Nel precedente post del Doctor Kause avevo accennato alla forte componente mitologica che connota i dinosauri nell’immaginario popolare post-moderno, e sul fatto che, spesso, i concetti paradigmatici della paleontologia tendano a persistere nella cultura scientifica (veicolati dalla divulgazione) per almeno una generazione in più rispetto a quanto sopravvivano nel ristretto ambito di chi studia direttamente o si mantiene costantemente aggiornato sui progressi della ricerca. Tuttavia, sarebbe miope e fuorviante credere che i ricercatori siano esseri sovrumani totalmente votati alle evidenze e privi di impostazioni preconcette. Essi stessi sono vittime dei propri umanissimi pregiudizi (qui il termine è usato nell’accezione più vasta e neutra) e tendono, più o meno consciamente, a seguirli e a coltivarli. Ciò, di ritorno, tende a produrre un pericoloso substrato di mitologia, il quale, crescendo all’interno della comunità scientifica, rischia di essere sottovalutato o, peggio, assunto in modo acritico.
Questa è la storia del mio animale preferito, una creatura straordinariamente mesozoica che ha sempre stimolato la mia immaginazione, fin da piccolo (da quando, a 9 anni, ne lessi per la prima volta una descrizione e ne vidi una ricostruzione). Si tratta di uno dei dinosauri più noti al grande pubblico, almeno dal 1993, quando, camuffato sotto il più commerciale nome di un suo parente stretto, divenne, purtroppo, una sorta di emblema della dinosaurologia dell’età dei computer.
Deinonychus (letteralmente "il terribile artiglio") si può considerare, senza esagerazione, la più importante scoperta del XX secolo nell’ambito dei dinosauri. La sua importanza sta nella rivoluzione concettuale che produsse la sua monografia descrittiva, pubblicata nel 1969 dal recentemente scomparso J. Ostrom.
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Le evidenze anatomiche portarono Ostrom a interpretare
Deinonychus come un agile e veloce predatore dal metabolismo elevato, agli antipodi dall’immagine di impantanato errore evolutivo con la quale era riconosciuto tutto il gruppo dei dinosauri. Da allora, questa visione di
Deinonychus non è stata mai smentita dai dati: nuove scoperte hanno irrobustito questo modello, inducendo ad una revisione completa della nostra visione del mesozoico (in particolare, rispetto alla primigenia iconografia - come la tavola qui, la primissima ricostruzione di
Deinonychus ad opera del "pazzo" Robert Bakker- ora sappiamo che
Deinonychus aveva il corpo ricoperto di penne e piume). Se nel Dizionario Ultrazionale "mesozoico" è l’aggettivo superlativo della stima, ciò si deve alla cascata di ricerche e scoperte scaturita dalla descrizione di
Deinonychus. Con la definitiva conferma che proprio i dinosauri come
Deinonychus sono i più stretti parenti degli uccelli (essi sono dei maniraptora -vedi precedente post sui Rettili Glorificati- se non dei veri e propri uccelli, ma questo sarà l’oggetto di un altro post...), il Rinascimento Mesozoico è passato da ipotesi iconoclasta e rivoluzionaria a modello standard, consacrandosi la migliore interpretazione della gigantesca mole di dati oggi in nostro possesso (ed in continua crescita).
Se il mio discorso finisse qui, sarei poco Ultrazionale: con la sola apologia dell’attuale ortodossia mesozoica sarei giustamente catalogabile alla stessa stregua dei fedeli e devoti adoratori delle religioni e delle ideologie, e quindi, sembrerei un bieco ipocrita, che critica il pensiero zelante e fanatico degli altri senza accorgersi del proprio. Anche nella ricerca obiettiva della conoscenza la soggettività umana gioca un ruolo fondamentale, imponendo punti di vista, accentuando impostazioni alternative o precludendone altre, spesso a danno dell’oggettività. Come detto all’inizio, anche gli scienziati sono uomini, e come ogni uomo bramoso di conoscenza, essi sono costantemente sotto il tiro del proprio pregiudizio e tentati dalla caduta nella mitologia acritica (se non, a volte, nel dogmatismo: l’anti-scienza per definizione). Quindi, non dovremmo stupirci ingenuamente se ciò accade, ma nemmeno usare la debolezza (umanità) degli scienziati come pretesto per una critica della scienza come metodo di conoscenza. Dato che questo post vuole rimarcare la potenza (che non è onnipotenza) della scienza, la sua capacità di fortificarsi dall’errore, di avere nel proprio metodo gli anticorpi difensivi contro la tendenza dogmatista, è bene che il commentatore anti-ultrazionale freni la mano e non faccia una prematura obiezione stizzita, già prevista dal Demiurgo.
Tornando a
Deinonychus, in paleontologia esso è ricordato e citato in tre ambiti: come detto sopra per aver indotto la "rinascita mesozoica", nella diatriba sulle origini degli uccelli ed infine per la possibilità che questo animale fosse un predatore sociale, un cacciatore di gruppo. Questa ultima ipotesi si basa sullo stesso ritrovamento originario descritto nel 1969, e su un secondo sito descritto in seguito. Nel primo caso, i resti di almeno 3-5
Deinonychus furono rinvenuti assieme a quelli di un dinosauro erbivoro di taglia media del genere
Tenontosaurus. Nel secondo caso, uno scheletro di un giovane
Deinonychus fu ritrovato tra i resti di almeno 18
Tenontosaurus, assieme ad alcuni denti di altri
Deinonychus adulti. Le evidenze a supporto della socialità predatoria di
Deinonychus parvero dunque così schiaccianti, basandosi appunto su ben due siti che evidenziavano sia la socialità del predatore, sia la tendenza di quest’ultimo a cacciare
Tenontosaurus, da portare non solo Ostrom e tutti gli altri paleontologi a non ipotizzare una spiegazione alternativa, ma anche ad estendere il modello del "branco di lupi" all’interpretazione di molti altri teropodi.
Dalla comunità scientifica, la teoria del "branco" si estese rapidamente all’ambito degli appassionati ed alla cultura popolare. Grazie all’enorme successo di "Jurassic Park", l’ipotesi che
Deinonychus fosse un cacciatore spietato ed efficiente che cacciava in branco (con "tattiche d’assalto ben coordinate!". Addirittura nel film il paleontologo protagonista descrive la modalità di caccia, come se ciò fosse rintracciabile nei fossili... miracoli della celluloide) è diventata dogma divulgativo (nel film di Spielberg è chiamato con il nome di un suo parente stretto,
Velociraptor - qui sotto in una mia tavola che illustra il più straordinario fossile mai trovato: i due "Fighting Dinosaurs" scoperti in Mongolia nel 1971
-, ma posso assicurare da "theropod-watcher stagionato" che il "raptor" del film è
Deinonychus - tralascio i dettagli del perché, se qualcuno li vuole chieda pure).
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L’ipotesi è emotivamente molto forte e suggestiva: oltre che affascinante, essa ben si adatta all’immagine di animali attivi ed evoluti derivante dagli studi anatomici, fisiologici e filogenetici della "rinascita mesozoica". Ma è altrettanto forte "oggettivamente"? Le evidenze che la supportano sono così chiare e incontrovertibili?
Recentemente, due paleontologi hanno criticato il modello del "branco di lupi", e, proprio sulla base di una più attenta analisi scientifica dei dati presenti, e con una dettagliata comparazione con gli animali attuali, essi giungono ad un’interpretazione differente (e probabilmente più corretta) della socialità di
Deinonychus (e degli altri teropodi).
Dato che il modo col quale essi hanno smontato la "favola del branco" è squisitamente scientifico, la tratterò nel dettaglio (calmi, non scappate: lo farò evitando eccessivi tecnicismi!).
Essi fanno notare che attualmente la caccia coordinata tra membri di uno stesso gruppo si osserva esclusivamente in alcuni canidi (lupi e licaoni) ed al più anche in un felide (il leone), mentre è assente nella maggioranza dei mammiferi carnivori e, sopratutto, nei diapsidi (come uccelli, coccodrilli e lacertiliani). Pertanto, come ipotesi di partenza, è più prudente assumere che
Deinonychus (e gli altri teropodi) si comportassero come gli altri diapsidi, quindi non cacciassero come lupi. In mancanza di prove, affermare che essi cacciassero in gruppi coordinati è un’ipotesi superflua.
Ma esistono delle prove che
Deinonychus cacciasse in gruppo? I due siti citati sopra, cosa mostrano? Nel primo, abbiamo i resti di quattro giovani
Deinonychus sparsi tra le ossa di un
Tenontosaurus. L’analisi geologica del sito fa scartare subito l’ipotesi che i resti furono deposti assieme da agenti fisici (inondazioni o trappole naturali). Quindi è plausibile che gli animali morirono assieme. La presenza di quattro predatori con un erbivoro fa subito pensare ad una cruenta battaglia, nella quale i
Deinonychus ed il
Tenontosaurus si uccisero vicendevolmente: ciò, almeno a me, appare molto irrealistico, sopratutto perché nel sito sono presenti alcuni denti di
Deinonychus, apparentemente caduti da animali di taglia maggiore di quella dei quattro scheletri. Molti
Deinonychus (si stima almeno dieci) erano presenti, ed almeno quattro morirono presso il
Tenontosaurus: se fu una battuta di caccia, i predatori dovettero pagarla a caro prezzo. Considerando la rarità con la quale si preservano eventi di caccia nella documentazione fossile, appare molto insolito che un evento apparentemente inconsueto come una battuta di caccia finita con quattro predatori uccisi si sia conservato fino ad oggi: ciò sarebbe plausibile solo ammettendo che un simile tasso di mortalità fosse la norma nelle battute di caccia dei
Deinonychus. Confrontato con i tassi di mortalità nelle battute di caccia osservate oggi, una mortalità simile è spaventosamente alta: anche per chi, come me, non ha problemi a immaginare una spietatissima competizione darwiniana durante il mesozoico (che produsse animali supercorazzati, "fortezze-viventi" e predatori giganteschi armati di tutto punto), ciò sembra molto improbabile, e suggerisce di cercare scenari alternativi più credibili. A parte ipotesi poco realistici (come quella che vede i quattro
Deinonychus schiacciati dal corpo del
Tenontosaurus ferito mortalmente), la spiegazione può derivare osservando il comportamento di diapsidi attuali che banchettano su una stessa grande carcassa. Sia gli uccelli, come avvoltoi, corvidi e vari tipi di rapaci, sia i varani, quando si aggregano su una carcassa tendono a combattere tra loro per stabilire la gerarchia per lo sfruttamento della preda, sia tramite comportamenti ritualizzati, sia con vere e proprie lotte. In questi casi, gli esemplari più grandi e maturi tendono ad avere la meglio, e, quando lo sconfitto è anche ferito mortalmente, i combattimenti possono sfociare nel cannibalismo.
Il cannibalismo è più diffuso di quanto si pensi di solito, ed è uno dei principali fattori di equilibrio demografico tra i predatori diapsidi, sia uccelli che coccodrilli che lacertiliani.
A questo proposito, è interessante notare che i quattro esemplari di
Deinonychus sono tutti dei giovani: furono le vittime dei combattimenti contro gli adulti per la gerarchia per il possesso della carcassa? Inoltre, proprio in uno dei quattro malcapitati di sopra è stato rinvenuto all’interno dell’astuccio di tendini che ricopriva la coda (caratteristico della famiglia di
Deinonychus) l’artiglio del piede di un altro
Deinonychus, a riprova che questi teropodi combattevano con membri della loro stessa specie (evidentemente anche l’altro
Deinonychus, proprietario dell’artiglio, deve aver fatto una brutta fine). Se questo scenario può sembrare esageratamente cruento, esso è comunque più plausibile di quello che vede i quattro morti durante una battuta di caccia di gruppo, perché ha degli analoghi attuali che fanno da plausibile metro di paragone. Chiunque abbia visto la calca di avvoltoi sopra un grosso erbivoro morto (spesso composta da decine di esemplari stipati in una massa di penne e becchi esaltata dal sangue) avrà notato con quanta aggressività gli esemplari più grandi scaccino i più piccoli: estrapolando questi comportamenti su animali pesanti anche settanta chilogrammi, armati di tre artigli a falce su tutti i quattro arti e da decine di denti seghettati, non sorprende che gli scontri potessero risultare fatali per gli esemplari più giovani o indeboliti. L’analisi degli scheletri dei quattro
Deinonychus è un ulteriore indizio che questa sia la strada interpretativa più corretta: non tutte le ossa del corpo sono presenti, ma principalmente quelle delle parti anatomiche dotate di minore massa muscolare (coda e piedi): è la prova che i cadaveri dei
Deinonychus furono mangiati dagli altri (più grossi) esemplari, i quali lasciarono sul terreno solo le parti più indigeste ed "ossute"?
Il secondo sito (quello con un
Deinonychus e almeno 18
Tenontosaurus) offre ulteriori indizi a sostegno di questa ipotesi. Il fatto che siano presenti decine di prede, molte intatte, implica che non si tratta dei resti di una battuta di caccia (nessun animale -tranne l’uomo- uccide più prede di quante ne possa mangiare). Dall’analisi geologica del sito, si tratta probabilmente di un gruppo di erbivori decimato da una stagione particolarmente secca. Un indizio indiretto di ciò è dato dal differente grado di preservazione degli scheletri: il
Deinonychus presente è molto frammentario e disarticolato, e, come nel primo sito, conserva sopratutto ossa della coda e degli arti; gli adulti di
Tenontosaurus sono parzialmente disarticolati e smembrati; mentre l’esemplare più piccolo di
Tenontosaurus è molto più articolato e completo. La spiegazione migliore di questa differenza di conservazione (non legata alla taglia degli animali, dato che l’esemplare giovanile di
Tenontosaurus e il
Deinonychus hanno pressapoco la stessa taglia ma opposti gradi di preservazione) può essere uno scenario simile a quello del primo sito: