venerdì 30 novembre 2007

Settimana di validazioni evolutive (Post scriptum a Longevità, Castrazione e Guerre Mondiali: epifenomeni tardivi di perturbazioni gametiche)

Che bella coincidenza! Dopo il mio bi-post dei giorni scorsi sulla longevità femminile che può essere reinterpretata come epifenomeno evolutivo della più elevata mortalità maschile, ecco che nel numero di Science di oggi esce un articolo che dice esattamente questo! Le parti sottolineate in rosso sono quelle che rimandano al discorso sulla mortalità maschile del mio bi-post dei giorni scorsi.
Extended Male Growth in a Fossil Hominin Species
(30 NOVEMBER 2007, VOL 318 di SCIENCE www.sciencemag.org)

Charles A. Lockwood, Colin G. Menter, Jacopo Moggi-Cecchi, Andre W. Keyser
Abstract: In primates that are highly sexually dimorphic, males often reach maturity later than females, and young adult males do not show the size, morphology, and coloration of mature males. Here we describe extended male development in a hominin species, Paranthropus robustus. Ranking a large sample of facial remains on the basis of dental wear stages reveals a difference in size and robusticity between young adult and old adult males. Combined with estimates of sexual dimorphism, this pattern suggests that male reproductive strategy focused on monopolizing groups of females, in a manner similar to that of silverback gorillas. However, males appear to have borne a substantial cost in the form of high rates of predation.


giovedì 29 novembre 2007

Longevità, Castrazione e Guerre Mondiali: epifenomeni tardivi di perturbazioni gametiche. Seconda Parte.

Nella prima parte avevo cercato una causa biologica per l'origine del più alto tasso di longevità femminile: non trovando una plausibile causa evolutiva, ho provato a ribaltare l’ottica, ovvero, a cercare una causa della più alta mortalità maschile. Da ciò, è emersa una buona correlazione con l’unico aspetto della neuroanatomia che distingue il comportamento maschile dal femminile, cioè la più alta percentuale di comportamenti aggressivi nei maschi, a loro volta correlati con la più alta produzione di testosterone del loro organismo. Da qui si può ragionevolmente dedurre che un più alto tasso di aggressività si ripercuota su un più alto tasso di mortalità. In altri mammiferi sociali ciò è ampiamente dimostrato, quindi non stupisce ritrovarlo anche in noi. Ovviamente, la socialità umana è estremamente complessa, fortemente condizionata da epifenomeni culturali che si sono sovrapposti dominando (ma non sempre) le preesistenti forze biologiche.
Un secondo fattore che non bisogna mai dimenticare nelle analisi di popolazioni è la presenza di vincoli storici, di contingenze che “perturbano” il risultato delle nostre analisi. Ad esempio, ho tirato in ballo le stime di età media della popolazione attuale: 75-80 anni. Rivalutiamo ancora questi dati, ma ancora ribaltando l’ottica.
Un uomo sopra gli 80 anni è nato prima di 80 anni fa (ovvio): ovvero prima del 1927. Non esistono uomini più vecchi di 115 anni, ovvero nessuno nato prima del 1892. Di conseguenza, qualunque discorso sulla longevità umana discute di individui nati tra il 1892 ed il 1927. Per caso, sono avvenuti eventi storici che hanno inciso significativamente sulla vita degli uomini nati tra il 1892 ed il 1927, e che possono aver generato un tasso di mortalità più alto in loro rispetto alle donne? I nati nel 1892 erano ventenni nel 1914, e sono stati tutti coinvolti nella Prima Guerra Mondiale, quelli nati tra il 1900 ed il 1920 sono stati tutti coinvolti nella Seconda Guerra Mondiale. Ora, anche se il prezzo in vite pagato dai civili (sopratutto donne) nella Seconda Guerra Mondiale è stato notevole e prossimo a quello pagato dai soldati, non così fu nella Prima Guerra Mondiale (che fu più “tradizionale” sotto questi aspetti): perciò, è evidente come il tasso di mortalità complessivo delle due guerre fu sbilanciato a danno dei maschi. Ciò può, in parte, spiegare il più alto tasso di mortalità maschile registrato tra gli ottantenni ed ultra-ottantenni attuali, e quindi la maggiore longevità femminile.
Sarà interessante vedere quanto saranno differenti i tassi di longevità-mortalità maschile e femminile nelle nostre generazioni tra 50-60 anni, sempre che nel mezzo non salti fuori un altro paio di guerre di trincea a scapito principalmente di un solo sesso...
Tutto questo discorso ha tirato in ballo la guerra: oltre che essere la massima espressione dell’aggressività umana, è anche, almeno lo è stata fino a tempi recenti, un ambito esclusivamente maschile. Ma perché dovrebbero essere i maschi più aggressivi (statisticamente) delle femmine? Se abbiamo osservato il danno che comporta l’aggressività (aumenta la probabilità di mortalità), perché si è evoluta una simile differenza? L’aggressività negli animali (uomo compreso) è principalmente rivolta ai membri della stessa specie (nel senso che, se si esclude dall’analisi l’istinto predatorio dei carnivori, tutti, sia predatori che prede, manifestano aggressività contro i membri della stessa specie e tendono a trascurare individui di altre specie). In particolare, l’aggressività è manifestata nella competizione tra individui maschili per la riproduzione, e si esprime con armamentari vari di corna, canti, rituali, lotte e sfoggi di muscoli.
Perché la competizione riproduttiva è più diffusa tra maschi che tra femmine? Per capirlo, spogliamo i nostri animali dei fin troppo abusati termini “maschio” e “femmina” e limitiamoci a dividerli in due categorie: individui G (G grande) e individui g (G piccolo): i primi producono poche cellule riproduttive, generalmente di grandi dimensione, i secondi producono moltissime cellule riproduttive, molto piccole e meno complesse delle G. Evidentemente, in una popolazione così formata, possono derivare questi possibili sviluppi:
1) G si limitano a produrre altri G.
2) g si limitano a produrre altri g.
3) G si combinano con G.
4) g si combinano con g.
5) G e g si combinano.
Se avessimo 5 popolazioni, ognuna che segue una delle strategie di sopra, a lungo andare osserveremmo che la 5) è quella che ha le maggiori probabilità di sopravvivere, e questo perché, a parità di tutti gli altri fattori, tende ad avere la maggiore variabilità interna, e quindi una maggiore possibilità di generare, casualmente, individui adatti a nuove ed impreviste situazioni.
Ma, una volta affermata la popolazione 5), qual’è la conseguenza della presenza di due tipi di individui distinti (G e g)? Dato che i primi producono un minor numero di cellule riproduttive (un numero minore ma di maggiore qualità), sarà selezionato favorevolmente qualunque comportamento e anatomia che riduca al minimo lo spreco di cellule. Al contrario, gli individui g “possono permettersi” un maggiore spreco, perché, comunque, hanno sempre un numero di cellule riproduttive maggiore di qualsiasi G. Maggior spreco implica anche possibilità di premettersi un maggior rischio: ed ecco perché, probabilmente, nei g (che dopo un miliardo di anni di evoluzione chiameremo “maschi”) ha maggior probabilità di verificarsi la (rischiosa) evoluzione dell’aggressività che nei G (femmine).
Questo è quello che ci viene applicando un ragionamento naturalistico ed evoluzionistico generale a ciò che ci circonda: tuttavia, come mostra l’esempio delle Guerre Mondiali, non bisogna mai trascurare l’effetto delle contingenze storiche. Dopotutto, è probabile che l’emergenza di una differenza tra individui G e g (allora probabilmente minima e quasi impercettibile, dato che erano organismi mono- o pauci-cellulari), nelle remote pozze precambriane, dovette sorgere casualmente, come perturbazione locale, come epifenomeno di qualche ignota contingenza storica.

mercoledì 28 novembre 2007

Matrioske permiane

Se l'articolo di prima era una bufala, questo è vero!

Jürgen Kriwet, Florian Witzmann, Stefanie Klug, Ulrich H.J. Heidtke.
First direct evidence of a vertebrate three-level trophic chain in the fossil record. Proceedings of the Royal Society B 275 (January 22, 2008): 181-186

Abstract: We describe the first known occurrence of a Permian shark specimen preserving two temnospondyl amphibians in its digestive tract as well as the remains of an acanthodian fish, which was ingested by one of the temnospondyls. This exceptional find provides for the first time direct evidence of a vertebrate three-level food chain in the fossil record with the simultaneous preservation of three trophic levels. Our analysis shows that small-sized Lower Permian xenacanthid sharks of the genus Triodus preyed on larval piscivorous amphibians. The recorded trophic interaction can be explained by the adaptation of certain xenacanthids to fully
freshwater environments and the fact that in these same environments, large temnospondyls occupied the niche of modern crocodiles. This unique faunal association has not been documented after the Permian and Triassic. Therefore, this Palaeozoic three-level food chain provides strong and independent support for changes in aquatic trophic chain structures through time.

Longevità, Castrazione e Guerre Mondiali: epifenomeni tardivi di perturbazioni gametiche. Prima Parte.

Cos’hanno in comune una vecchia di centoquindici anni, la carneficina del 1914-1918 ed un bue? Per rispondere a questa domanda dovremo ribaltare un luogo comune della demografia, prelevare sangue da cervelli e viaggiare indietro nel tempo di almeno un miliardo di anni. Se avete sufficienti basi di biologia per comprendere la parte tecnica del discorso, non dovreste soffrire troppo di mal di mare. Per gli altri, spero di risultare chiaro e di non essere frainteso.

Partiamo da un dato abbastanza noto della demografia: il tasso di longevità femminile è più alto di quello maschile. In genere, si dice che le donne vivano 5-10 anni in media più degli uomini. Questo dato mi fece riflettere sul fatto che mia madre, avendo dieci anni meno del mio mitico vecchio, dovrebbe attendersi un 10-15 anni di vedovanza (indipendentemente da chi vivrà più a lungo, l’importante è che i vivi non soffrano). Dopodiché mi domandai: qual’è la causa di una simile differenza di longevità? Se il dato, come appare, non è casuale, allora deve avere una causa, o una sommatoria di concause generanti. (Già che sono qui, rimarco la seguente banalità: l’esistenza di una media di 5-10 anni di longevità non implica una necessità: mio nonno paterno trascorse gli ultimi 10 anni della sua vita da vedovo, e sua moglie era più giovane. Chiusa parentesi banale).

La prima spiegazione che uno potrebbe cercare è di tipo biologico diretto: la donna è programmata geneticamente per vivere di più. Ciò, in un’ottica biologica darwiniana è assurdo, nonché contraddittorio. Ovvero, se dovessimo cercare una causa biologica diretta della longevità femminile, e quindi dovessimo cercare un valore adattativo nella longevità femminile rispetto alla maschile, giungeremmo ad una contraddizione. Ciò per il seguente motivo: ammettiamo che ci sia un vantaggio evolutivo nella longevità; allora quale sarebbe il maggiore vantaggio nella longevità femminile? Apparentemente, non ne esiste: dato che il tasso riproduttivo potenziale di un maschio è più alto di quello femminile sia in termini di numero potenziale di figli (un maschio produce nella sua vita miliardi di spermatozoi, tutti potenzialmente in grado di fecondare, mentre una donna produce alcune migliaia di ovuli) sia in termini di potenzialità temporale (la fertilità femminile naturale non supera il cinquantesimo anno, mentre è documentato che uomini sui 70-80 anni sono diventati padri), non risulta più vantaggioso in una popolazione che la donna sia più longeva: anzi, siccome un uomo a 70 anni potrebbe (ma, dico io, forse non dovrebbe) diventare padre, mentre una donna non lo potrebbe più da circa un ventennio (essendo in menopausa), ci dovremmo attendere un’evoluzione della longevità maschile. Anche prendendo in considerazione le cure parentali (strettissime e di così lunga durata nella specie umana), il discorso non cambia: non esiste un reale vantaggio adattativo nella maggiore longevità femminile (anzi, anche qui si rimarca il paradosso della più bassa longevità maschile: dato che, spesso, nella coppia è il maschio il più anziano, sarebbe più vantaggioso per la durata della coppia se egli fosse potenzialmente più longevo... vedi citazione della possibile fase di vedovanza di mia madre): anche qui, comunque, il discorso è puramente teorico: alle età attualmente citate per la longevità maschile (75-80 anni) nessuno ha più figli piccoli da accudire (e quindi non è selezionato negativamente rispetto a più efficienti coppie giovani).

Dove voglio arrivare con questo discorso? Semplicemente col dire che non credo che esista una causa evoluzionistica diretta che generi una maggiore longevità femminile, perché non esiste un motivo evoluzionistico che giustifichi (cioè potrebbe generare) una maggiore longevità femminile.

Eppure, il tasso di longevità è un dato di fatto. Forse, ma solo in parte.

Come viene calcolata la longevità di una popolazione? Senza entrare nelle discussioni statistiche, quello che viene calcolato effettivamente non è la longevità, bensì il tasso di mortalità. Ovvero, non è corretto dire che si determina la maggiore longevità femminile, bensì che si determina la maggiore mortalità maschile. Il dato reale è quindi il seguente: i maschi hanno un tasso di mortalità più alto delle femmine. Ora, uno potrebbe obiettare che non cambia nulla nella soluzione del problema. Tutt’altro: mentre il problema della longevità si riduceva ad un’assurda ricerca di una causa interna diretta della longevità, la quale, ovviamente, è solo la capacità di perdurare nel tempo, la mortalità può (e deve) essere cercata anche (e sopratutto) investigando i fattori esterni che provocano la morte.

Qualcuno una volta fece l’intelligente osservazione che esistono molti più modi di essere morti che di essere vivi (e questo perché esiste un’infinità di combinazioni non vitali di particelle, mentre solo un sottinsieme delle combinazioni possibili è un essere vivente e funzionante), analogamente, esistono molti più modi di morire che di restare vivi. Quindi, statisticamente, è più probabile morire che sopravvivere.

Ma perché gli uomini hanno una probabilità più alta di morire? Se abbiamo constatato che il tasso di mortalità maschile è maggiore di quello femminile, dove possiamo trovare la causa di ciò? Ovviamente nella fonte di ogni azione: nel cervello. Lo so, sto entrando in un campo minatissimo: ma non fatevi subito prendere dai vostri pregiudizi e luoghi comuni. Seguite il ragionamento fino in fondo, e poi valutatelo tutto assieme.

In più di un secolo di ricerca neuropsicologia, fisiologica ed anatomica è emerso che le differenze tra cervello maschile e femminile sono trascurabili e non significative. Analogamente, la gamma comportamentale tra maschi e femmine è praticamente identica e sovrapponibile (con le ovvie differenze particolari, culturali e storiche che complicano ogni valutazione dei dati). Tranne che in un aspetto. In tutte le culture, fasce sociali e fasce d’età, esiste un fattore nel quale esiste una marcata differenza tra maschi e femmine. L’aggressività. Anche se tutti conosciamo donne aggressive e maschi poco aggressivi, statisticamente, nella popolazione umana presa nel complesso, la percentuale di individui aggressivi (presi con qualsivoglia metro di valutazione: reati commessi, reazione a determinati induttori dell’aggressività, durata e persistenza del comportamento violento e/o aggressivo) è composta maggiormente da maschi. Ciò ha sicuramente a monte una serie di fattori scatenanti, ma proprio per il fatto che essa è l’unica differenza misurata con sicurezza in così tante culture e fasce di età, deve comunque risiedere in qualche aspetto biologico maschile. Difatti, esiste una stretta correlazione tra induttori biologici dell’aggressività (ormoni in primis) e sessualità maschile. Il principale ormone maschile è il testosterone, il quale, pur prodotto anche dal corpo femminile, è secreto principalmente dal testicolo. Il testosterone è anche il principale (ma non unico) ormone correlato al comportamento aggressivo. Questo è noto da secoli, ed è alla base della pratica della castrazione: un bellicoso toro (e non solo bovino) può essere trasformato in un mansueto bue con un rapido colpo mutilante alle parti basse: la trasformazione del suo comportamento e del carattere è strettamente veicolata dalla secrezione di testosterone. Ovviamente, il comportamento umano è più complesso, ma nondimeno è chiaro che l’azione del testosterone influenza l’aggressività. Pertanto, è possibile che il più alto tasso di aggressività maschile sia un fattore determinante nell’incidenza maggiore della mortalità maschile nella popolazione, e quindi nell’apparente paradosso evolutivo della più alta longevità femminile.

Bene, questa prima parte è conclusa. Nella prossima spiegherò perché ho tirato in ballo la Prima Guerra Mondiale e gli oscuri eventi diluitisi nelle noiosissime eternità del Precambriano.

Ancora una volta, non fraintendete il senso di queste argomentazioni aldilà del loro ambito.

Lunga vita a tutti!

The teleostean affinities of a legendary pterodactyloid from the Middle Brain Formation.

Pisquanogeno P., Demiurgo A., Duplophago, S. and (virtually) some other; 2007. The teleostean affinities of a legendary pterodactyloid from the Middle Brain Formation. Journal of Natural Mistery - 29 (11): 1-19.

Abstract: Here we report the discovery of a new pterodactyloid pterosaur, Li gen. et sp. nov., from the Middle Brain Formation of Italy. This remarkable form shows a very unusual combination of preservation and disarticulation that allowed us to place it into the clade Pestonia Human & Mind. After a critical evaluation of our most robust assumptions about our point of views, we determined that Li is a paralogic assemblage of pterosaurian hopes and teleostean facts. Therefore, we consider Li a nomen futilis, and decide to remove it from Mentalia Human & Truth. This work is a strong support for the notion that Science is a non-dogmatic skeptical endless work and that the growing of the Knowledge is a way built by the recognition of our errors.

Keywords: Pterodactyolidea, Teleostei, Pestonia, Radio-metacarpal neural arches.

Test Ultrazionale - Sessione (C)Autunnale

Vi ricordate il test ultrazionale? (Se la risposta è “no”, oppure “non sapevo che esistesse”, andate a vederlo...). Tramite la losca collaborazione di Clastu, abbiamo una nuova cavia per il nostro inutile (ma non futile) albero delle affinità-nelle-risposte-del-test.

So che risulterò borioso, ma ripeterò all’infinito che questo test è solamente un gioco formale sulle capacità del mio amatissimo PAUP, e non vuole cercare alcuna verità nascosta: cercare di forzare i risultati per scopi che non hanno nulla a che vedere con l’analisi di PAUP sui dati dati (il primo è nome, il secondo è participio) è un atto gratuito, un delitto contro la pura ludica delle AFICoNFi (analisi-filogenetiche-in-contesti-non-filogenetici).

Il nuovo soggetto immesso è chiamato PSCr: come negli altri casi, la sigla serve all’interessato e a chi lo conosce per identificarlo, lasciandolo anonimo per il resto del pianeta (che poi il soggetto voglia dichiararsi, sono affari suoi).

Immesso PSCr ed impostato PAUP come la volta scorsa, abbiamo ottenuto il seguente risultato:

Rispetto all’analisi precedente sono cresciuto in pauppitudine: questo albero mostra anche la quantità di affinità tra i soggetti (data dalla lunghezza dei segmenti che li congiungono, in basso abbiamo la scala di riferimento: l’intero albero, essendo di 253 steps, è lungo 253 unità). Inoltre, e questa è la vera chicca, ora posso impostare PAUP a testare particolari topologie, per vedere di quanto si discostino dal risultato non-impostato (quello di sopra, che ci dà la distribuzione più parsimoniosa dei dati). Per curiosità, ho testato (A) una disposizione nella quale AnCa e ClSt sono sister-groups, (B) una nella quale i paleontologi sono un gruppo monofiletico, (C) una nella quale il nuovo entrato è raggruppato con AnCa e ClSt, una (D) per vedere quanto di oggettivo potrebbe esserci in una bizzarra tesi sessista (dato che recentemente è stata attribuita una vena sessista a questo blog, soddisfiamo questa bislacca interpretazione), nella quale ho imposto che maschi e femmine formino due gruppi distinti; ed infine una (E) per classi d’età, con i giovani in gruppi più affini rispetto ai vecchi. I risultati, espressi in numero di steps aggiuntivi che le differenti topologie imposte hanno rispetto ai 253 steps dell’albero più parsimonioso, sono:

A): +2 (ovvero, è 2 steps meno parsimonioso dell’albero di sopra); B): +2; C): +15; D): +14; E): +38. Mentre le prime due imposizioni sono leggermente sopra la parsimonia e quindi possono essere alternative credibili, le altre tre, con 15, 14 e 38 steps aggiuntivi, risultano meno sostenibili (2 curiosità: nell’imposizione sessista, l’(e)neocelta ed il Demiurgo sono sister-groups; nell’imposizione a classi di età progressive, la mia annata forma un gruppo monofiletico). Chi volesse anche gli alberi a topologie forzate mi faccia sapere.

Non date altro valore a quello che emerge dal post, rischiereste di disidratarvi.

Buone pauppate a tutti!

venerdì 23 novembre 2007

Ultrazionalità e Buddhismo

Metto questo post come anteprima di un discorso più lungo e articolato. Intanto, gente, meditate... meditate...

DOCTOR BLISSHILL! (GALDARESEIDE, ATTO 1)


Porcoddue, l'omo! Dottore con i controcaptorinomorfi!!!

giovedì 22 novembre 2007

Modo Ultrazionale ed Essere Ultrazionale

La discussione di ieri sulla donna mi ha fatto capire cosa sia veramente il determinante della condizione Oltre: non è tanto (anche se è necessaria) la presenza di determinate caratteristiche, quanto la modalità con la quale esprimiamo tali caratteristiche. Ecco perchè l'interessante esemplare di femmina pseudo-(di nome, spero non di fatto)cris non può dirsi ultrazionale: il SUO modo di esprimere alcuni caratteri che (per alcuni) sarebbero evidenza di ultrazionalità non è il Modo di essere Ultrazionale. Ella è, nella migliore tradizione femminea (qualsiasi divinità le benedica!) autoreferente alla propria visceralità, acritica nel proprio modo di (auto)-celebrare la propria individualità, restia a riconoscersi parte di una distribuzione di caratteristiche che, essendo causa della sua casuale combinazione, la trascende e la giustifica. In soldoni: è ancora troppo platonica per essere Ultrazionale.
Come sempre, ciò non è né un bene né un male.
Concludendo, condizione necessaria all'ultrazionalità di una donna è che, oltre ad avere le caratteristiche citate ieri, ella abbia una modalità ultrazionale (non platonica, non viscerale, non dogmatica) di esprimere quelle caratteristiche.
Vado a pocciare un paio di biscotti...

mercoledì 21 novembre 2007

Aforisma ultrazionale del 21 novembre

Ci si adatta ad una prigione solo nel momento in cui si smette di considerarla tale.

Sull'esistenza di un essere mitico chiamato Donna Ultrazionale

Esiste la donna ultrazionale? La domanda sta diventando un’ossessione: non tanto per l’esigenza programmata di cercare una compagna (al contrario, di questi tempi conviene prendersi una pausa... almeno fino alla prossima sortita all’Highlander...), quanto per soddisfare un diLemma ben più interessante. Ovvero: esiste una matrice biologica all’ultrazionalità (ovviamente sì), strettamente correlata alla determinazione sessuale? L’ultrazionalità è connessa al cromosoma Y, come barba e testicoli? Oppure è una caratteristica portata dal cromosoma X, ma recessiva al pari del daltonismo, e che quindi può manifestarsi anche nelle donne anche se con una più bassa probabilità rispetto ai maschi?.
I recenti eventi della mia contingenza, la guerra per sopprimere la primitiva volontà della maggioranza interna votata a Visceralia, il caso umano e patologico del teatino forestale (ormai è assodato, e da lui stesso ammesso implicitamente, che è un corpo maschile con un cervello femminile), mi stanno convincendo che se una donna ultrazionale esiste (come spero, non per appagare manie pseudo-eugenetiche di generare progenie ultrazionale pura, ma per sperimentare anche con una donna quella rara forma di piacere che è la dissacrante sintesi auto-scazzante meta-ironica dell’essere ultrazionale), ella deve al tempo stesso essere equipaggiata di ultrazionalità e priva delle numerose non-ultrazionalità che (almeno da queste parti) ricoprono molte donne. Come sempre, per evitare malintesi, ricordo che l’impostazione ultrazionale va Oltre e non segue una logica di “valori ordinati”: il fatto che le donne in giro da queste parti siano poco fornite nel frangente ultrazionale non significa che siano meno interessanti o meritevoli di stima (o altro), significa solo che sono carenti nell’ambito ultrazionale (carenza che, purtroppo, tende a creare un solco con noialtri mostri di cinismo e goliardia nei momenti in cui si sono esaurite le altre possibili cause di legame... sì, lo so, sto facendo delle contingenze recenti un metro di valutazione, perciò dichiaro senza pudore che qualsiasi riferimento alle passate esperienze sentimentali del Demiurgo, del Clastu o di altri ultrazionali sono puramente CAUsali).
Vediamo come dovrebbe essere (in teoria) una donna ultrazionale. Sulla base della ricchissima documentazione in nostro possesso, possiamo stilare una serie di caratteristiche che ipoteticamente, ella dovrebbe avere. Tanto più una femmina di Homo sapiens rispecchierà questa lista tanto più, credo, ma non posso esserne certo, ella sarà ultrazionale.


Auto-ironia vera: non si piange addosso, né si auto-celebra come Femminilità Incorruttibile Giusta e Assoluta.
Non fa della sua esistenza il solo argomento possibile.
Razionalità consapevole ed autonoma: pensa a modo suo e lo mostra.
Ama argomentare, non pontificare (quindi, ammette la critica e detesta l’accondiscendenza immotivata).
Dialettica fluente e giocosa: parla e straparla senza paura, fa uso frequente di giochi di parole, e ne crea di nuovi.
Conosce il significato della parola “surrogato”.
Equidistante da sciatteria e da estetismo patologico: la cura dell’aspetto conta, ma non deve essere la necessaria copertura di un’anima vuota, né il rifugio di una personalità debole.
Flessibilità mentale e capacità di separare un evento dalla sua menzione. Apertura alla diversità e al confronto.
Si incazza facilmente, ma senza scenate isteriche: non dà grande peso alle proprie incazzature, che sa sfogare velocemente e dissolvere con altrettanta velocità.
Distacco dalla matrice viscerale: l’istinto materno e le tempeste ormonali non siano una gabbia mentale che impedisce di valutare Oltre.
Non è vegetariana, se non per vincoli storici* (so che sto sollevando un polverone: come abbiamo già discusso, ultrazionalità e vegetarianesimo hanno una diversa base mentale...).


Per ora mi vengono in mente questi caratteri... ma so che altri possono essere citati. Se qualche donna si riconosce in buona parte di questi, allora ci faccia il sommo piacere di dichiararsi, così da riempire quella metà del cielo Ultrazionale che, almeno da queste parti, è piuttosto vuoto.

Ma forse mi sto illudendo dell'esistenza di un essere mitico, una Chimera, un Lemma androcefalo...

* Questa aggiunta sarà chiarita in un prossimo futuro.

martedì 20 novembre 2007

Trinità Ultrazionale


Autoscazzati, frangenti, eterocarnivori, scettici, naturalisti, sardo-bresciani (di sangue e d'adozione), sono il presagio di futuri sconvolgimenti.

Palle di fuoco cadranno dal cielo!

lunedì 19 novembre 2007

Senza parole

Informatica e paleontologia... da un punto di vista ultrazionale

Ieri pomeriggio, mentre passeggiavo per quel di miei-genitori-town ho notato un effetto imprevisto della manutenzione stradale applicata all'autunno. Alcune nuove striscie pedonali avevano delle macchie scure a forma di foglia. In realtà, più che macchie erano parti del sottostante asfalto che non era stato imbiancato con la vernicie: probabilmente, mentre gli operai passavano il bianco, alcune foglie presenti sul tracciato da imbiancare sono state ricoperte, per poi volare via, lasciando la loro impronta negativa. Dato che fenomeni analoghi accadono nella fossilizzazione, potremmo considerare queste tracce dei fossili botanici artificiali? Penso di sì.
L'osservazione di ieri ha innescato una considerazione sul senso della fossilizzazione, e su un errore concettuale diffuso (più o meno consciamente) in molti di quelli che parlano di fossili.
In genere, quando si parla di un fossile, si dice: "questo osso... il cranio... la conchiglia... il carapace... il tronco...", ma, volendo essere precisi, nessuno degli oggetti chiamati in causa è quello che viene detto. Nella realtà, quelle che vengono citate sono strutture geologiche (rocce) che, a seguito di un processo (fossilizzazione) hanno assunto (più o meno parzialmente) la forma di preesistenti strutture biologiche (attualmente andate distrutte). A parte rarissimi casi, non esiste materiale organico nei fossili. Un fossile non è un osso, un cranio, una conchiglia ecc..
Paradossalmente, un mio amico provocatore (GG) ha ragione: i fossili sono sculture. Un fossile è solo un pezzo di roccia che ha preso una strana forma, copiando quella di un organismo. So che sto dicendo qualcosa di ovvio e noto, ma quanti lo rammentano mentre si occupano di fossili?
Di fatto, per chi, come me, è interessato sopratutto alla morfologia dei fossili che studia, è poco importante quale sia la sua matrice materiale (geologica), cioè l'hardware nel quale è stata impressa l'informazione morfologica (biologica), cioè il software. Ovviamente, la roccia dà informazioni supplementari, ma se il vostro interesse è puramente anatomico, esse sono irrilevanti. Se i fossili si conservassero in cioccolato, in polistirolo, in gesso, oppure in pdf (...), con la stessa accuratezza del carbonato, silicato o fosfato dei fossili veri e propri, per me non farebbe differenza. Quello che conta è il contenuto di informazione anatomica conservato, non il suo supporto.

Restaurazione Ultrazionale

Alla fine tutto è tornato alle condizioni iniziali. Il paragone con la dinamica dei fluidi inmiscibili è eloquente: anche sotto l'azione di un forte impulso iniziale capace di mescolarli, due fluidi inmiscibili tenderanno col tempo a separarsi, andando ognuno ad occupare il proprio livello di densità. Quando poi, ad accelerare il processo concorrono le condizioni del recipiente, non dobbiamo fare altro che ringraziare la riduzione della fase di decantazione.
Gli ultimi umori viscerali stanno depositandosi. Presto, un nuovo strato li ricoprirà, consegnandoli alla stratigrafia.
Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato all'evento, color che hanno fornito mezzi e tempo, coloro che hanno fornito consulenza ed appoggio, e coloro che hanno supportato la temporanea caduta del grado ultrazionale del Demiurgo.
Abbiamo due arcosauromorfi cenomaniani da battezzare, una Figlia da pubblicare, e tanti piani B da discutere e scacciare...

sabato 10 novembre 2007

Pubblicità Progresso... per fortuna in Italia qualcuno intelligente è ancora in giro.

W Piero Angela!
Il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale (CICAP) promuove un'indagine scientifica e critica nei confronti del paranormale. E' nato nel 1989 per iniziativa di Piero Angela e di un gruppo di studiosi, tra cui Silvio Garattini, Margherita Hack, Giuliano Toraldo di Francia, Tullio Regge e Aldo Visalberghi, oggi Garanti scientifici del CICAP, e dei premi Nobel Daniel Bovet (oggi scomparso), Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia, da subito membri onorari del Comitato. Giornali settimanali, radio e televisioni dedicano ampio spazio a presunti fenomeni paranormali, a guaritori, ad astrologi, a pratiche mediche cosiddette alternative, trattando tutto ciò in modo acritico, senza alcun criterio di controllo; anzi cercando, il più delle volte, l'avvenimento sensazionale che permetta di alzare l'indice di vendita o di ascolto. Noi riteniamo che ciò sia profondamente diseducativo e contribuisca non solo a incoraggiare la già diffusa tendenza all'irrazionalità , ma anche a dare credibilità a individui che traggono profitto da questa situazione. Portiamo, dunque, avanti un'opera d'informazione ed educazione rispetto a questi temi, per favorire la diffusione di una cultura e di una mentalità aperta e critica e del metodo razionale e scientifico nell'analisi e nella soluzione di problemi. Sollecitiamo un'attenzione e un impegno particolari verso i nostri obiettivi da parte di scienziati, intellettuali e di tutti coloro che, come gli insegnanti, stimolano e influenzano la vita culturale del Paese. L'opera del Comitato non è isolata ma si riallaccia ad azioni e obiettivi di movimenti analoghi, che si sono sviluppati negli ultimi 25 anni in oltre 80 paesi di ogni continente. Il CICAP è un'organizzazione scientifica ed educativa e non persegue fini di lucro. CICAP - Casella postale 847 - 35100 Padova tel. fax 049-686870 - e-mail: info@cicap.org Il CICAP e' membro dell'ECSO, l'European Council of Skeptical Organisations

venerdì 9 novembre 2007

Quiz Ultrazionale


Cos'è?