mercoledì 29 ottobre 2008

Concorso: dà un nome ai nuovi personaggi del seguito di "EdF"!

Per quelli che lo sanno, quest'anno ho terminato la stesura definitiva (al 98%) del primo romanzo di una trilogia, intitolato "EdF" (per ora non svelo il titolo vero, ma solo l'acronimo). Questa trilogia, che per ora chiamo "Trilogia di EdF", è già delineata nella struttura definitiva. Attualmente sto elaborando i dettagli del secondo libro, ma non ho ancora deciso i nomi dei nuovi personaggi che si aggiungeranno a quelli già delineati in EdF.

Voglio rendere il battesimo di questi nuovi personaggi "democratico"... Accetto suggerimenti sulla base di questi vincoli:

-Il nome deve essere formato da 3 parole, con la seconda e la terza unite da un trattino.
-Il nome deve essere "neutro", non deve avere un'immediata identificazione di genere (maschile o femminile).
-Il nome non deve essere esistente, ma può essere basato su riferimenti alle culture africane, indo-cinesi e polinesiane.





venerdì 24 ottobre 2008

Ventisei Ottobre di 6012 anni fa...

Non dimenticate di festeggiare il compleanno dell'universo! Quando? Domenica prossima, alle ore 9 del mattino (ora del Golfo Persico, credo... o giù di lì, quindi penso alle ore 7 da noi... ora legale permettendo... credo).

mercoledì 22 ottobre 2008

Antenati algebrici ed antenati geometrici

Questo post ultrazionale nasce come sintesi di due post distinti (e nati indipendentemente uno dall’altro, sebbene chiaramente emersi da un substrato culturale comune) di Theropoda e di Geomythology: è quindi un post pienamente ultramitologico.

I post fratelli che cito sono Galleria degli Antenati - Prima Puntata: Palaeoraptor primus e Tecodonti piumati, protouccelli immaginari e il solito Heilmann. Entrambi parlano di ipotetici antenati degli uccelli, il primo ricavandolo da un’analisi filogenetica in fase di elaborazione, il secondo estraendolo dalla gloriosa paleontologia primo-novecentesca. Per quanto accomunati dal tema, essi fanno riferimento a due differenti tipologie e topologie creative, due distinte procedure di ricostruzione/simulazione di creature evoluzionistiche, figlie di due distinte filosofie storiche.

Se la vostra visione dell’evoluzione è fortemente analogica, ricalcata su un modello ontogenetico, lineare, aprioristicamente progressivo e graduale, allora il vostro metodo di simulazione dell’antenato (MSA) sarà probabilmente di tipo algebrico (termine che sto inventando qui).

Un MSA algebrico si basa sulla seguente equazione:

Ipotetico Antenato Intermedio = 1/2(Antenato remoto + Discendente)

Esempio (già citato in un passato post geomitologico): “Proavis” = 1/2(Euparkeria+Archaeopteryx).

Altro esempio (pressapoco coevo di “Proavis”, e non per caso, in quanto figlio dello stesso paradigma): Uomo di Piltdown = 1/2(scimmia+uomo).

Il MSA algebrico è ancora, probabilmente, il metodo principale di interpolazione mentale evoluzionistica (di creazione di “anelli mancanti”... notare l’aggettivo carico di attesa) in uso dagli interessati all’evoluzione. Il MSA algebrico implica una visione iper-olistica degli organismi, intesi come monadi dinamiche capaci solamente di traslazioni lineari in un morfospazio animale relativamente semplice, un euclideo piano bidimensionale delle forme viventi.

Il MSA algebrico permette anche ciò che in una disciplina storica in teoria dovrebbe sempre essere evitato (ma che in realtà è l’ambizione di molti), ovvero, permette di elaborare una (rozza) teoria storicistica dell’evoluzione. Come? Basta applicare la formula, adattando i termini, per ricavare IL FUTURO!

Ovvero, se poniamo la condizione attuale al posto di Ipotetico Antenato Intermedio, possiamo ricavare il discendente (che pertanto sarà un discendente futuro):

Discendente futuro = 2(Condizione attuale) - Antenato Remoto.

Cosa significhi questa formula, lo sa solo chi ancora dà valore al metodo del MSA algebrico (i vari Dixon e zoo-futurologi).

L’altro metodo di ricostruzione di ipotetici antenati, metodo che trovo più plausibile, è basato su una concezione evoluzionistica non-lineare, ramificata e modulare. Tale approccio, non-olistico, bensì riduzionista, implica la rinuncia all’interpolazione delle linee filetiche per ricavare le fasi intermedie. Questo approccio, di stampo filogenetico, afferma che un antenato ipotetico è identificabile dalla combinazione di caratteri anatomici esistente in ogni nodo di un diagramma filogenetico. Questo approccio, che determina un antenato ipotetico da nodi di intersezione tra segmenti evolutivi, lo battezzo MSA geometrico.

Esempio: Archosauriformes = Sinapomorfie condivise da Archaeopteryx e Euparkeria.

Notare che il MSA geometrico non colma lacune tra i taxa coinvolti nell’elaborazione, bensì determina condizioni morfologiche pre-esistenti i due taxa. Da questo si ricava che il MSA geometrico NON può essere usato per “prevedere” l’evoluzione futura. Inoltre, questo metodo non impone di “attribuire” a priori uno status di “antenato remoto” ad una delle due forme scelte nella procedura, le quali sono “equiderivate” rispetto all’antenato che si ricava: questo metodo è pertanto meno “soggettivo” del MSA algebrico. Infine, aspetto più importante, questo metodo fa delle previsioni suscettibili di verifica più rigorosa che l’altro.

Esempio: tutti possono convenire che “Proavis” sia intermedio tra Euparkeria e Archaeopteryx. Ma COME era intermedio? Aveva il corpo del primo con la pelle del secondo? Oppure il contrario? Oppure aveva la parte anteriore del corpo da Archaeopteryx e quella posteriore “ancora” da Euparkeria? Insomma, appare evidente che con il MSA algebrico si può elaborare un numero pressoché infinito di “antenati intermedi”, spesso in maniera molto soggettiva. Al contrario, dati i due taxa di partenza sufficientemente completi, esiste un solo (o comunque un numero molto basso) di possibili antenati comuni ricavabili con il MSA geometrico: quello/i avente/i nella propria diagnosi la lista delle sinapomorfie condivise dai due taxa ma senza alcuna delle autapomorfie di ciascuna delle due linee prese separatamente.

lunedì 20 ottobre 2008

Archetipi, Baupläne ed altre inutilità zoologiche - Seconda parte

Nella seconda parte di questo post doppio (potete leggere la prima cliccando sul titolo qui sopra) spiego perché il tentativo dei creazionisti di arroccarsi sopra la Macroevoluzione per cercare di salvarsi dal Diluvio darwiniano è vano come la loro credenza che due esemplari di tutte le specie di animali d’acqua dolce possano essere alloggiati per un anno all’interno di un’arca di legno e bitume a zonzo per l’oceano...

Anche in questo caso, partirò da un esempio, questa volta fantascientifico.

Immaginiamo che io faccia amicizia con un’intelligenza aliena di tipo elettronico, un essere in stile “robot”, che è generato da un processo di assemblaggio meccanico di parti distinte alle quali viene inserito un software avente le stesse prestazioni della mente umana. Un giorno decido di presentare questo “amico” sui generis a mia madre. Siccome il suo processo di generazione non prevede l’esistenza di genitori, mi affretto a spiegargli cosa sia una madre. Per avvicinarmi alla sua “concezione” di procreazione, gli spiego che una madre è l’individuo all’interno del quale avviene il processo di assemblaggio preliminare delle mie componenti. Il robot annuisce, dicendo di aver compreso. Tuttavia, nel momento in cui gli presento mia madre, egli si volta verso di me con aria seccata, esclamando: “Mi hai mentito! Non è possibile che un essere delle tue dimensioni possa essere stato assemblato all’interno di quel altro!” (Per chi non lo sapesse, mia madre ha un volume corporeo inferiore al mio...). La storia è chiaramente idiota, e tutti sappiamo qual è l’errore del robot: ritiene che l’intera complessità attuale del sottoscritto derivi da un solo processo di assemblaggio, un atto creativo capace di produrre un adulto umano completo. Ovviamente, tale atto non può compiersi in un utero materno, ma è il risultato di un processo protrattosi per decenni, e del quale il robot sta osservando solo il risultato finale.

L’obiezione creazionista nei confronti dell’evoluzione delle grandi categorie tassonomiche è simile. Essa ritiene che nessun processo microevolutivo possa produrre la complessità dei vari tipi zoologici (insetti, molluschi, brachiopodi, vetrebrati, ecc...), i quali, pertanto, possono essere spiegati solamente con una serie distinta di atti creativi, analoghi all’assemblaggio del robot, creato “adulto” in un solo evento. Per i creazionisti, le discontinuità morfologiche tra, ad esempio, insetti e molluschi, o tra vertebrati ed echinodermi, sono “sostanziali”, irriducibili ad un processo evolutivo graduale protratto ad una scala minore di quella delle grandi categorie tassonomiche.

L’errore sta nell’attribuire alle grandi categorie tassonomiche lo status di enti discreti, alla pari di elementi chimici (i quali, ad essere precisi, sono anch’essi il risultato dell’assemblaggio di oggetti di una scala più bassa).

In realtà, applicando razionalmente i dati a noi noti, quella che per i creazionisti pare una “complessità irriducibile” è solamente un effetto della Storia. Ovvero, le discontinuità che fungono da “limiti invalicabili” tra i phyla sono il risultato della sommatoria di numerosi eventi di estinzione che hanno eliminato numerose forme “intermedie”, impedendo loro di sopravvivere fino ad oggi. L’effetto di tale “discontinuità contingente” sono appunto le grandi categorie tassonomiche ed i baupläne, che non esprimono “modelli archetipici ancestrali”, bensì solamente le “isole di sopravvivenza” in un oceano zoologico fortemente segnato dalle estinzioni.

Questi due esempi mostrano come l’occhio critico dei creazionisti sia miope nei confronti di alcune zone della zoologia ed invece molto sensibile verso altre.

I pesci teleostei sono il gruppo di vertebrati acquatici di maggiore successo, con circa 20 mila specie descritte. La variabilità morfologica all’interno dei teleostei è enorme, ben più grande di quella che separa una rana da un cavallo. Tale variabilità mostra tantissimi modelli adattativi, i quali spesso esemplificano le gradazioni evolutive tra morfologie apparentemente distanti ed “inconciliabili”. Di conseguenza, all’interno dei teleostei è difficile trovare prove della “irriducibile complessità” tanto cara ai creazionisti. Perché tale discontinuità è assente? La risposta è nella storia evolutiva dei teleostei: da 100 milioni di anni questo gruppo è in espansione continua, e l’estinzione non ha “falciato” in maniera selettiva determinate linee evolutive rispetto ad altre: quasi tutti i gruppi comparsi durante la storia dei teleostei persiste ed è ampiamente diversificato. Ovviamente, all’interno di un tale caleidoscopio anatomico è difficile trovare obiezioni credibili all’evoluzione darwiniana, la quale è invece una spiegazione soddisfacente di una simile variabilità morfologica.

Il secondo caso che cito mi è particolarmente caro (e forse tendo ad abusarne per fare esempi...). Gli uccelli sono il gruppo di vertebrati terrestri di maggiore successo, con oltre 10 mila specie viventi attualmente. L’anatomia degli uccelli è talmente particolare e “differente” da quella degli altri vertebrati terrestri che non sembra possibile farla derivare per evoluzione da altre morfologie, ad esempio da quella dei rettili. Un essere simile ad una lucertola, che ha la pelle a squame, è quadrupede, striscia, ha sangue freddo, non ha sacchi aerei, ecc..., come potrebbe evolvere secondo le presunte meccaniche darwiniane per diventare un animale bipede e volante, a sangue caldo, pennuto, con becco, ecc...? Ovviamente, vista in questa luce, la teoria darwiniana pare terribilmente improbabile e contorta.

L’anatomia degli uccelli sembra così bizzarra solo per motivi di contingenza storica, e non perché frutto di qualche irriducibile creatività divina: a differenza di quella dei singoli gruppi di teleostei, essa è l’unica sopravvissuta di un massiccio evento di estinzione che ha spazzato via dalla nostra osservazione diretta la lunghissima serie di morfologie intermedie che, un tempo, colmava tutto lo “spazio morfologico” tra uccelli e, ad esempio, coccodrilli. Se non ci fosse stata l’estinzione della fine del Cretacico che ha cancellato tutti i parenti degli uccelli, e se non ci fosse stata l’estinzione della fine del Triassico, che ha cancellato tutti i parenti dei coccodrilli, noi oggi avremmo l’intera gamma della variazione morfologica che va dal colibrì al caimano senza alcuna “irrisolvibile discontinuità”, esattamente come quella che osserviamo tra i pesci teleostei (che, faccio notare ancora, hanno al loro interno una variabilità anatomica ben più alta di quella che separa uccelli e coccodrilli... Purtroppo, dubito che gli antievoluzionisti abbiano conoscenze zoologiche tali per apprezzare questi fatti).

Quindi, in conclusione, il darwinismo, proprio in virtù della sua alleanza con la contingenza del Tempo Profondo (un concetto ampiamente confermato dai dati della fisica, astronomia e geologia, ma che è inconcepibile ed inaccettabile da chi crede che l’Universo esista da solo 6000 anni), ha tutti i mezzi per spiegare l’esistenza e la discontinua variabilità dei viventi SENZA AVERE BISOGNO DI ALCUNA SPIEGAZIONE SOPRANNATURALE.

Poi sta alla capacità razionale delle persone volere o no accettare tale spiegazione... ma questo è un altro discorso...

Il frustrante successo della frustrazione

Un’opinione diffusa ma sbagliata dell’evoluzione è che essa porti al “miglioramento” degli organismi. Il ragionamento di partenza di questo mito sull’evoluzione è l’idea che qualsiasi modifica, anche minima, nelle caratteristiche dell’organismo che ne migliorino la sopravvivenza conferisce un vantaggio riproduttivo, il quale fa aumentare il numero dei portatori di tale modifica nella generazione successiva, ecc... Anche se questo ragionamento è corretto, ciò non implica che sia valido a rovescio. Ovvero, non è detto che un carattere che porta un danno ad un individuo sia necessariamente eliminato dalla selezione naturale. Anzi, in questo post presento un caso nel quale un carattere chiaramente dannoso per la vita di chi lo possiede è evolutivamente vantaggioso (in quanto aumenta le probabilità di avere un successo riproduttivo).

Sta emergendo sempre più la consapevolezza che quello che chiamiamo “Io” sia in realtà una pluralità di moduli neurologici in simbiosi-competizione. Molti aspetti apparentemente paradossali della mente umana sono più comprensibili interpretando il cervello come un ecosistema neuronale, piuttosto che come una monade indissolubile sede di un fantasma chiamato psiche. In particolare, la consapevolezza che il cervello umano attuale sia un assemblaggio seriale di differenti stadi evolutivi, probabilmente gerarchizzati a svantaggio delle parti più recenti (le linguistiche-razionali-consapevoli, rispetto alle emotive-viscerali-inconsapevoli) ci induce a interpretare in un’ottica evoluzionistica alcuni aspetti patologici della nostra psicologia.

Le frustrazioni sono uno degli aspetti più diffusi della natura umana. Il conflitto tra desideri potenziali e possibilità attuali spesso genera sofferenza interiore. Ciò che è paradossale, è che spesso tali desideri non corrispondono a effettivi bisogni vitali immediati. Si può benissimo sopravvivere anche senza la gloria, la fama, il successo, il sesso, il lusso. Anzi, spesso si vivrebbe meglio se non ci fosse l’ossessione di appagare tali “bisogni”. Non è un caso che buona parte, se non la totalità, delle esigenze che ho citato abbiano a che fare con la sfera riproduttiva. La riproduzione è la base dalla quale è emersa la sessualità (base che poi, nella civiltà moderna, è stata progressivamente abbandonata, anche se non definitivamente), la quale fa da catalizzatrice e fulcro per il bisogno di potere, fama, successo, a loro volta fondamento per il lusso e la gloria. Un’intera rete di esigenze non vitali ha come fondamento la riproduzione (ripeto, le necessità vitali immediate di un individuo sono la nutrizione, la termoregolazione, la salute e la difesa). Pertanto, dato che qualsiasi caratteristica che aumenti le probabilità riproduttive è selezionata positivamente dal punto di vista evolutivo, è evidente che il sentimento della frustrazione ha un indubbio vantaggio evolutivo per l’individuo portatore di tale sentimento, inducendolo massicciamente a cercare di appagare tutte quelle esigenze derivate dalla riproduzione. Al contrario, l’assenza di frustrazione porta ad essere appagati solamente per le esigenze vitali primarie (le quali in genere sono segnalate da sentimenti più semplici ed arcaici, come la fame, la paura, il freddo e la rabbia), riducendo (rispetto ai frustrati) l’impegno per la riproduzione.

Morale della favola: quando saremo veramente felici ci estingueremo.

venerdì 17 ottobre 2008

Creazionismo "parafrasato"

Da un recente sondaggio, risulta che il 53% degli americani crede che i Sumeri abbiano inventato la colla 1000 anni prima del Big Bang.

giovedì 16 ottobre 2008

IL DNA NON E' ACQUA


OPERA ESTEMPORANEA DI MIO FRATELLO, NATURALISTA E MAESTRO D'ARTE, CHE EVIDENZIA LA RADICE COMUNE... SEBBENE, VA SOTTOLINEATO, ANCHE UN PALESE RIFERIMENTO AL MIO STILE FUMETTISTICO LICEALE... (FOTO TRATTA DALLA PAGINA DI FEISBUK DI SGAZA).

lunedì 13 ottobre 2008

Il tirannosauro, il DNA proteico e l’unicorno

Una volta, chattando con un amico (persona intelligente e laureata in disciplina scientifica) saltò fuori un discorso sulla meccanica quantistica. L’amico, non so quanto seriamente, bollò alcune implicazioni paradossali della meccanica quantistica come “aria fritta”. Come gli feci notare subito, non aveva alcun diritto di etichettare così una disciplina scientifica frutto di decenni di intensi studi di grandi ricercatori, nonché base per moltissime applicazioni delle nostra tecnologia (tra cui l’informatica e l’elettronica grazie alle quali stavamo chattando). Conosco bene il mio amico e so che la sua battuta era estemporanea... tuttavia, detesto tutti quelli che, pur non avendo alcun titolo per poter esprimere un’opinione ponderata in una materia nella quale non sono sufficientemente competenti, si sentono autorizzati a criticare discipline non loro. Credo che un rispettoso silenzio, o la candida ammissione di non essere competenti in materia, sia la sola reazione che dovrebbe fare qualsiasi persona intelligente nei confronti di ambiti che non gli sono noti sufficientemente. In fondo, nessuno ormai può essere un esperto in tutti i campi, quindi dovrebbe sempre essere umile nei confronti delle altrui competenze.

Noto che il più delle volte le critiche sono rivolte verso quei risultati che vanno contro “il senso comune”. L’idea che i rapporti di causalità vengano meno alla scala quantistica, oppure che lo spazio-tempo sia descrivibile tramite una geometria non-euclidea, sono visti come risultati così contrari al senso comune, così in discordanza dalla nostra intuizione ed immaginazione, così distanti dall’ovvietà, da essere interpretati come necessariamente “sbagliati”. Un meccanismo psicologico di rimozione dell’incomprensibile porta inevitabilmente alla critica, sebbene non si abbia alcuna base linguistica, metodologica e strumentale per poter argomentare una critica degna di ascolto. In fondo, molte delle critiche al concetto di evoluzione nascono da questa stessa commistione di ignoranza, incomprensione e paura. La paura, in questo caso, è che vengano meno le consolanti fondamenta dell’ovvietà, l’ovvietà di un mondo stabile e confortevole, nel quale noi siamo “a casa”.

Spesso, però, le critiche hanno una base molto più grossolana e mediocre. L’ignoranza, mista all’arroganza, crea il dogma inconscio, la categoria mentale chiusa ed inviolabile. Questo dogma mentale, tipico delle posizioni superate che non vogliono essere abbandonate, è il primo passo per la trasformazione del dato scientifico in oggetto mitologico (nonché, spero, materia grezza per futuri post su Geomythology).

Mettiamo il caso che io sia un appassionato di genetica vissuto a metà del XX secolo...

Sono cresciuto nella fase più entusiasmante delle ricerche sulla natura del materiale genetico, tuttavia, non ho le basi scientifiche per essere un vero ricercatore. Ma ce la metto tutta per essere aggiornato! Quando ho iniziato a seguire questa materia, l’idea dominante era che il materiale genetico fosse di natura proteica. Spesso, non per colpa ma per cause esterne a me, non ho tempo per aggiornarmi sui progressi della materia che mi appassiona, e spesso mi accorgo di restare indietro rispetto alle novità. Col tempo, scopro che il linguaggio in uso tra i ricercatori sta cambiando, adattandosi a nuove metodiche e concetti, ed io non riesco sempre a seguirne gli sviluppi, i quali, man mano che passa il tempo, si fanno sempre più distanti dall’immagine che ho di tale materia. Noto con dispiacere che la mia immagine della disciplina che mi appassiona, già grossolana perché frutto di materiale divulgato, si fa sempre meno conforme all’effettivo stato della scienza, e, pertanto, sfuma sempre più in una favola consolatoria alla quale faccio riferimento più per necessità (è l’unica conoscenza che mi rimane, e non voglio rischiare di perdere pure quella) che per scelta. Un giorno scopro che uno dei capisaldi della mia immagine mentale della genetica era un errore! Come? Il materiale genetico sarebbe una molecola non proteica? Chi sono questi che sostengono che i geni sono fatti di acidi nucleici? Assurdo... io SO che i geni sono fatti di proteine! Cosa ne sanno questi qua? Come si può stravolgere la genetica così? Si tratta sicuramente di una banda di esagitati che cerca di farsi pubblicità con nuove idee bizzarre... Come dite? La nuova ipotesi sta avendo numerose conferme? Come dite? Numerose branche della genetica, prima distinte, ora si armonizzano bene alla luce dell’ipotesi del... come avete detto che si chiama? DNA? Mah... io non ho capito bene di cosa si tratti. Sì, ma forse il DNA è una proteina, un po’ strana, ma sempre una proteina... No? Sicuri? Ma che ne sapete voi delle proteine? Le proteine non spiegano la genetica? Come sarebbe? Chi siete voi per dirlo? Beh, è chiaro che adesso il DNA diventerà una religione... eh, sì, lo sapevo che finiva così. La vostra è una religione... non fate più scienza! Io faccio ancora scienza! Ah... le care vecchie ricerche, loro sì che parlavano un linguaggio chiaro... Adesso tutta la genetica si spiegherebbe senza proteine... no, non lo posso accettare! La vostra non è scienza! Cosa dite? Presuntuosi! Sì, ecco cosa siete: io mi rifiuto di ascoltare le vostre argomentazioni! No, io resto alle proteine... Sì, perché il DNA è una proteina! Siete voi che non capite...

Finale nel quale mi chiudo in camera abbracciando un cuscino a forma di proteina.

Questa storiella pseudo-joyceana, un po’ grottesca, anche se coerente con alcune fasi dello sviluppo della genetica a metà del novecento, esemplifica bene molti casi di appassionati di una disciplina scientifica che, per motivi vari, non adeguandosi ai progressi della loro amata disciplina, restano ancorati ad una visione superata, spesso assumendo un atteggiamento intollerante nei confronti delle nuove espansioni della ricerca.

Vedo questo fenomeno nella strana persistenza di un’iconografia scientifica rivelatasi errata, smentita dai dati e, pertanto, priva di fondamento. Parlo dell’immagine di un organismo fossile illustrata per quasi un secolo, un essere che non esiste realmente, se non come teoria interpretativa di alcuni dati geologici, eppure, ormai (purtroppo) così sovraccaricato di significati extrascientifici da essere ormai noto più come un fatto reale (che non è) piuttosto che solamente come un termine paleontologico: Tyrannosaurus rex.

Tyrannosaurus rex NON è un animale reale, dato che non esiste alcun esemplare vivente sulla Terra appartenente a tale specie. Tyrannosaurus rex è il nome scientifico attribuito ad una serie di fossili interpretati come appartenenti ad una specie di animale estinto da decine di milioni di anni. Questo è Tyrannosaurus rex. Esso sui basa su dati paleontologici, ed ha pertanto una validità in quanto teoria paleontologica, non come animale reale.

Nessuno può alterare le informazioni presenti nei fossili attribuiti a Tyrannosaurus rex, e pertanto, nessuno può obiettare, ad esempio, che Tyrannosaurus rex sia un animale con finestra mascellare, piede arctometatarsale, ecc... Ovviamente, questo DATO può essere esteso tramite delle interpretazioni iconografiche, le quali però NON sono dei dati.

Ad oggi (almeno, per quanto ne so io...) non esiste alcun fossile di Tyrannosaurus rex che conservi tracce di pelle. Pertanto, l’aspetto esteriore di questo animale in vita è puramente ipotetico e deve essere basato su interpretazioni indirette deducibili, ad esempio, da fattori di parentela con specie per le quali sia noto il rivestimento corporeo, oppure da eventuali argomentazioni zoologiche generali, quali il metabolismo, l’ecologia o la fisiologia. Tuttavia, ripeto, in assenza di prove dirette incontrovertibili, esse restano interpretazioni, non fatti. (In rete circola la notizia, risalente a 12 anni fa, di tracce di pelle fossile di tyrannosauro. Tuttavia, tale traccia non è associata direttamente a ossa di tyrannosauro, e mostra una tessitura stranamente simile a quella di un altro tipo di dinosauro, un hadrosauro: pertanto è dubbio se tale attribuzione sia corretta. Il fatto che da allora questa traccia di pelle, che essendo di tyrannosauro susciterebbe sicuramente molto interesse, non sia stata descritta in alcun articolo ufficiale porta a credere che non sia più attribuita ad un tyrannosauro).

Per quasi un secolo, Tyrannosaurus rex è stato rappresentato con una pelle squamosa, “da rettile”. Ciò era plausibile, in base a ragionamenti filogenetici, in quanto si presumeva che Tyrannosaurus rex avesse lo stesso tegumento dei suoi parenti ancora vivi, in particolare dei coccodrilli o delle lucertole, tutti con pelle squamata. Tuttavia, negli ultimi venti anni, una mole enorme di dati ha dimostrato che gli animali viventi più strettamente imparentati con Tyrannosaurus sono gli uccelli, e non i coccodrilli. Questa nuova ipotesi, oltre a spiegare moltissimi aspetti dell’anatomia di Tyrannosaurus, solleva il dubbio sul fatto che esso fosse squamato, anche se non costituisce un motivo per dire che l’ipotesi “squamata” sia scorretta. Tale dubbio, in ogni caso, è stato accresciuto con la scoperta che molti animali imparentati con Tyrannosaurus e con gli uccelli erano rivestiti da piumaggio. Infine, sono giunte le prove che la pelle di un parente stretto di Tyrannosaurus aveva un rivestimento piumoso simile a quello degli uccelli: ciò ci porta con sicurezza a scartare l’ipotesi che la pelle di Tyrannosaurus fosse squamata, dato che essa, per conformarsi alla teoria filogenetica più plausibile che disponiamo ora, implicherebbe un processo evolutivo di “ritorno delle squame” che non è sostenuto da alcun dato (Ovvero, forse un giorno ci saranno prove a sostegno del “tirannosauro squamato”, ma fino ad allora, l’assenza di squame è l’ipotesi più plausibile a nostra disposizione, e quindi non ha molto senso affermare scientificamente la presenza di squame nella ricostruzione di quel animale).

Pertanto, in assenza di tracce dirette di pelle di Tyrannosaurus, siamo nondimeno indotti ad affermare che esso NON aveva un rivestimento squamato da “rettile”. Inoltre, è plausibile, anche se va verificato, che esso fosse rivestito con un piumaggio filamentoso simile a quello rinvenuto in altri suoi parenti fossili. Altra possibilità, basata con analogie con i mammiferi, è che esso non avesse alcun rivestimento tegumentario, tuttavia, ciò implica assumere che l’evoluzione del tegumento nei mammiferi sia un buon analogo per Tyrannosaurus (assunzione da dimostrare).

Riassumendo:

  1. Tyrannosaurus è, per definizione, un’ipotesi paleontologica basata su fossili; non è un essere vivente del quale sia possibile fare esperienza diretta (notare che la parola “vivente” è un participio presente, e denota l’attualità della vita, non la sua deduzione a posteriori).
  2. I fossili di Tyrannosaurus attualmente non ci dicono nulla sul suo tegumento.
  3. L’interpretazione attuale più plausibile è che Tyrannosaurus, in vita, NON avesse squame (attenzione, non sto affermando alcunché su eventuali altri tegumenti, ma sto solo negando un'ipotesi, quella "squamata", rivelatasi in contrasto con i dati noti ora e con le più corrette metodiche di ricostruzione filetica).
  4. Pertanto, affermare che Tyrannosaurus fosse squamato non è un discorso scientificamente corretto.
  5. Quindi: continuare ad affermare che Tyrannosaurus fosse squamato implica riferirsi ad un oggetto non-scientifico, quindi, per la definizione del punto 1, non a Tyrannosaurus.

Nonostante tutto questo ragionamento, uno zoccolo duro di “nostalgici della squama”, pur non avendo più alcuna base per sostenere l’iconografia superata del “tirannosauro squamato”, ha deciso di conservarla, creando, di fatto, un nuovo essere mitologico.

Il “tirannosauro squamato” è un animale mitologico: per quanto sia ricalcato da un fossile, è una creatura fantastica, mai esistita realmente sulla Terra.

Come l’unicorno si rivelò essere un essere mentale creato nel Medioevo sulla base di un’errata interpretazione di resti reali, così il “tirannosauro squamato” è un essere mentale creato nel XX secolo sulla base di un’errata interpretazione dei dati reali.

Provate a rileggere la storiella di prima, sostituendo i termini genetici con gli analoghi paleontologici... e ritroverete certe discussioni sulla paleontologia attuale, sulla cladistica, sul tegumento di Tyrannosaurus...

A questo punto, la domanda veramente interessante è: perché alcuni si ostinano a mantenere vivo un mito rivelatosi falso? Perché un’ipotesi paleontologica, un termine tecnico per una disciplina di settore (come Drosophyla, Glossopteris, NaOH, protone, Placca del Pacifico e migliaia di altri termini scientifici) è stato elevato a dogma iconografico, a “realtà meritevole di essere salvata dalla revisione”, al punto che TUTTI oggi sanno cosa significhi Tyrannosaurus, e, automaticamente, immaginano con chiarezza un animale che non hanno mai visto realmente (il “tirannosauro squamato”), che non vedranno mai, e che, sopratutto, la scienza stessa ci dice che NON è mai esistito?

Per ignoranza nei confronti dei dati più recenti della paleontologia? In parte sì, ma non solo.

Forse questo non è il blog adatto per rispondere...

PS: probabilmente alcuni dei “nostalgici della squama” si sentiranno il dovere di controbattere. Dato che è un loro diritto, sono benvenuti. Faccio solo notare che le obiezioni di natura paleontologica sono destinate a ritorcersi contro chi le solleverà, dato che, come ho esposto sopra, io NON sto sostenendo alcunché sul reale tegumento di Tyrannosaurus (del quale non esistono tracce dirette, ma solo inferenze), bensì sto rimarcando che l’ipotesi “squamata” è in contraddizione con il metodo corretto di interpretare i dati paleontologici, che si basa su un protocollo comparativo con le specie più imparentate per determinare tratti anatomici non conservati nei fossili.

Ipotizzare che Tyrannosaurus fosse squamato ha la stessa validità scientifica che ipotizzare che Homo erectus avesse il marsupio.

NOTA DEL 14-10-2008: HO AGGIUNTO UN LINK A QUESTO POST (CLICCARE SUL TITOLO, GRAZIE MEUSI!) NEL QUALE SI DISCUTE DEL TEGUMENTO DI TYRANNOSAURUS. Interessante che le tracce di tegumento tubercolato citate si trovino alla base ventrale della coda, come in Juravenator e Epidendrosaurus (faccio notare che quest'ultimo ha tracce di piumino in altre zone del corpo): può essere la prova che in questi teropodi ci fosse un mix di piumino e tubercoli... Nuovi dati sono necessari per risolvere la questione.

La contraddittoria scala evolutiva e lo sciovinismo mammaliano

Il mio segno zodiacale non esiste. O se esiste, è “Vertebrati”, oppure “Attinopterigi”: dipende dall’approccio che uso. Dopo questo incipit, parliamo di cose serie...

La razza ariana è la migliore. Ciò è vero solo se siete bianchi, possibilmente biondi, siete cresciuti in una società nordoeuropea, possibilmente xenofoba, e magari vivete tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo. Ovviamente, questa obiezione basata sulla contingenza storica delle opinioni verrà contestata proprio da chi ha elaborato tale idea (che, guarda caso, molto probabilmente rientra nella categoria che ho appena descritto). Egli sfornerà una serie di DATI a sostegno della superiorità bianca, ad esempio, chiamerà in causa il successo di tale razza nel mondo, le virtù culturali e fisiche di tale etnia, e sottolineerà i limiti ed i fallimenti delle altre popolazioni. Noi oggi bolliamo tali argomenti come frutto di un’ideologia distorta, dimostratasi essa stessa fallimentare davanti alla Storia, dei ragionamenti capziosi dettati dal bisogno di dimostrare un’evidenza falsa, basata più sul bisogno inconscio di giustificare una contingenza storica (l’espansione europea tra il XVIII ed il XIX secolo) ammantandola di necessità. Tuttavia, tale atteggiamento sciovinista è molto più diffuso di quanto si creda. In fondo, chiunque creda che la propria religione sia quella vera e le altre false commette lo stesso tipo di errore, confondendo la contingenza con la necessità. Persino tra gli atei ed i sostenitori del pensiero razionale il seme dello sciovinismo ha attecchito ed attecchisce. La massima espressione in ambito scientifico di tale impostazione consolatoria, di tale mistificata necessità di auto-esaltare la propria particolarità definendola “superiorità” è la stucchevole e contraddittoria scala evolutiva dei vertebrati, una supposta (in tutti i sensi) catena lineare di gradi di perfezione che, guarda caso ancora, culmina nella (supposta ed autoproclamata) Classe degli animali Più Evoluti, ovviamente, la nostra, Mammalia.

Tutti sanno che i vertebrati sono divisi in cinque classi: Pesci, Anfibi, Rettili, Uccelli e Mammiferi.

Spero di non scioccare nessuno, ma quella lista (che è regolarmente citata in quel ordine, quasi che sia un dato di fatto) è scientificamente falsa, oltre che inutile. Essa è solo una serie arbitraria di gruppi pretestuosamente allineati secondo uno schema non reale che non corrisponde ad alcunché di evolutivamente sensato. Per giunta, questa serie ha al suo interno due gruppi artificiali, “Pesci” e “Rettili”: il primo non è altro che l’insieme di tutti i vertebrati che non possono essere inclusi nelle altre quattro categorie, il secondo è l’insieme di tutti i vertebrati terrestri che depongono uova con guscio ma non hanno penne o pelo (non dimentichiamo i monotremi): entrambi i gruppi non sono definiti da caratteri esclusivi, né formano una categoria tassonomica naturale secondo i criteri attuali della tassonomia.

La scala naturale dei vertebrati è una mistificazione sciovinista, un tentativo di fondare una sistemazione consolatoria degli esseri, basata su criteri soggettivi. Non a caso, tutti gli altri animali esistenti sono frettolosamente incasellati in un unico gruppo (anch’esso innaturale come lo è “Pesci” o “Rettili”), quello degli “Invertebrati”.

A volte mi chiedo come sarebbero classificati tutti gli animali se noi fossimo dei cefalopodi invece che dei vertebrati: gli Inmolluschi e i Molluschi?

Dato che Homo sapiens è un mammifero, è chiaro che riterrà i mammiferi l’apice dell’evoluzione, sebbene ciò non sia giustificato da particolari “superiorità” mammaliane (le quali sono “superiorità” solo se si assume a priori che quello mammaliano sia il modello di organismo migliore possibile).

Quali criteri definiscono la “superiorità”? L’intelligenza? In tal caso sarebbe più sensato scardinare Homo dai mammiferi per creare la classe Hominidae, dato che solo l’uomo ha un tipo di intelligenza inespresso in altre classi (delfini e scimmie non sono più brillanti di corvi e pappagalli, sia dal punto di vista sociale che raziocinante). Così facendo, però, dimostreremmo che creiamo categorie ad uso e consumo della nostra vanità.

Ovviamente, ci sarà qualcuno che obietterà che l’anatomia dei mammiferi è la più evoluta tra quelle vertebrate. Per poter affermare ciò, è necessario definire oggettivamente cosa significhi un maggiore o minore livello evolutivo.

La complessità anatomica?

Cos’è la complessità anatomica? Il numero e l’interrelazione delle parti componenti? La variabilità morfologica? In tal caso, un dipnoo (un tipo di “pesce”) è molto più evoluto di un uomo, in quanto ha, ad esempio, un numero molto maggiore di ossa, ha contemporaneamente sia branchie che polmoni, ha un ciclo vitale con larve e adulti molto diversificati, ecc...

Oppure è la nostra modalità riproduttiva ad essere un marchio di evoluzione? Un pesce produce centinaia di uova che abbandona subito, mentre noi produciamo un solo figlio, che partoriamo vivo, curandolo ed allevandolo fino allo svezzamento (ed anche oltre). Può essere... tuttavia, anche gli squali partoriscono, e i pinguini allevano un piccolo alla volta. Inoltre, esistono uccelli che restano con i genitori persino dopo che questi ultimi hanno deposto nuove uova, collaborando alla cura dei futuri fratelli. Quindi, la scelta del nostro sistema riproduttivo non dà misure oggettive di quella che vorremmo fosse la nostra elevazione naturale. Come fare?

Ha senso cercare una serie evolutiva?

Ammettiamo che si possa fare. Se davvero dovessimo elencare i principali gruppi di vertebrati, una lista scientificamente sensata dovrebbe essere basata su criteri oggettivi, altrimenti non è scienza, ma è arte, mito, religione, politica...

Quali criteri dovremmo usare? Probabilmente il migliore sarebbe la genealogia, oppure la cronologia, cioè la sequenza con la quale i vari gruppi si sono diversificati nel tempo. Seguendo questi criteri, i vertebrati dovrebbero essere quindi elencati in categorie monofiletiche (quindi non basate sulla negazione di caratteri come è il caso dei “Pesci” e dei “Rettili” citati sopra, bensì su reali novità evolutive esclusive di quel gruppo) elencate secondo la loro sequenza di differenziazione cronologica.

Bene, torniamo ai cinque gruppi di prima. (Siccome non l’ho detto prima, non mi riferisco ai gruppi fossili, ma solo ai gruppi viventi attualmente). Dunque, Anfibi, Uccelli e Mammiferi sono gruppi naturali validi, mentre gli altri due vanno invece scomposti fino a trovare dei gruppi evolutivamente naturali. Una volta fatta questa operazione, allineiamo tutti i gruppi ottenuti in base al momento in cui la linea evolutiva che li porta si è distinta da tutte le altre. Solo così avremo una lista oggettivamente valida dei vertebrati, basata su un criterio cronologico e genealogico.

Tale lista può risultare ostica ai non addetti ai lavori, tuttavia è l’unica valida oggettivamente, indipendentemente dalla soggettività e dai desideri di chi la determina (che sia uomo sapiente, canguro intelligente o mollusco razionale...). Essa è:

Missinoidi, Lamprede, Condroitti, Attinopterigi, Dipnoi, Celacanti, Anfibi, Mammiferi, Cheloni, Lepidosauri, Uccelli e Coccodrilli.

Mi dispiace per chi sperava ancora in una oggettivazione della nostra superiorità, ma noi non siamo né al culmine cronologico né a quello tassonomico: la linea dei mammiferi si differenzia dalle altre ben prima di quelle dei veri “rettili”, ovvero 310 milioni di anni fa, così come il gruppo comprendete tutti i mammiferi viventi oggi non è l’ultimo comparso, dato che esiste da 190 milioni di anni, contro i soli 90 milioni degli uccelli e i 70 milioni dei coccodrilli (entrambe le linee di questi due gruppi si differenziarono 240 milioni di anni fa, 70 milioni di anni dopo che quella dei mammiferi si era differenziata).

So che generalmente si dice che i coccodrilli siano vecchi di 200 milioni di anni, ma è una grossolana bugia priva di fondamento paleontologico, una mistificazione dettata appunto dal desiderio di far apparire la nostra genìa mammaliana come l’ultima, quindi (per un errato collegamento logico) la più nuova, che, in una consolatoria scala lineare di perfezionamento, significherebbe “la migliore”.

Ovviamente, nulla vieta che continueremo a crederci quello che non siamo...

mercoledì 8 ottobre 2008

Errori di battitura o lapsus?

Questa immagine mi è stata inviata da Paolo Arduini, del Museo di Milano: le immagini parlano da sé, e mostrano lo stato della divulgazione scientifica italica. Per avere info più attendibili su questa scoperta, vi rimando al post su Theropoda leggibili cliccando sul titolo di questo post.

Aforisma Omerico

Sono bravi tutti a fare i proci col culo di Ulisse.