Le categorie ultrazionali non devono mai essere prese come dei comparti stagni ed impermeabili. In genere, esse sono più simili a gradazioni in un continuum multipolare.
In questi giorni mi è capitato spesso di parlare con amici non-paleontologi delle mie attuali ricerche al MSNM. In genere, sono anch’essi dei naturalisti, quindi hanno la forma mentale idonea per comprendere di cosa parlo. Nondimeno, noto che spesso c’è stupore per il fatto che si possa ricavare così tanta informazione (al punto da poter azzardare di istituire una nuova specie) da un solo individuo o, addirittura, da un unico osso. In effetti, in zoologia si dispone spesso di intere popolazioni da studiare, pertanto si tende ad effettuare una valutazione statistica su grandi moli di dati (le “robuste serie di dati” dei vari prof di ecologia attuali e di alcune esogene biologhe future... ;-)...). In paleontologia non siamo così fortunati: spesso abbiamo qualche frammento sparso, a volte ossa intere, raramente esemplari completi. Tuttavia, abbiamo fatto di necessità virtù, allenandoci alla minuzia, diventando osservatori ultrafini.
Credo che in questo io sia “preadattato” mentalmente e morfologicamente. O meglio, alcune mie caratteristiche (presenti fin da piccolo) sono vantaggiose exaptations per la carriera paleontologica.
Ho la fortuna di avere una vista eccellente. Alle visite oculistiche non ho mai sgarrato un test, e non conosco nessuno che abbia una vista superiore alla mia (come sempre, ciò può anche essere interpretato dicendo che conosco solo dei miopi, il che è plausibilissimo, anche se statisticamente improbabile). La vista è il principale senso dei primati, e nell’uomo è il principale mezzo di osservazione e costruzione di modelli mentali. Non so come altri vedano il mondo, tuttavia sono sconcertato da come sia grossolano vedere il mondo con gli occhiali da vista tarati per altri (ovviamente, essi sono tarati per migliorare quella difettosa, non per consentirla a chi ha la vista ok): se la deformazione ed opacità che mi provoca il provare un paio di occhiali da miopi è una parziale misura attendibile di come essi vedano SENZA occhiali, allora devo concludere che qualsiasi difetto visivo non riconosciuto o corretto produce in colui che ha questa carenza una visione del mondo più grossolana e sfuocata di quella “ideale”. So che sto esagerando, tuttavia, provate a considerare questo: se la nostra visione mentale del mondo deriva innanzitutto dalla nostra percezione visiva, è indubbio che chi ha una vista carente E NON LO SA riterrà che il mondo che gli trasmettono gli occhi sia una fedele riproduzione del “reale”, mentre, come dimostra l’esistenza di persone con vista migliore, ciò non è. Da una vista (relativamente) grossolana discende una interpretazione (relativamente) grossolana del visto. Ciò non significa che la nostra visione del mondo sia una conseguenza lineare ed esclusiva della vista: un cieco ha anch’egli una visione del mondo, costruita probabilmente intensificando la finezza gli altri sensi (esattamente come la scarsità di dati del paleontologo rispetto ad uno zoologo gli impone di affinare la discriminazione dei dettagli). Ad esempio, mio padre, che è miope, distingue la varie pecore che alleva con mio zio su in collina (Sardo Doc, non un bastardo come me...) solamente dal diverso rumore del campanaccio che ciascuna ha al collo!
Ovviamente, questo discorso è relativo, e anche quelli come me che hanno una vista ottima nondimeno non hanno la vista “assoluta”, né una rappresentazione “perfetta” della “realtà”: ad esempio, me la sogno la vista di un uccello rapace, capace di discriminare dettagli a distanze per me proibitive e di distinguere colori che io nemmeno posso immaginare (è così: semplificando, la nostra vista sta a quella di un uccello come un grigio oggetto bidimensionale sta a uno colorato tridimensionale). Tuttavia, nei limiti della possibilità umana nota, la buona vista è un vantaggio per lo sviluppo di quelle facoltà mentali che prevedono molti dettagli per elaborare modelli soddisfacenti sul mondo che ci circonda. Buona vista, ma anche un sistema mentale capace di elaborare e distinguere i dati in entrata. In questo, probabilmente, la predisposizione genetica e l’esperienza/abitudine sono equivalenti come importanza. Da quando sto elaborando la Megamatrice la mia capacità di discriminare i dettagli nei fossili di teropodi è cresciuta di pari passo al numero dei caratteri. Me ne accorgo riguardando determinati esemplari che non osservavo da tempo: di colpo, essi appaiono molto più dettagliati e significativi di come li ricordavo, ed aspetti che prima nemmeno avevo notato ora spiccano in tutta la loro evidenza. Eppure, essi erano presenti anche l’ultima volta che osservai l’esemplare. L’oggetto non è cambiato, né l’occhio che lo osserva (anzi, probabilmente è un po’ invecchiato, ovviamente...): è cambiata la mente, più ricca, attenta e consapevole.
Ciò è vero in qualsiasi ambito in cui operi la vista: ad esempio, l’abitudine a giocare a calcio di molti miei amici permette loro di vedere cose che io non so discriminare... quando e come diavolo avviene un fuori gioco?
Vista e consapevolezza sono probabilmente strutture simbionti nel cervello: l’affinamento di una intensifica la finezza dell’altra.
L’importante, sia nella disciplina naturalistica, ma sopratutto nella vita quotidiana, è non adagiarsi mollemente nella nostra relativa grossolanità, per puntare sempre Oltre.
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