrizione dell’unico osso noto (una vertebra dorsale), Carpenter stima che l’animale, rapportato con i diplodocidi noti, dovesse misurare 58 metri, per oltre 120 tonnellate di massa! Un meraviglioso mostro supercolossale, al limite teorico biomeccanico per un animale terrestre! Stime precedenti avevano valutato un margine di misura più vago (40-60 metri), tuttavia, ed è ovvio (data l’umana tendenza all’esagerazione), la stima di 58-60 metri è quella che circola con maggior insistenza in rete.

Ciò che rende strabiliante questo valore è la sua lontananza dalle successive maggiori stime per i restanti diplodocidi. Supersaurus e Diplodocodus hallorum (ex Seismosaurus), basati su resti più completi di quelli di Amphicoelias, sono stimati entrambi sui 33-35 metri, ovvero un 30% più lunghi di D. carnegiei. Ma se Amphicoelias fosse veramente di 60 metri, sarebbe del 70% più grande di Supersaurus e D. hallorum e oltre il doppio del D. carnegiei! Ciò non è teoricamente impossibile: il mitico Gigantoraptor pubblicato l’anno scorso ai tempi delle Seconde Guerre Viscerali, è 3-4 volte più lungo dei suoi cugini oviraptoridi.. tuttavia, questa stima è evidente, perché basata su numerosi resti articolati... qui, invece, abbiamo solo un paio di pagine di un articolo di un secolo fa, sulla base del quale stimare un animale incredibilmente grande...

Qualcosa non torna, almeno per me.

Ho deciso di stimare Amphicoelias partendo direttamente dall’unica immagine nota. La vertebra non è completa, quindi le parti mancanti sono state ricavate da altri diplodocidi. Quello che ho notato subito ricostruendolo, è che le proporzioni risultanti si discostavano da quelle delle altre specie usate. Ciò indica che probabilmente l’animale aveva una morfologia vertebrale particolare, derivante probabilmente dai vincoli morfologici imposti dalla sua taglia gigante. Sulla base di questa osservazione, una volta ricostruita la vertebra, ho deciso di usare solamente la dimensione stimata del centro vertebrale (e non quella dell’intera vertebra) per risalire alle sue proporzioni rispetto agli altri diplodocidi: il centro vertebrale, con la sua forma cilindrica, è probabilmente più lineare rispetto al resto della vertebra, che è più elaborato e complesso, nelle proporzioni tra i vari diplodocidi.

Sulla base di queste misurazioni, mi risulta un diplodocide che è sì gigantesco, ma non esageratamente gigantesco. Il “mio” Amphicoelias è lungo “solo” 45 metri, non 60 (qui sotto, in rosso, confrontato con la versione da 60 m di Carpenter, in nero, assieme ad un uomo e Diplodocus carnegiei. Immagine modificata da Carpenter, 2006). La ricostruzione di Carpenter, e la sua stima, si basavano sulla semplice estrapolazione lineare delle vertebre di diplodocidi noti fino alle dimensioni della vertebra di A. fragillimus, senza considerare le eventuali deformazioni non lineari delle parti della vertebra ad esclusione del centro (allometrie) dovute alla scala gigantesca dell’animale.

Con 45 metri di lunghezza e 60 tonnellate di peso, la taglia proposta qui mi pare più ragionevole dell’altra stima... (nota: Argentinosaurus resterebbe il più fornito nel frangente della massa...).

Speriamo che in futuro nuovi resti possano verificare (o falsificare) queste estrapolazioni.

Bibliografia:

Carpenter, 2006. Biggest of the big: a critical re-evaluation of the mega-sauropod Amphicoelias fragillimus Cope, 1878. In Foster, J.R. and Lucas, S. G., eds., Paleontology and Geology of the Upper Jurassic Morrison Formation. New Mexico Museum of Natural History and Science Bulletin 36.

7 commenti:

  1. Chissa' cosa si nasconde nei fondali marini,...comunque la tua osservazione e' piu' attendibile.

    RispondiElimina
  2. Ciao,
    non ho capito una cosa, che immagino mi potrai spiegare al volo.

    Nella slide 23 di questa presentazione: http://www.ge.infn.it/~prati/Fisica%20applicata%20per%20scienze%20dei%20materiali/5_carbonio14&TL.pdf
    (la cui affidabilità accademica immagino sia fuori discussione) è scritto chiaramente (sul fondo) che non è possibile utilizzare isotopi radioattivi diversi dal carbonio 14 per datare materiale organico.

    Domanda: ma davvero di norma non usate mai metodi basati sugli isotopi (come l'argon) per la datazione di dinosauri o altri animali estinti? se sì, come mai questa prassi non entra in contrasto con quanto scritto nella slide di cui sopra?

    sto solo cercando di capire, eh!

    Grazie in anticipo,
    F.

    RispondiElimina
  3. Aspe, non ti faccio perdere tempo: qualcuno mi ha spiegato che con gli altri metodi isotopici ci misurate il sedimento nel quale è contenuto il fossile, perché il carbonio 14 per il materiale organico non potreste utilizzarlo.

    Ma quindi la domanda diventa: quanto è valida/sicura l'assunzione che l'età della roccia corrisponda a quella del materiale organico in essa contenuta? esistono casi in cui il gioco non funziona? è un'assunzione che può o non può essere verificata?

    Grazie!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. #1 Francesco, deduco dal fatto che ti poni delle domande su questi temi in base a delle slide di una presentazione piuttosto che consultare la letteratura (in particolare, i testi universitari reperibili in qualunque dipartimento di scienze della Terra), che le tue basi di questo argomento siano molto poche e che quindi ti serva una - seppur breve - spiegazione generale.

      Il materiale organico è, per definizione di "organico", quello contenente molecole organiche. Il Carbonio ha un isotopo radioattivo con un tempo di dimezzamento relativamente breve (alla scala dei millenni), che fa si che l'uso del metodo del C14 non permetta di misurare quantità apprezzabili qualora il processo di decadimento abbia già superato qualche decina di migliaia di anni.

      La stragrande maggioranza dei fossili è formata da materiale che non include carbonio radioattivo (ad esempio, un tronco Triassico silicizzato è formato da silice e non contiene carbonio). Inoltre, un tronco Triassico è stratigraficamente ben al di sotto di qualsiasi strato che, datato col C14, ha un età "apprezzabile" col metodo del C14.

      Nella maggioranza dei casi, quindi, si usano metodi di datazione dei sedimenti, non dei fossili nei sedimenti. Ora, se tu avessi una qualche base di paleontologia e geologia stratigrafica sapresti la differenza tra fossile in situ e fossile che invece deriva da processi di rideposizione. Esistono criteri che permettono di stabilire se e quando un fossile si è depositato nello strato sedimentario prima che questo divenisse roccia: questa disciplina si chiama tafonomia ed è una dei capisaldi della paleontologia.

      In base all'indagine tafonomica, quindi, è possibile sapere se il tal fossile è "entrato" nello strato prima che questo divenisse roccia, oppure è stato "inglobato" dopo che lo strato si è formato. Pertanto, quando si stabilisce che il fossile si è depositato nel sedimento prima che questo divenisse roccia (ad esempio, era un mollusco di un fondale fangoso, la condizione ancestrale dello strato, precedente la sua compattazione e lifiticazione), è conseguenza logica dedurre che il fossile ha un'età non-successiva a quella che si determina dai metodi di datazione del sedimento che forma lo strato.

      Pertanto, qualora sia possibile datare uno strato che sta sopra ed uno che sta sotto un determinato fossile, si conclude che quel fossile si formò nell'intervallo di tempo definito dalle due datazioni.

      Riassumendo:

      - la tafonomia stabilisce se un fossile si è formato assieme allo strato
      - le datazioni con i vari metodi di datazione dei minerali radioattivi permettono di dare un'età ai sedimenti
      - se un fossile è sincrono ad uno strato che a sua volta è intercalato a due livelli databili, allora l'età del fossile è intermedia a quella dei due livelli datati.

      Elimina
  4. #2

    Pertanto, le tue domande
    1) quanto è valida/sicura l'assunzione che l'età della roccia corrisponda a quella del materiale organico in essa contenuta?
    2) esistono casi in cui il gioco non funziona?
    3) è un'assunzione che può o non può essere verificata?

    Si rispondono con:
    1) l'assunzione è sicura tanto quanto lo è l'indagine tafonomica svolta sui fossili in questione. In ogni caso, ripeto, nella grandissima maggioranza dei casi NON c'è materiale organico. La maggioranza dei fossili non sono formati da materiale organico, ma da minerali delle rocce che hanno preso il posto del materiale organico per processi di sostituzione minerale che prendono il nome di fossilizzazione.
    2) Non è un gioco, e non è nemmeno una "assunzione". Si tratta di un'intera disciplina scientifica, frutto di oltre 300 anni di ricerche e indagini, chiamata stratigrafia, che è la base non solo della datazione dei fossili ma anche di buona parte della geologia, della cartografia geologica alla ricerca petrolifera.
    3) Ripeto, NON è un'assunzione verificabile, ma una disciplina molto complessa. E dai miliardi di dollari che girano intorno alla ricerca petrolifera (fondamento energentico della nostra civiltà), si può tranquillamente dedurre che è una disciplina molto robusta e valida. Forse non lo sai, ma la benzina che fa circolare le auto si estrae perché ci sono sedimentologi e paleontologi che in base ai fossili sanno dove conviene estrarre il petrolio, e lo sanno perché le successioni stratigrafiche sono correlate spazialmente e datate temporalmente con grande accuratezza.

    RispondiElimina
  5. Ciao Andrea!

    scusa il ritardo nella risposta!
    Sono molto contento di imparare da te (e da due altri geologi che sto consultando in parallelo) qualche segreto in più di quest'arte.

    Vado a risponderti:

    0) mi consola che alla stessa identica domanda fatta a te (copia-incollata) un noto paleontologo italiano abbia risposto via mail (e se anche tu mi dessi un indirizzo email, francamente sarebbe più comodo, eh...):

    la risposta è piuttosto semplice, dipende cosa dati.

    "Le datazioni argon/argon si fanno sul sedimento nel quale vengono trovati i reperti fossili. Le datazioni al carbonio si fanno sul fossile stesso.

    In altre parole, se trovo un osso fossile e voglio datarlo, posso prelevare dall’osso un campione e datarlo con il C14. Se però il reperto è più vecchio del limite di datazione del C14, allora non ottengo nulla. Per avere un età devo allora datare, se possibile, il sedimento che lo contiene."

    Perlomeno vuol dire che il fatto che io abbia tirato in ballo il carbonio 14 non è stato completamente a sproposito o un errore inaccettabile... ma piuttosto che chiarire l'equivoco e perché mi abbiate dato due risposte molto diverse, mi interessa di più adesso fare qualche altra domanda rapida e specifica.

    1) La capacità dei geologi di *alzare molto sensibilmente la probabilità* di trovare petrolio non implica inevitabilmente una totale affidabilità delle datazioni. Per identificare dove si trova il petrolio basta "azzeccare" (non è poco, lo so...) la datazione relativa, non occorre aver "azzeccato" anche quella assoluta, giusto?

    2) la tafonomia è una scienza qualitativa, non quantitativa, giusto? che ha quindi inevitabilmente un tasso di errore molto più grande comparato con quello, per esempio, di una misurazione di fisica quantistica, corretto?

    3) le datazioni della cronostratigrafia vengono aggiornate con grande facilità di più o meno 5 milioni di anni, perché viene detto (giustamente) che 5 milioni di anni confrontati con le scale geologiche sono intervalli di tempo molto ridotti. Ma quando parliamo allora della datazione associata ai fossili umani fra i 100.000 anni e i 2 milioni di anni, ciò implica che inevitabilmente la banda di errore associata è sempre di 5 milioni di anni? è l'errore relativo percentuale (=banda di errore/valore misurato) che rimane grosso modo costante al variare della misurazione oppure (come mi sembra più naturale) l'errore assoluto (=banda di errore associata alla misurazione a prescindere dal valore)?

    4) se si forma un fossile, vuol dire che la roccia si è formata molto rapidamente, cioè prima che il fossile si degradasse completamente (che, per le scale di tempi geologici, è veramente un istante). Ma se l'intero strato roccioso è omogeneo ed all'interno trovo un fossile, e la tafonomia conferma che il fossile appartiene "davvero" a quello strato, ciò vuol dire che l'intera roccia omogenea (che potrebbe essere estesa anche molto al di sopra e molto al di sotto del fossile) se è omogenea dev'essersi formata molto rapidamente. Ciò favorirebbe, in quei casi specifici in cui queste ipotesi sono verificate, un'altissima probabilità di un evento rapido ("catastrofico") invece di una formazione lenta e graduale. Corretto?

    Non mi sorprendo se faccio errori in questo campo che non è il mio. Non vedo l'ora di fare completamente pulizia di tutte le illazioni errate che si affollano nella mia mente da tre-quattro mesi, in modo da avere pochi concetti ben chiari e puliti... diciamo al massimo entro la fine del 2014 ! :-D

    Grazie per la pazienza e l'aiuto,
    ciao

    F.

    RispondiElimina
  6. Puoi ignorare la 3 e la 4... ma perché non parlate di più dei golden spike, i GSSP? chiariscono moltissime cose!

    diciamo che quella per cui mi sarebbe davvero utile una risposta è la 2...

    RispondiElimina

-I COMMENTI ANONIMI SARANNO ELIMINATI